Questo il testo dell’intervento del sindaco durante la cerimonia dell’anniversario della Liberazione della città, nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio:
Buongiorno a tutti. E’ con grande emozione e gioia che vi do il benvenuto in Palazzo Vecchio, nel Salone dei Cinquecento dove per la prima volta ho la possibilità di parlare rappresentando questa città e vi confesso una certa emozione, perché questa prima volta coincide con l’11 agosto, che è al festa di tutti i fiorentini, che è la festa della libertà e della democrazia, la festa nella quale ciascuno di noi in qualche modo è chiamato al ricordo. E’ una grande emozione anche perché tutte le volte che si compie un rito è come se ciascuno di noi fosse chiamato a ricordare, ad aspettare, ad emozionarsi,a commuoversi, a rimettersi in discussione, e io credo che sia importante celebrare un rito perché il rito ha il valore del simbolo. La parola simbolo significa qualcosa che ci fa stare insieme, viene dal greco e vuol dire ‘venire assieme’. Abbiamo tanto bisogno di essere tenuti assieme in questo 2009, abbiamo tanto bisogno di simboli in questo 2009 che vede il nostro mondo inquieto e incerto per la crisi, che sì è una crisi economica, però prima ancora che economica è la crisi di un modello per il quale ci hanno detto che l’unica cosa che contasse era il consumare, e non è così. Ci hanno detto che l’unico sistema era quello basato sulla ricchezza economica e non è così. Io non so quando usciremo dalla crisi, non tocca e me dirlo, so però che non ci usciremo come ci siamo entrati, può essere domani, può essere dopodomani, ma da questa crisi verremo fuori con un sistema probabilmente diverso.
Abbiamo tanto bisogno di essere tenuti assieme, abbiamo tanto bisogno di simboli nel 2009 per questo paese, un paese straordinario, di bellezza unica, ma un paese che spesso risulta incapace di cogliere le occasioni profonde di novità. Il Paese in cui la guerriglia o la guerricciola sembra essere ormai una caratteristica imprescindibile, e non riguarda soltanto i partiti, ma è un sistema che dirige l’intera classe dirigente. Abbiamo bisogno di mettere insieme le storie, non di fomentare le paure, non di dividere le persone alimentando le tensioni. Abbiamo bisogno di simboli che consentano a ciascuno di coltivare ed essere parte di qualcosa che si vede raffigurato sotto quella bandiera bianca verde e rossa. E lo dico oggi nel momento nel quale qualcuno per folklore, per sentimenti di provocazione politica, immagina una mossa antistorica e sbagliata come quella di mettere da parte quella bandiera simbolo dell’unità nazionale e immagina addirittura le bandiere regionali, segno antistorico, e lontano dalla realtà della nostra terra.
Abbiamo bisogno di simboli, di essere tenuti assieme in una città che ha vissuto un anno di campagna elettorale. La campagna elettorale serve sempre e comunque perché c’è quel grande gioco democratico che a Firenze è dovuto ripartire l’11 agosto e che le donne e gli uomini della Liberazione hanno consentito e consegnato a tutti noi. Le divisioni della campagna elettorale non sono mai vane perché sono espressione del gioco della democrazia, ma Firenze oggi ha bisogno di rimettersi in moto, di considerare chiusa la pagina di discussione e la città dei Guelfi e dei Ghibellini, oggi la città delle divisioni e del litigio ha la possibilità e il dovere di provare a chiedere unita e con forte umiltà e determinazione e coraggio ciò che le spetta nel dibattito nazionale. Nelle prossime settimane ci aspettiamo dal Governo di questo Paese quello che il presidente del consiglio ha promesso, un atto di riconoscimento ufficiale per Firenze, e lo chiederemo con la serenità , con l’umiltà e la determinazione di chi sa che questa città ha più dato di quanto ha ricevuto negli ultimi anni.
L’11 agosto è una data simbolo di un evento che colpisce il cuore di ciascuno di noi, una data che ricorda un fatto storico, inoppugnabile, di cui nessun revisionismo può cambiare il corso. L’11 agosto è qualcosa di più che semplicemente una data da ricordare, è per alcuni di voi che l’hanno vissuta una data che riporta alla memoria, con un dolore che si fa vivo per un giorno, non solo la gioia della Liberazione ma anche quel silenzio stridente che è il rumore dell’angoscia, della paura, riporta l’odore di morte che non è un film, non è una fiction, una playstation o una telenovela, è un fatto accaduto a persone, a compagni di strada, a genitori, a figli. Esiste una fisicità dell’11 agosto che vorrei rispettare. Per primo io che non l’ho vissuta. Se proviamo a immaginare cosa significhino 65 anni, se provassimo a usare un compasso mettendo l’arco in quell’11 agosto del 1944 e allargando il cerchio fino ad oggi avremo quei 65 anni di storia repubblica così significativi e importanti che conosciamo. Ma se ruotiamo il compasso 65 anni arrivano al 1879; è come dire che questa fetta di generazione riporta a un altro tempo, grandissimo, significativo. Insomma, è passato tanto tempo, ma il fatto che sia passato tanto tempo non consente a nessuno di fare venire meno il fatto fisico della Liberazione di Firenze, il fatto legato alle storie, piccole e grandi, che hanno fatto la Storia con la S maiuscola. Sta in questo senso il nostro desiderio di affidare la commemorazione ufficiale a Silvano Sarti, e con lui all’Anpi. Non è un omaggio o un atto dovuto, è una scelta Politica con la P maiuscola. E’ cioè la scelta di dire che per noi l’11 agosto deve essere sempre di più un momento di ripartenza e un momento educativo, nell’accezione più bella di questa parola, ma l’11 agosto parte dall’impegno di singoli donne e uomini di un popolo che quel giorno di 65 anni fa ha festeggiato in questa città, partendo da un palazzo che è caro a tutti noi e anche a me, palazzo Medici Riccardi, la Liberazione di una terra così unica e orgogliosa, da aver avuto il coraggio di liberarsi da sola. E’ assolutamente vero, è una verità storica che senza l’impegno degli alleati, e senza il sacrificio noi non avremmo conosciuto la libertà. E’ assolutamente vero che senza l’intervento fondamentale innanzitutto degli Stati Uniti d’America e dell’Inghilterra noi probabilmente non avremmo conosciuto la libertà come l’abbiamo conosciuta oggi, saremmo forse la terza generazione del Terzo Reich se non ci fossero state le donne e gli uomini della Liberazione internazionale; ma è anche vero che senza l’impegno, la dedizione, la determinazione delle donne e degli uomini italiani e fiorentini che hanno avuto il coraggio di mettersi in gioco in prima persona e che non hanno atteso le forze alleate per liberare Firenze, questa città sarebbe un po’ meno bella, perché sarebbe stata una città non libera fino in fondo. E per questo vorrei dire grazie a chi c’era e lottò per la Liberazione.
Caro Silvano e cari amici dell’Anpi, mi fa molto piacere che insieme a voi che c’eravate l’11 agosto del 1944 ci sia qui oggi anche un’altra persona che ha accettato il nostro invito, un giovanotto fiorentino che l’11 agosto non era a Firenze. Perché Nedo Fiano era prigioniero ad Auschwitz, colpevole di essere ebreo. Io credo che di fronte a questo sia sempre troppo bassa la voce di chi dice che si può dare il giudizio storico che si vuole rispetto alla gravità di quei fatti, e che quella vergognosa pagina delle leggi razziali non sarà mai contestata a sufficienza.
Ricordiamo quei momenti, che non sono semplicemente per gli studiosi di storia, che in via delle Oche c’era la vecchia sinagoga, che in via de Bardi c’era l’ultimo nascondiglio di Nedo e della sua famiglia, che c’era l’albergo dove lavorare il fratello di Nedo, che non ha avuto la sua fortuna di tornare, come non l’hanno avuta la sua mamma, il suo babbo, il suo nipotino e la sua cognata: ricordiamo quelli che hanno perso la vita nei campi di sterminio. Ogni volta che uno rifà quelle strade è come se tornasse a vivere quella pagina. Io credo che sia importante che allora noi incrociamo le singole storie del passato con il presente. Questo è il senso della richiesta all’Anpi, della presenza qui di Nedo Fiano, di tutti voi. Perché Firenze non chiuda gli occhi sul dolore del mondo, della repressione in Cina e del terrore per motivi religiosi che porta i cattolici pachistani ad essere uccisi. Non solo Firenze tenga alto il proprio sguardo sul dolore del mondo, ma la festa della Liberazione torni a farci domandare cosa significhi oggi per noi la parola libertà. Grazie alla straordinaria pagina della vostra storia ci avete consegnato la libertà di andare a votare, di essere parte democratica, di esercizio delle proprie azioni e dei propri pensieri, ci avete consegnato una Carta costituzionale che ci invita e ci obbliga ad essere uguali nella sostanza. Però, se so che non c’è nessun paragone possibile tra la richiesta di libertà di 65 anni fa e la richiesta di libertà di oggi, vorrei invitare ciascuno di noi a vivere l’11agosto come la festa della libertà con una domanda che ci viene riproposta: cosa significa oggi essere liberi, cosa significa tornare a vivere la libertà come un valore. Vuol dire liberarci dalla mediocrità, dalla rassegnazione, dalla superficialità, dalla sensazione che le cose non si possono fare, da chi ci dice che tutti sono uguali, liberarci dai falsi schemi, liberarci da chi oggi ci dice che non è stata una pagina storica. Oggi ho scoperto con vivo raccapriccio che un consigliere comunale, una persona seria, ci ha invitato a onorare i franchi tiratori della Repubblica di Salò. Io credo che ci sia bisogno di un grande rispetto per tutti i morti, sempre e comunque. La morte è un qualcosa per la quale provare profondo rispetto, che ci mette di fronte alle grandi questioni dell’esistenza e credo che il rispetto e la pietà vengono prima di tutto come parole d’ordine. Ma trovo assurdo che in nome di una memoria condivisa - che è un valore - si possa pensare di equiparare un atto di onore ai franchi tiratori e si possa pensare di fondare la memoria condivisa sulla menzogna. Tra le persone cui dobbiamo rispetto non ci sono soltanto in caduti e coloro che hanno combattuto, ma ci siamo anche noi stessi. Non esiste una memoria condivisa che si fondi su una falsità storica: una memoria condivisa si fonda su rispetto dalla verità e sul rispetto dei fatti e la pietà umana parte da lì, non parte dal tentativo di cancellare e di rimescolare le cose.
Vi chiedo di ascoltare la relazione di Silvano Sarti come un atto che ci richiami a un passato che è lontano ma che ancora è presente negli occhi, nelle orecchie, nel dolore di chi lo ha vissuto. Ma anche come un invito al presente. Un combattente della seconda guerra mondiale, un uomo che ha rischiato la vita, che ha perso un fratello, che combatteva il nazifascismo anche per noi anche se era un americano, quell’uomo che si chiamava John Fitzgerald Kennedy e che sarebbe diventato il più giovane presidente degli Stati Uniti, quell’uomo in un momento di convalescenza dopo la ferita che aveva subito in combattimento ha scritto un libro straordinario: “Profili del coraggio”. E sottolinea nel suo libro come la libertà sia un atto che sta sempre collegato al coraggio. Ci dice John Kennedy che essere coraggiosi non spetta soltanto ai combattenti ma spetta a ciascuno di noi. Essere coraggiosi non richiede qualifiche eccezionali, non richiede una speciale combinazione di tempi, luoghi e circostanze, è un opportunità che prima o poi si presenta a ciascuno di noi. Certo la politica fornisce un’arena nella quale si impongono speciali richieste di coraggio, ma in ciascuna arena della vita, in ciascuna era della vita, uno può trovare la sfida del coraggio e sacrificarsi di fronte alle sfide della propria coscienza, magari perdendo amici, casa, fortuna, denari, ma ciascuno deve decidere per se stesso come seguire la propria corsa verso il coraggio. Le storie che vi ho presentato possono essere definite un ingrediente da cui ciascuno può imparare o avere ispirazione, ma nessuno può tirare fuori il coraggio da queste storie. Il coraggio nasce dalla sfida di ciascuno di voi.. Vorrei che le storie di chi ha condotto l’11 agosto 1944 una pagina di coraggio fossero per tutti noi, in particolar modo per la nuova generazione, in particolar modo per gli studenti e i giovani fiorentini che pensano che quella sia una fiction e non la realtà, un grande invito per vivere la propria vita all’insegna della libertà e del coraggio. Viva Firenze, viva l’Italia.