Questo il testo dell’intervento del sindaco Matteo Renzi per il 66° della Liberazione di Firenze:
«Cari amici di Firenze,
per la nostra città l’11 agosto è, come sempre, un giorno molto bello nonostante il dolore, la commozione, il ricordo.
Ma è un giorno bello perché la città lo vive come un compleanno, il compleanno della sua libertà. In questo momento è particolarmente importante festeggiarlo con lo sguardo aperto e libero. Nella cerimonia militare il pastore David, monsignor Alberti e il rabbino Levi hanno aiutato tutti noi ad allargare il cuore con il pensiero all’allora e all’attualità, con il richiamo al Salmo 8, con l’invito alla responsabilità e ad una cittadinanza attiva. Vale per noi fiorentini ma credo che valga, in questo momento, per tutto il Paese.
Permettetemi, proprio per la particolarità della situazione politica e istituzionale che stiamo vivendo, di riaffermare in questo momento positivo per la città (che ottiene riconoscimenti sulla grande stampa internazionale anche in queste ore, come sul settimanale tedesco Stern) di pensare al nostra Paese con uno sguardo colmo di solidarietà e di grande rispetto per le istituzioni. Vorrei che il primo pensiero di questa giornata andasse al garante supremo delle istituzioni, al Presidente della Repubblica, per il lavoro che svolge e per la sua capacità di essere un punto di riferimento a difesa non soltanto ai valori costituzionali ma dell’idea stessa dell’unità della Patria.
Credo che il tavolo della presidenza, composto dall’onorevole Alberto Cecchi, Silvano Sarti, ‘Lupo’ e Giorgio Pacini, si assocerà nel pensare a quale deve essere oggi il senso dell’iniziativa. Siamo di fronte ad una laica liturgia che va ripetuta ogni anno? Ad un cerimonia stanca che vale soltanto per il passato? O siamo piuttosto a tentare di rinnovare pensieri, sogni, pensieri, emozioni e memorie che ci dicano qualcosa per l’oggi? Intendiamoci, credo che noi dobbiamo anzitutto essere seri con noi stessi e quindi il primo pensiero deve andare a chi ha perso la vita in quei giorni dell’agosto ’44 e nei mesi e anni precedenti.
Vorrei dirlo in particolar modo ai più giovani, a quelli della mia generazione, a quelli più giovani di me: quelli che hanno perso la vita non sono i personaggi del film Avatar o di una playstation. Sono uomini e donne che con quel sacrificio hanno segnato non solo la loro vita ma anche quella delle loro famiglie, abituate da decenni alla presenza di quell’assenza.
Tra i tanti momenti che ci hanno colpito il cuore, quando eravamo ad Auschwitz con un gruppo di studenti delle scuole superiori della Provincia, sicuramente quello della visita alla cella dove era stato costretto e portato alla morte Massimiliano Kolbe. Un personaggio, tra i tanti, che scelse di fare un passo avanti al posto di un altro. Non è certo stato l’unico. Qui in Palazzo Vecchio, questa mattina, c’è una folta rappresentanza dei carabinieri. Come non pensare, quindi, al fiorentino, per formazione, Salvo D’Acquisto e al suo atto di eroismo straordinario che ricorderemo anche con un monumento nelle prossime settimane.
La mente va a quell’episodio perché 40 anni dopo, quando la chiesa cui Kolbe apparteneva, quella cattolica, decise di proclamarlo beato, in piazza San Pietro, quel giorno, con la moglie e i figli, c’era la persona per la quale Kolbe aveva dato la vita. Quell’episodio dovrebbe insegnare qualcosa a tutti. Se ciascuno di noi è qui, oggi, a proclamare parole di libertà e democrazia, lo deve a qualcun altro che ha sacrificato la propria vita.
Ai ragazzi e alle ragazze di Firenze vorrei dire che le persone che qui non vediamo, che quanti sono stati compagni e compagne durante la guerra di Liberazione, che quei sopravvissuti che hanno attraversato a staffetta questi 66 anni, sono per noi come padre Massimiliano Kolbe. Sono coloro che ci consentono oggi di guardare a quella pagina di storia come a una pagina veramente di libertà.
Vorrei dirlo senza nessuna polemica politica, anzi permettetemi di essere felice e fiero di vedere la rappresentanza di tanti partigiani, delle forze militari, delle forze dell’ordine, di parlamentari di entrambi gli schieramenti (e saluto con particolare gioia, li vedo in prima fila, l’onorevole Silvia Della Monica e l’onorevole Gabriele Toccafondi anche nella sua vesta di coordinatore cittadino del PdL).
Questa è la cerimonia di tutti. E il continuo riferimento, che fa qualche consigliere comunale di Firenze, all’idea che per l’11 agosto si debba andare da qualche altra parte lede la memoria collettiva: la festa della Liberazione si celebra in Palazzo Vecchio ricordando la libertà di Firenze.
Amiche ed amici, la memoria non si compra ‘un tanto al chilo’. C’è voluto qualche lustro anche ad autorevoli cariche dello Stato per passare da frasi atroci come ‘Mussolini è il più grande statista del secolo’ a frasi più ragionevoli come ‘Il fascismo è il male assoluto’. Abbiate pazienza, ci arriveranno anche i consiglieri comunali di Firenze che continuano a polemizzare.
Ci vuole un rispetto profondo per tutti e il rispetto per i morti è un rispetto grande. E’ il rispetto per chi ha perso la vita per un ideale ed è un rispetto che ci accomuna. Ma la riscrittura della storia non può essere fatta. A Firenze c’era chi stava con Radio Cora e chi con la banda Carità; c’era chi stava con i 5 ragazzi fucilati a Campo di Marte e chi con i delatori che andavano a denunciare chi nascondeva gli ebrei per 5mila lire.
Noi abbiamo chiaro che, nel rispetto per tutti, c’è però una verità e un’atrocità e noi vogliamo stare dalla parte della verità.
Oggi festeggiamo una libertà e vorrei che evitassimo di alimentare la polemica storica sul come si è liberata Firenze: è evidente, la città si è liberata da sola. Grazie all’orgoglio e alla determinazione di chi ha deciso di farlo prima che arrivassero le forze alleate. Siamo un popolo orgoglioso. Ma permettetemi di dire, con la stessa forza e verità, che se questo Paese è libero lo deve all’aiuto delle forze alleate e a quei ragazzi e ragazze che hanno perso la vita per noi.
Come presidente della Provincia ho partecipato a tanti momenti di ricordo, alle commemorazioni di Sesto, Gavinana, dell’Oltrarno, di Pian D’Albero, di Monte Giovi. Quest’anno, per la prima volta da sindaco, sono andato al cimitero dei Falciani. Lo dico di fronte al console inglese e alla console americana, che ringrazio. E’ straordinario e commovente, e fa venire in ogni momento i brividi sulle braccia, pensare a quei ragazzi di 20 anni strappati dal Nord Dakota piuttosto che dall’Arizona e chiamati a morire per una terra che neanche conoscevano o che magari era stata la terra dei loro padri o dei loro nonni. Una terra che loro hanno onorato con il sacrificio del loro sangue. Nel momento in cui ci diciamo che la Martinella ha suonato per noi, grazie ai fiorentini che si sono liberati da soli, va anche il commosso grazie a chi ha perduto la vita venendo da Oltreoceano per la libertà di questa civiltà e di questa terra.
La Martinella ha suonato questa mattina anche, e soprattutto, per chi i questi 66 ani ha tenuto e tiene vivo ancora con grande determinazione la staffetta di quella memoria. Non sempre sono d’accordo con alcune delle opinioni dei miei compagni ed amici dell’Anpi, dell’Aned o delle associazioni e strutture che vengono dalla lotta di Liberazione. Mi capita talvolta di chiedere un consiglio, sempre mi viene dato, non necessariamente lo seguo e talvolta faccio male. Ma è un rapporto molto bello perché improntato alla lealtà che è un valore più grande della correttezza. E che parte da un presupposto: se noi siamo qui oggi, se questo Salone non parla tedesco e noi non siamo la terza generazione del Terzo Reich è grazie la sacrificio di persone che hanno combattuto per la libertà. E allora, proprio per questa libertà, voglio essere franco fino in fondo. Non ho capito la polemica dei giorni scorsi sul fatto che il consiglio comunale ha autorizzato la presentazione di un libro. Potrei dire: ‘è stato il consiglio comunale’ e lavarmene le mani. Ma non è giusto, non sarebbe quel rapporto franco e di lealtà del quale vi sono debitore.
Se oggi siamo in grado di presentare libri. Se oggi siamo in grado di stampare libri lo dobbiamo al fatto che quella libertà è stata difesa. Non accetto l’idea che si debba proibire la presentazione di un libro che parla del Movimento Sociale al quale partecipa un Ministro della Repubblica cui, come è noto, sono diviso da un’idea globale (politica, culturale e persino calcio e ferrovie, la penso all’opposto su tutto con quel Ministro). La libertà di presentare libri in questo Palazzo non può pensare che qualcuno dica ‘fate uscire il Gonfalone’. Il Gonfalone medaglia d’oro non fugge da Palazzo Vecchio perché è li a ricordarci che libertà e democrazia sono valori straordinari.
Ci sono tanti amici che ogni anno mancano e ci mancano, ma ce n’è uno in particolare che ci ha lasciato da pochi giorni, cui vorremmo dedicare questa giornata. Io l’ho conosciuto quando ero presidente della Provincia e ho visto le emozioni che venivano negli occhi e nei cuori dei ragazzi quando lui con la sua voce flebile raccontava l’esperienza di Mauthausen. Perché a lui dobbiamo, per la sua storia e la sua esperienza, il gemellaggio che abbiamo fatto con quella città. Vorrei che tutti insieme oggi dedicassimo un pensiero dal cuore a Mario Piccioli.
Lui, e lo dico al figlio che è qui con noi, non era Mario Piccioli, ma è ancora Mario Piccioli e continuerà ad esserlo. E continuerà ad essere un punto di riferimento per tutti noi, per le ragazze e i ragazzi che grazie alle iniziative della Regione Toscana, della Provincia di Firenze e dei vari Comuni, all’azione dell’Aned continueranno a ricordare il valore di una esperienza drammatica come il valore che costituisce il senso di un’identità di un popolo.
Noi abbiamo bisogno in questo anno che ci apre ai 150 anni dell’Unità d’Italia, in questo Salone che ha ospitato il Parlamento, di avere dei punti di riferimento identitari e collettivi che costituiscano il senso dell’unità del Paese. L’identità di questo Paese non la dà solo il Risorgimento, la dà l’arte, la cultura, la letteratura. La danno Dante Alighieri e Leonardo Da Vinci, Lorenzo il Magnifico e Galileo e Michelangelo. Ma la danno anche quei testimoni che hanno insegnato ai nostri giovani ad essere cittadini e a non essere comparse. Che hanno insegnato ai nostri giovani a essere protagonisti della loro vita. E questa è la grande sfida culturale che noi abbiamo di fronte: quella di riuscire a vincere una sorta di apatia, di rassegnazione, di delusione, di paura, di rassegnazione delle nuove generazioni. Noi abbiamo bisogno di educarci alla coscienza civica. Ecco perché cari amici dell’Anpi cari maestri di strada, è fondamentale che la testimonianza che voi ogni giorno nelle scuole e in altri luoghi continuate a dare sia una testimonianza che svegli tutti e ciascuno.
Siamo qui oggi in un momento in cui il Governo della Repubblica avverte una difficoltà parlamentare di grande rilevanza e lo stesso si può dire per le forze di opposizione. Ma quello che è importante per una città che si riconosce attorno a dei simboli istituzionali, non è la situazione di come sta il centrodestra o il centrosinistra. E’ la strisciante preoccupazione che l’intero sistema delle istituzioni sia in qualche modo accomunato in un senso di disgusto e di orrore da parte dei cittadini. L’idea che tutti siano uguali, che tutti abbiano qualcosa da nascondere, che tutti abbiano in qualche misura qualche scheletro nell’armadio. Questo sentimento che cresce nel Paese è fonte di preoccupazione per tutte le persone che sono sinceramente democratiche. Perché mina alla base le regole del gioco. Ecco perché io credo che una città debba avere una forza e una capacità di rilanciarsi. Mi piace affidare a un parallelismo dei luoghi. Abbiamo ricordato qualche settimana fa Paolo Barile, un grande maestro del pensiero giuridico e costituzionale di questo Paese. E lo abbiamo ricordato pensando al fatto che lui era stato imprigionato alla Fortezza da Basso.
Abbiamo tante volte sentito parlare della movida di Santo Spirito: sappiamo che Santo Spirito e più in generale l’Oltrarno (penso a piazza Tasso dove faremo, entro questa consiliatura, il Museo della Resistenza, un atto dovuto non alle generazioni che hanno combattuto ma a quelle che verranno) era il luogo della più atroce battaglia di quei mesi. Penso alle Murate, che era sede del carcere e che stiamo restituendo a nuova vita. E potrei proseguire con le Leopoldine, interessate dal terzo lotto dei lavori, il luogo dal quale Mario Piccioli e tanti altri partirono imprigionati.
Credo che un modo per affrontare la crisi delle istituzioni, per noi Comune e città di Firenze, sia quello di costruire dei percorsi amministrativi su quei luoghi che siano in grado di farci capire l’importanza storica ma anche il bisogno di essere coerenti con le promesse elettorali che abbiamo fatto.
Ecco che è importante, per essere credibili come amministratori, dare nuova vita alla Fortezza, a piazza Santa Maria Novella e rilanciare l’Oltrarno. Lo faremmo perché questa città è così bella da non sembrare vera, perché è una città che continua ad avere l’attenzione di tutto il mondo, che continua ad essere considerata un punto di riferimento internazionale. Ma che ha il suo valore più grande non nell’espressione culturale (che pure ci muove e ci commuove ad ogni istante) ma nel fatto che dietro a quella grandezza culturale (che anche oggi ci circonda), c’era e c’è sempre stato un popolo, cioè un gruppo di persone che non ha mai accettato supinamente di fare parte di una comunità ma che si è ritrovato in valori condivisi perché orgoglioso di fare parte della grande storia di Firenze. Se questo è vero allora anche la Liberazione della città, orgogliosamente fatta dal popolo fiorentino, ci invita oggi a considerare la Martinella non soltanto un pensiero del passato ma uno stimolo, un invito in qualche modo un incoraggiamento ad essere noi stessi, persone libere e democratiche.
Viva l’Italia, viva Firenze».
(fd-fn)