Convegno sul ruolo delle assemblee elettive, la relazione del Presidente del Consiglio comunale Alberto Brasca

Questo il testo della realazione del Presidente del Consiglio comunale al convegno "Rappresentanza e politica nel governo locale: il ruolo della assemblee elettive":«Abbiamo promosso questo convegno per riflettere insieme sulle condizioni attuali delle assemblee elettive locali, per ragionare sulle loro prospettive ed auspicabilmente per avanzare qualche proposta diretta a migliorarne la funzionalità e l'efficacia.Ringrazio i numerosi studiosi che hanno aderito a questa iniziativa e le personalità politiche, autorevolissime, che tra oggi e domani ci porteranno il loro contributo.Ringrazio naturalmente anche i colleghi consiglieri comunali e provinciali di tante e diverse realtà del paese che hanno raccolto il nostro invito e che certamente arricchiranno la nostra riflessione sulla base delle loro esperienze.Introducendo brevemente i lavori, per quanto mi riguarda mi limiterò a ripercorrere le domande che nel corso della mia esperienza di Presidente del Consiglio comunale di Firenze sono andato via via ponendomi e che in qualche modo scandiscono la scaletta dei temi che saranno affrontati nelle relazioni che seguiranno.I nodi fondamentali su cui ragionare, schematizzando, a me sembrano tre:1. Il livello di effettiva legittimazione delle assemblee elettive come luoghi di rappresentanza democratica dei cittadini;2. L'adeguatezza e i limiti dei compiti che sono affidati alla responsabilità delle Assemblee elettive;3. L'adeguatezza e i limiti degli strumenti operativi e funzionali messi a disposizione delle Assemblee elettive per lo svolgimento in concreto del loro ruolo.Per ciascuno di questi tre nodi vorrei provare ad articolare in termini più espliciti qualche domanda e qualche spunto di riflessione.********Sulla prima questione: "L'effettiva legittimazione delle Assemblee come luoghi di rappresentanza dei cittadini".Ecco, io credo sia una questione importante, di cui si parla poco nei nostri convegni, dando un po' per scontata una nostra piena legittimazione come organo di rappresentanza. Ed è vero, indubbiamente, che una legittimazione c'è perché i consiglieri comunali e provinciali sono eletti. E le elezioni sono certamente una legittimazione forte.La questione che mi pongo però non è formale ma sostanziale: è davvero una legittimazione effettiva? I cittadini, in altre parole, al momento del voto delegano davvero la tutela dei loro interessi ai candidati che andranno a comporre il Consiglio comunale o il Consiglio provinciale?E la realtà di oggi è uguale a quella di ieri oppure i contenuti della delega sono venuti ad attenuarsi a seguito delle modifiche istituzionali e politiche intervenute in questi anni? Non sono sicuro se è un bene o un male ma l'impressione di un indebolimento della forza di rappresentanza delle Assemblee elettive locali, oggi rispetto ad ieri, è un impressione forte.Mi limito a tre riflessioni, che almeno per me, sono alla base di questa impressione forte.La prima è sul nuovo sistema elettorale.Ieri si eleggevano direttamente solo i Consigli, e gli esecutivi erano loro espressione. Non ho rimpianti e sono ben consapevole dei guasti trasformistici e dell'instabilità cronica che si era prodotta, ma è un fatto che la forza di rappresentanza delegata ai Consigli era formalmente e sostanzialmente molto più forte.L'elezione diretta del Sindaco e distintamente del Consiglio articola in un'attribuzione separata, dualistica, la delega di rappresentanza che si esprime con il voto, e la fortissima polarizzazione che inevitabilmente si produce nella campagna elettorale sui candidati sindaci mette molto in ombra l'elezione dei Consigli. Comunque ne attenua la centralità che avevano ieri. Di più. L'elezione diretta del Sindaco, a me pare, è stata generalmente accolta come una grande innovazione, forse come la più rilevante innovazione istituzionale di questi anni, certamente come una rottura di continuità con il passato. L'elezione dei consiglieri, in questo quadro, è vissuta come un fatto secondario e talvolta, forse, addirittura come residuo del vecchio e insoddisfacente assetto. Può piacere o no, ma a me sembra un dato di fatto.La seconda questione che mi fa riflettere sull'indebolimento della forza di rappresentanza delle Assemblee è la crisi dei partiti politici.L'evoluzione della democrazia nell'Italia repubblicana è fortemente segnata dal protagonismo dei partiti politici.Per molti anni, e tralasciamo in questa sede le indubbie distorsioni che ci sono state e i ruoli eccessivamente invasivi che abbiamo registrato, per molti anni i partiti politici sono stati il punto di riferimento privilegiato dai cittadini per avanzare le loro istanze di partecipazione alla vita pubblica. Certo, anche ieri c'era il sindacato, l'associazione di categoria, il circolo culturale, magari anche il Comitato su un obiettivo particolare, ed erano vissuti tutti come momenti aggregativi importanti, ma in modo diffuso con la consapevolezza della loro parzialità. Il riferimento vero, l'interlocutore fondamentale da cui ci si attendeva la tutela degli interessi complessivi, la risposta ai problemi generali, la ricetta per il governo del territorio e del paese era il partito politico, piccolo o grande che fosse, di destra, di centro, o di sinistra a seconda delle diverse collocazioni individuali, ma sempre il partito politico.Il rapporto di fiducia con il proprio partito era generalmente forte e di fatto il partito politico era il destinatario primo della delega di rappresentanza.L'Assemblea elettiva, eletta sulla base delle liste di partito, si caricava di rappresentanza anche per effetto di trascinamento della forza rappresentativa dei partiti. Fondava la sua autorevolezza sulla forza di rappresentanza dei partiti, sul rapporto di fiducia tra cittadini e partiti politici. Ciascuno il suo, naturalmente.La crisi di rappresentanza che si registra oggi nei partiti politici produce l'effetto di trascinamento contrario anche nelle Assemblee elettive. Si registra forse una maggiore autonomia dell'Assemblea ma, a mio avviso, una minore forza rappresentativa.Lo accennavo prima: il Consiglio rischia di configurarsi un po' come residuo del vecchio assetto partitico. Mentre il nuovo è fondamentalmente il Sindaco, che non a caso è tanto più apprezzato quanto più è sopra i partiti, quanto più si rapporta ai cittadini senza la mediazione dei partiti. Il candidato ideale è bene che non sia troppo timbrato dall'appartenenza ad un partito. E se lo è deve comunque presentarsi con una caratterizzazione che ne garantisca l'autonomia. Non so se sono impressioni soggettive. A me pare che siamo di fronte a modificazioni profonde nei rapporti tra cittadini e partiti e tra società civile ed istituzioni, modificazioni che meritano una riflessione e un approfondimento.La terza riflessione sull'indebolimento della forza rappresentativa delle Assemblee è sotto i nostri occhi quotidianamente ed è costituita dalla vistosa crescita di momenti di autoorganizzazione della società civile che in alternativa alla delega ai consigli chiedono un'interlocuzione diretta con l'istituzione e prioritariamente con il Sindaco e la Giunta.Certo, l'interlocuzione con soggetti esterni è una consuetudine storica, un dato consolidato della storia democratica delle nostre istituzioni. Mai le assemblee elettive sono state caratterizzate come il momento esaustivo delle istanze provenienti dalla società.È però la vistosa crescita di questa interlocuzione, e la sua accresciuta forza di condizionamento che mi preme sottolineare e su cui è necessario riflettere.È una considerazione ovvia ma vale la pena sottolinearla: un'intesa diretta tra il Sindaco e un'associazione di categoria per affrontare in un certo modo un problema, un accordo tra un assessore e un comitato sul modo di risolverne un altro sono altrettante sottrazioni oggettive di capacità rappresentativa dei Consigli. Se questa pratica diventa prassi quotidiana lo svuotamento dei Consigli è ineluttabile. Ecco a me pare che ci siano segnali ed anche tentazioni forti di andare in questa direzione.Noi, in altri convegni e in altre occasioni, abbiamo lamentato una certa vocazione dei Sindaci a sottovalutare il ruolo dei Consigli. Ma proviamo ad assumere il loro punto di vista. Non credo sia solo un fatto di pigrizia, o di fastidio per le lungaggini dei dibattiti in aula.Io penso che sia, anche e soprattutto, una consapevole scelta politica, che almeno a breve termine paga certamente di più.Domandiamocelo senza pregiudizio: è più aperto e democratico il Sindaco che per operare le sue scelte si rapporta quotidianamente con il suo Consiglio e che subordina la loro attuazione al suo preventivo consenso; o piuttosto il Sindaco che si rapporta ai sindacati e alle associazioni di categoria, che risponde alle istanze delle associazioni culturali e di opinione, che concorda con i comitati la soluzione dei problemi avanzati? Sarà più popolare il primo o il secondo?Lo so che si può conciliare ruolo dei Consigli e istanze diverse di partecipazione. Schematizzare serve per farsi capire meglio, per evidenziare le tendenze in atto. E la tendenza ad un ulteriore espropriazione di rappresentanza dei Consigli per questa via a me pare tutt'altro che teorica.Chiudo questi spunti di riflessione sulla crisi di rappresentanza delle Assemblee elettive con alcune brevissime e personalissime considerazioni.Io credo che il recupero di rappresentatività delle Assemblee elettive, al di la delle normative in essere e della loro evoluzione, sia una grande priorità politica.La "reductio ad unum" può forse garantire maggiore efficienza a breve, ma a tempi lunghi, se non è bilanciata da un controllo democratico forte e continuativo è destinata a produrre un impoverimento della democrazia.Non so prevedere se e come i partiti politici riusciranno a riacquisire una centralità nell'assetto democratico del Paese. Mi fa paura, però, una prospettiva di ulteriore frammentazione delle forme di autoorganizzazione della società. Tutelare l'interesse generale è un'operazione un po' più complessa della semplice sommatoria dei particolarismi, talvolta magari anche nobili.Senza un recupero della politica, senza una reale qualità politica della rappresentanza, se il governo diventa contrattazione con gli interessi particolari, con le sollecitazioni di pezzi frammentati della società civile è inevitabile che prevalgano gli interessi di chi è più forte o nella migliore delle ipotesi di chi grida di più.Sul primo nodo io mi fermo qui. Nessuna ricetta. Nessuna terapia. Sarei soddisfatto se solo fossi riuscito a mettere almeno una pulce in qualche orecchio. Che di questa tematica si cominciasse a discutere.********Il secondo nodo che ho enunciato all'inizio è quello dell'adeguatezza e dei limiti dei compiti che sono affidati ai Consigli.Le relazioni previste oggi pomeriggio forniranno un quadro ragionato e analitico. Ed io non voglio certo farne qui un riassuntino. Mi limito a qualche domanda e a qualche spunto di riflessione.Al di là dei problemi della forza di rappresentanza di cui ho appena parlato, ed a prescindere da questi, credo che sia sostanzialmente vera sempre un'equazione molto semplice: "L'importanza di una istituzione, o di una assemblea, è direttamente proporzionale all'importanza dei poteri che esercita".Sotto questo profilo che i Consigli comunali e provinciali siano assemblee importanti, a me pare fuori discussione. Lo erano ieri e lo sono oggi.Non voglio fare l'elenco analitico delle attribuzioni previste all'art. 12 del testo unico (DL 267/00).Un organo che approva il bilancio e le sue variazioni, i piani urbanistici e ogni loro variante, i principali programmi dell'Ente, che decide sugli acquisti e le dismissioni immobiliari, sugli appalti e le concessioni, che ha potestà regolamentare su tutte le materie, che ha la titolarità delle funzioni di indirizzo e di controllo, che con un voto può mandare a casa il Sindaco eletto direttamente dai cittadini è certamente un organo importante.E d'altro lato per dare un giudizio sull'adeguatezza del riparto di competenze tra organi diversi non possiamo muovere da logiche sindacali ma da logiche di funzionalità.Il valore da tutelare è la funzionalità dell'Ente non certo il potere dell'organo.Ieri i Consigli avevano più poteri, deliberavano praticamente su tutto, ma ho molti dubbi che ne beneficiasse la funzionalità dell'ente. I processi decisionali, anche sulle questioni minute, erano molto più lenti e la stessa dignità dei Consigli era spesso mortificata dal dovere di ratificare centinaia di atti senza la possibilità di conoscerli realmente.Il riparto attuale è sicuramente più congruo e convincente, e sostanzialmente idoneo, io credo, anche ad affermare una più forte diffusione del principio di responsabilità.La crisi di identità, lo spaesamento che caratterizza in modo diffuso il ruolo dei Consiglieri oggi, non credo dipenda dalla inadeguatezza delle attribuzioni ma piuttosto da una ancora incompiuta consapevolezza del nuovo ruolo che siamo chiamati ad assolvere.Credo che pesi negativamente, soprattutto nei consiglieri di maggioranza, magari in termini inconsapevoli, la riduzione di rappresentatività di cui parlavo prima; e ancora il permanere di una cultura consolidata per cui il potere effettivo si manifesta non tanto nel concorso a un processo decisionale ma attraverso il potere di decidere direttamente sui singoli atti; credo che pesi negativamente soprattutto la indefinitezza procedurale che ancora si registra per rendere certi e concretamente gestibili i poteri attribuiti.Quest'ultimo punto merita qualche esemplificazione. E naturalmente estremizzo per essere più chiaro.Approvare il bilancio preventivo è un potere reale, forte. Ma è reale e forte se reale e forte è stato il coinvolgimento nella fase della sua formazione, nella selezione delle scelte di spesa, nella individuazione delle fonti di entrata.Se il bilancio è un pacco di numeri e di scelte confezionato altrove, consegnato all'Assemblea solo qualche giorno prima della scadenza, con il vincolo implicito del prendere o lasciare, la sua approvazione per la maggioranza consiliare più che un potere è un atto di fede. E il voto negativo, per la minoranza, più che la prospettazione di un'alternativa possibile è una scelta obbligata nel gioco delle parti.Facciamo un altro esempio.Il Consiglio, dopo gli opportuni confronti istruttori in Commissione e dopo un lungo e approfondito dibattito in aula approva una mozione d'indirizzo con cui si individuano due o tre obiettivi precisi e importanti che caratterizzano politicamente l'azione di governo in un determinato settore. Si indicano anche i termini temporali entro cui conseguirli.Con l'atto di approvazione, indubbiamente, il Consiglio ha esercitato un potere forte, tanto più significativo se l'Assessore competente su quegli obiettivi era inerte o magari tendenzialmente freddino.Questo potere però è reale se alla scadenza gli obiettivi indicati sono conseguiti.Se alla scadenza si scopre che non è successo nulla o, come talvolta può accadere, sono stati conseguiti obiettivi del tutto diversi, in questo caso credo sia legittimo dire che non si è esercitato un potere ma molto più semplicemente che si è perso tempo.Ho fatto due esempi. È evidente che un ragionamento analogo può essere fatto sostanzialmente per tutte le attribuzioni consiliari.Io riassumerei così: i poteri congrui ci sono; il rischio di un loro svuotamento è alto.E mi domando: è possibile limitare questo rischio con previsioni regolamentari attente, che non ritardino l'azione di governo ma favoriscano comunque il confronto e la collegialità, il pieno coinvolgimento delle Assemblee, il rispetto dei loro deliberati?Dalle relazioni di oggi io auspico che possa venire qualche suggerimento e qualche proposta.Al di là delle procedure e dei vincoli di legge, tuttavia, che pure sono molto importanti perché lo spazio di decisione deve essere certo e non affidato alla buona disponibilità del Sindaco o di qualche Assessore, il nodo vero resta la politica e le sue logiche ineluttabili.Si possono mettere i vincoli giuridici che si vuole. Se c'è conflitto, in ultima istanza, quello che decide sono i rapporti di forza.E' un principio assolutamente evidente nei rapporti tra le forze politiche, tra maggioranza e minoranza. Ma è un principio che vale anche nei rapporti tra gli organi.Se un Consiglio, o diciamo meglio una maggioranza consiliare è trascurata dal Sindaco e dalla Giunta o peggio in caso di divergenze su determinati provvedimenti soccombe, molto semplicemente vuol dire che i rapporti di forza privilegiano il Sindaco e la Giunta rispetto alla maggioranza consiliare.E' un rapporto di forza non misurabile con i numeri, come succede nei rapporti tra maggioranza e minoranza, ma è ugualmente evidente. Altrimenti succederebbe il contrario, sarebbero Sindaco e Giunta a piegarsi alla volontà della maggioranza consiliare.Qui torna la centralità, a mio avviso, del livello di legittimazione effettiva della rappresentanza democratica di cui parlavo all'inizio.E più che un problema d'ingegneria istituzionale è un problema politico che può essere affrontato solo con la politica.Non mi convince l'obiezione di chi sostiene che la debolezza consiliare deriva dal fatto che i Consiglieri avrebbero un solo colpo in canna, quello di sfiduciare il Sindaco e conseguentemente anche loro stessi.Intanto perché questo colpo ha una deterrenza duplice, vale sia per il Consiglio che per il Sindaco, e in qualche modo li rende specularmente prigionieri. Senza privilegi per nessuna delle due parti.Ma non mi convince perché non è vero che i Consiglieri hanno un solo colpo in canna. Ne hanno almeno tanti quanti sono i provvedimenti che vengono portati alla decisione del Consiglio. Si può in teoria sparare su tutti. E se scorriamo l'art. 12 del T.U. sarebbe una battuta di caccia con i fiocchi.Gli strumenti per incidere, per condizionare Sindaco e Giunta a un coinvolgimento preventivo più diffuso ci sono. Se si utilizzano poco o comunque in modo insoddisfacente è per una più o meno consapevole debolezza politica, o per una insufficiente capacità di proposta.Se questo è vero per una piena affermazione di una nuova centralità dei Consigli non ci sono scorciatoie.E' necessario riacquisire sul campo una vera legittimazione politica ed elevare la qualità di proposta che siamo in grado di esprimere. Credo sia vero, in buona sostanza, che si conta per quello che si vale.Un Consiglio sarà tanto più incidente quanto più alta sarà la sua capacità di interlocuzione e di proposta.Qui sta il cimento, oggi.C'è da chiedersi si ci sono le condizioni e gli strumenti per un obiettivo di questo tipo.********E veniamo al terzo ed ultimo punto enunciato in premessa, quello dell'adeguatezza e dei limiti degli strumenti operativi e funzionali dei Consigli.L'obiettivo di elevare la qualità di interlocuzione e di proposta dei Consigli non può ridursi ad un appello volontaristico ai Consiglieri. Occorrono idonei strumenti operativi ed idonee condizioni di funzionalità. Qui, a mio avviso, c'è lo spazio legittimo per un'azione rivendicativa perché da sempre la partita che si gioca nelle istituzioni locali tra Giunta e Consiglio non è una partita ad armi pari.Da una parte, i componenti della Giunta, almeno negli enti di una certa dimensione, usufruiscono di uno status che li mette in condizione di operare a tempo pieno, e di poter fondare la propria iniziativa sulla base di dati, rapporti, indagini, progetti elaborati da uffici propri e spesso anche da consulenti esterni.Dall'altra parte i Consiglieri mantengono lo status di dilettanti (consentitemi il gergo sportivo), continuano cioè ad esercitare il loro lavoro dedicando all'attività politico-amministrativa un tempo necessariamente parziale, e per avanzare le loro proposte possono contare sostanzialmente solo sulla loro personale competenza ed esperienza.Nel vecchio sistema questo assetto aveva una logica, magari non compiutamente soddisfacente, ma l'aveva.Non c'era la netta distinzione di ruoli tra gli organi, tra indirizzo e controllo da un lato e governo e gestione dall'altro. La conduzione dell'ente era sostanzialmente unitaria. Sindaco e Giunta erano espressione del Consiglio ed era in qualche modo naturale che il Consigliere di maggioranza più autorevole facesse il Sindaco, che i più qualificati sotto il profilo amministrativo facessero gli Assessori; poi c'erano ruoli tutti politici esercitati in aula da Consiglieri che erano anche e soprattutto dirigenti di partito, e infine c'era un altro gruppo di Consiglieri, che era previsto sin dalle elezioni che una volta eletti avrebbero fatto solo i Consiglieri, avrebbero portato consiglio, cioè, con contributi specifici solo su alcune questioni nelle quali erano peculiarmente competenti per la loro professione o per una loro vocazione personale.Era un assetto, insomma, in cui era preventivata una sorta di divisione del lavoro, una diversificazione anche quantitativa dei carichi d'impegno.Quanto ai Consiglieri di minoranza non avevano molto da pretendere. Erano quelli che avevano perso, facevano ovviamente l'opposizione meglio che potevano con il sostegno ed il supporto dei loro partiti e soprattutto si impegnavano molto per cogliere ogni opportunità per diventare maggioranza. Non tanto alle elezioni successive, come è naturale, ma possibilmente nel corso dello stesso mandato. Cosa che succedeva spesso e che per fortuna non succede più. Io ho fatto il Consigliere di minoranza e queste cose le ho vissute.In quell'assetto li lo squilibrio Giunta-Consiglio si avvertiva molto meno, era in qualche modo nell'ordine naturale delle cose.Oggi la distinzione dei ruoli è molto netta.I due organi hanno investiture diverse e compiti diversi. C'è addirittura incompatibilità tra i due ruoli.I compiti del Consiglio sono limitati ma molto precisi e molto importanti. L'indirizzo e il controllo non sono catalogabili tra le cose semplici, quelle che si fanno improvvisando, magari buttandola in politica. Sono funzioni assolutamente primarie della politica amministrativa ed esercitarle comporta conoscenza approfondita dei problemi, documentazione, studio, collaborazioni, confronti preventivi, tempo.Un maggiore impegno dei Consiglieri è ineludibile ma è solo una precondizione. E' necessario creare le condizioni e modulare l'organizzazione perché questo maggiore impegno sia realisticamente esercitabile.Non siamo all'anno zero. Le cose stanno cambiando, sono già notevolmente cambiate, e l'evoluzione legislativa recente (L. 267/99) aiuta il cambiamento.Prendiamo tre questione sulle quali il processo di innovazione è avviato e sui cui peraltro occorre andare ancora avanti.La nuova disciplina sullo status dei Consiglieri è certamente un passo avanti significativo, sia per quanto riguarda i permessi dal lavoro sia per quanto riguarda gli emolumenti. Le condizioni per operare, sotto questo profilo, cominciano a delinearsi. E' necessario, però, andare ancora un po' più avanti. Non è tollerabile il tentativo di tornare indietro.Nessuno chiede un'equiparazione di status con i membri della Giunta perché è pur vero che permane una sostanziale differenziazione di carichi di lavoro e di responsabilità. E a fronte di questa differenziazione di carichi è giusto che corrisponda una differenza di trattamento.Però deve esserci pari dignità. Le bizzarre contraddizioni e il rigido fiscalismo di alcune recenti circolari interpretative del Ministero degli Interni offendono il buon senso e prima ancora la dignità. Che senso ha misurare il lavoro dei Consiglieri sull'unico parametro rigido delle presenze formali alle sedute consiliari e delle Commissioni?La legge ha previsto che sia possibile optare per l'indennità. Lasciamo che sia il Consiglio a decidere autonomamente, nell'ambito del tetto previsto, come quantificarla e come articolarla.Una seconda questione importante è quella dell'autonomia organizzativa dei Consigli. Anche qui è stato già fatto molto anche se molto resta da fare.Il consolidamento del ruolo istituzionale dei Presidenti mi pare compiutamente risolto. La costituzione di un ufficio direzionale proprio dei Consigli è concretamente avviata in tanti Comuni. Le condizioni operative e i supporti funzionali alle Commissione e ai Gruppi consiliari stanno progressivamente migliorando.Ecco, io credo che questo resti comunque un terreno privilegiato di iniziativa e di pressione perché le buone condizioni di funzionalità sono assolutamente decisive per svolgere bene il proprio ruolo.Non è la stessa cosa se una Commissione può avvalersi di una segretaria che risponde al telefono e batte a macchina un parere ovvero se può contare su un funzionario esperto del settore che predispone la documentazione e imbastisce l'istruttoria.E non è la stessa cosa se un gruppo consiliare viene relegato in una stanzuccia ovvero se gli vengono assegnati ambienti idonei, una saletta per le riunioni, collegamenti informatici con tutti gli uffici, un budget congruo per sviluppare iniziative autonome e per attivare consulenze esterne se ritenute necessarie.Io non conosco la situazione dei Comuni e delle Province d'Italia. Conosco bene la situazione del mio Comune, che non credo sia l'ultimo, e dico che il cammino da fare è ancora lungo.La terza e ultima questione è quella del rapporto tra Consiglio e struttura operativa del Comune.Mi pare una questione importante perché in ogni caso non sarà possibile, e non sarebbe nemmeno giusto, spingere l'autonomia organizzativa sino ai livelli dell'autosufficienza.Credo che sia assolutamente da incoraggiare una interlocuzione stretta tra Consiglio e struttura operativa dell'ente e soprattutto tra Commissioni e dirigenza.Sono le commissioni consiliari, infatti, il luogo privilegiato di elaborazione degli indirizzi e di esercizio del Controllo.E deve passare la linea che la struttura operativa dell'ente e in primo luogo i dirigenti sono dipendenti del Comune, di tutto il Comune e non solo della Giunta.La loro presenza e il loro supporto tecnico al lavoro delle Commissioni deve essere la norma e non l'eccezione. La loro disponibilità alla trasmissione degli atti, io dico anche quelli in itinere, deve essere massima; non sono tollerabili segreti, reticenze, omissioni. Ci vuole il massimo di trasparenza e il massimo di disponibilità. Che poi la dipendenza funzionale faccia capo all'Assessore è normale. Basta che il dirigente non sia il suo consulente personale, perché questo non sarebbe giusto, e nemmeno dignitoso per il ruolo dirigenziale pubblico che è chiamato a svolgere.Colleghi, chiudo qui le riflessioni che ho ritenuto utile esporvi. Sono consapevole che su alcune ci sarà ampio consenso, su altre meno, su altre ancora ci sarà magari netto dissenso. Ma non avremmo convocato un convegno se avessimo avuto delle verità da comunicare.I convegni si fanno per discutere, per attivare un confronto, se possibile per trovare delle sintesi. E il confronto è tanto più vero quanto più esplicite sono le differenze. Io non mi sono autocensurato. Vi ho esposto le mie riflessioni consapevole della loro parzialità. Mi auguro che da un confronto vero in queste due giornate possano emergere idee e proposte per un rinnovato slancio della nostra iniziativa nelle istituzioni locali a servizio dei cittadini.Vi ringrazio.»(fn)