La Trinità di Masaccio: La storia dell'affresco, il restauro

La storia dell'affrescoLa Trinità fu dipinta da Masaccio, probabilmente nell'anno1424, sulla parete della terza campata nella navata sinistra della chiesa di Santa Maria Novella in Firenze, dove oggi, alla fine di diverse vicende, si trova. L'opera si pone sicuramente come uno dei capisaldi dell'arte occidentale, uno dei massimi emblemi della cultura umanistica e, con buona certezza, la pittura su muro che più mostra i segni della ricerca prospettica al limite dell'esasperazione. Giorgio Vasari la cita come opera notevole nella "vita" del pittore. Ciò non gli impedì comunque di occultarla alla vista, un secolo e mezzo dopo la sua esecuzione, quando, nelle vesti di responsabile dei monumenti del Granducato, ebbe l'incarico di dare un volto "moderno" alla chiesa domenicana. Fu così infatti che venne addossato alla pittura un grande altare in pietra che ovviamente si ammorzava profondamente nella parete. Quindi gran parte della pittura venne distrutta in questa operazione ed il resto fu coperto da una pala d'altare. La pittura masaccesca ritornò alla luce alla metà del XIX secolo, quando si decise di togliere gli altari cinquecenteschi per sostituirli con altri più "in stile" con l'edificio. Il restauratore Gaetano Bianchi staccò quindi la pittura, la fornì di un nuovo supporto e la collocò nella controfacciata. Alla metà del secolo scorso furono scoperte sulla parete della navata tracce della pittura staccata e l'intera immagine della Morte (zona inferiore e terminale dell'affresco): si ritrovava così l'esatta collocazione dell'opera. L'affresco staccato venne quindi restaurato e ricollocato al suo posto dal restauratore Leonetto Tintori, che conservò comunque in quell'occasione il supporto e le aggiunte pittoriche dell'Ottocento, eseguite in sostituzione della molta pittura ormai perduta.Testo a cura dell'Opificio delle Pietre Dure di FirenzeIl restauroMasaccio realizzò la Trinità in 27 giornate di lavoro, sostanzialmente a fresco, con le consuete eccezioni per la stesura delle campiture ad azzurrite e per l'applicazione delle lamine metalliche delle aureole, poste sull'intonaco secco per mezzo di leganti organici. La trasposizione del disegno sull'intonaco è affidato alla battitura di corda e all'incisione diretta.Lo stato di conservazione dell'affresco, decisamente non buono, è in gran parte da attribuire alle vicissitudini storiche che l'opera ha attraversato. L'inserimento dell'altare vasariano distrusse praticamente tutta l'incorniciatura della scena sacra e provocò grandi lacune che interessano i due donatori e la Vergine. I tre secoli in cui la pittura superstite rimase racchiusa, in uno stretto spazio, dietro la tavola d'altare accumularono certo su di essa molto sporco, che aveva agio di attaccarsi alle asperità naturali dell'intonaco nonchè alle rotture provocate nei lavori cinquecenteschi. Oltre a ciò sulla pittura scorrevano, e ristagnavano, le infiltrazioni di pioggia provenienti dalla soprastante finestra. Sulla pittura di Masaccio infatti si leggono oggi le conseguenze di questo (soprattutto nella generale abrasione della superficie, nella debolezza della pellicola pittorica e nella instabilità di alcuni pigmenti) oltre ad altri fenomeni simili ma meno facilmente spiegabili. Tra questi è notevole, al centro dell'affresco, la forte abrasione provocata da un rapido processo corrosivo di un liquido colato dall'alto (con molta probabilità una sostanza acida usata per pulire il frontone in pietra dell'altare). Quando nel 1859 l'affresco fu staccato subì ancora gravi danni. Esso si presenta infatti straordinariamente abraso nella metà superiore e completamente frantumato in quella inferiore. Le tante rotture dell'intonaco danno ancor oggi alla pittura un aspetto discontinuo e non planare, tale da favorire, oltretutto, l'accumulo di sostanze estranee e deturpanti. Il restauratore ottocentesco provvide inoltre solo ad una sommaria pulitura dell'opera, tanto sporca da mostrare i suoi colori originali molto falsificati: cosa che lo portò inevitabilmente a "sbagliare" la cromia delle reintegrazioni delle lacune. Se la pulitura fu sommaria il consolidamento della pellicola pittorica fu invece consistente ed effettuato a base di uovo e olio. Queste sostanze, probabilmente aggiunte anche in seguito, furono infatti ritrovate sulla superficie del dipinto durante il restauro del 1950, insieme a residui della colla usata nel distacco ottocentesco, e correttamente individuate dal restauratore Leonetto Tintori come responsabili dell'estremo decadimento della pittura, in cui il colore si mostrava in gran parte sollevato e prossimo a cadere. Il restauro del 1950 si indirizzò quindi prevalentemente a bloccare il gravissimo problema delle cadute di colore e a rimuovere, per quanto possibile, le sostanze estranee presenti sulla superficie. Ma una cospicua parte di tali sostanze restò comunque sulla pittura, amalgamandosi nel tempo con molto sporco comune, molte sostanze inquinanti (sali di vario genere) e materiali organici vari (i fissativi del 1950, fumo di candela, idrocarburi incombusti). Tutto ciò aveva dunque ricreato, al momento del nostro restauro (iniziato due anni fa, primavera 1999), un consistente strato eterogeneo, fonte di tensioni pericolose, a lungo andare tendenzialmente distruttive per ciò che restava della già tanto martoriata pittura di Masaccio. Nostro compito è stata quindi sostanzialmente la rimozione attenta, accurata e differenziata delle sostanze sovrammesse agli elementi pittorici originali; si è quindi proceduto al consolidamento (tramite materiali minerali) della superficie, resa molto porosa dalle varie vicende conservative, e di alcune stesure cromatiche, molto indebolite e quindi instabili. La necessaria reintegrazione pittorica, anch'essa attenta e differenziata, ha completato l'intervento.Il celebre affresco di Masaccio, risanato e liberato da ciò che gli era improprio, deturpante e dannoso, offre ora un volto sicuramente più autentico, pur nella sua frammentarietà, ed anche nuove chiavi di lettura storiche, artistiche e scientifiche.Testo a cura dell'Opificio delle Pietre Dure di FirenzeSchedaNella primavera del 1999, grazie al prezioso contributo economico che l'Ente Cassa di Risparmio di Firenze, il Comune di Firenze ha avviato i primi contatti con l'Opificio delle Pietre Dure per lo studio del progetto di intervento, che è stato poi redatto dallo stesso Opificio e da esso portato a termine circa due anni dopo dai restauratori Maria Rosa Lanfranchi e Fabrizio Bandini, con la collaborazione, in alcune fasi dei lavori, dei restauratori dell'Associazione Temporanea di Imprese Fiorentine Cellini, R.A.M., P.T. Color e Decoart, che hanno eseguito il restauro della Chiesa.Pur avendo accumulato nel corso degli anni una notevole esperienza nella direzione del restauro di pitture murali, il servizio Fabbrica di Palazzo Vecchio Ha condiviso le responsabilità, ed anzi ha ceduto la direzione scientifica dell'esecuzione dell'intervento a Cristina Danti, partecipando comunque alle scelte determinanti per la restituzione dell'opera nella sua integrità.Esecuzione del restauroOpificio delle Pietre Dure Soprintendenti: Giorgio Bonsanti (fino al Febbraio 2000), Cristina Acidini (dal Marzo 2000). Progetto e Direzione Tecnico – scientifica del restauro: Cristina Danti e Mauro Matteini Restauratori: Fabrizio Bandini e Maria Rosa Lanfranchi Indagini Chimico – analitiche: laboratorio scientifico diretto da M. Matteini Documentazione fotografica in luce normale e radente: Sergio CiprianiComune di Firenze Direzione dei lavori: Ugo Muccini Collaborazione tecnica: Laura Corti Coordinatore per la sicurezza: CapassoHanno collaborato ai lavori di restauro le ditte Cellini, P.T.Color, Decoart e R.A.M.riunite in Associazione Temporanea di ImpreseFoto: Antonio QuattroneDocumentazione Fotografica in IR e UV: Ditta PanartRilievo Fotogrammetrico: Massimo ChimentiInformatizzazione di tutta la documentazione dei lavori: Iain Anthony Mac Leod Le opere sono state concretizzate con il contributo della Cassa di Risparmio di Firenze