Inaugurata in Sala D'Arme di Palazzo Vecchio la mostra Scultura Monumentale' di Sophia Vari
Sono 11 grandi sculture policrome di Sophia Vari esposte da oggi nella sala D'Arme di Palazzo Vecchio. Per la precisione nove all'interno e due all'ingresso su piazza Signoria. Si tratta di una personale' di questa artista di nascita greca e di formazione cosmopolita, che risiede ogni anno per lunghi periodi a Pietrasanta. Un altro evento culturale dell'estate 2002 a Firenze promosso e organizzato da Firenze Mostre, dall'assessorato alla cultura del comune di Firenze e dalla Soprintendenza ai Beni Ambientali ed Architettonici delle Province di Firenze, Pistoia e Prato. Opere di concezione moderna vengono esposte in un ambito di antichissima tradizione: è l'arte che esce allo scoperto, per offrire ai cittadini e ai turisti un'opportunità di conoscenza e di apprezzamento di nuovi linguaggi visivi, stimolando la riflessione e il confronto.Nata come pittrice, seguace della maestosa figuratività di Rubens, Sophia si è volta alla scultura per soddisfare, dice, un'esigenza interiore che la bidimensionalità del dipinto non era più in grado di accontentare. "La pittura è un'illusione, un trompe l'oeil: io volevo toccare, volevo volume. Volevo poter girare intorno all'opera, darle forma nello spazio, sentire che ciò che avevo creato esisteva davvero".Così, dopo anni di studio e di ricerca, prima ad Atene, poi a Londra e infine a Parigi, dove ha anche insegnato per lungo tempo pittura, Sophia ha affrontato un nuovo percorso, e ha trovato l'espressione ideale della propria creatività plasmando la materia e dandole la forma concepita dalla sua mente. La svolta, per lei, è avvenuta nel 1969, anche grazie ad un incontro "illuminante" con Henry Moore: la colpì l'armonia delle forme delle opere del grande scultore, ma anche, e soprattutto, la monumentalità, evidente anche nei modelli di piccolissimo formato.Armonia e monumentalità sono, per Sophia Vari, le caratteristiche che contraddistinguono l'opera d'arte, a conferma di una vocazione nata all'ombra del Partenone e maturata attraverso lo studio dei tesori dell'arte greca del British Museum e del Louvre, ma forte anche dell'esperienza di viaggi in Egitto e, più tardi, fra i monumenti dell'arte dell'America precolombiana. La realizzazione dell'opera avviene per lei lungo un percorso analogo alla "gestazione materna": da un'idea originale, materializzata attraverso la manipolazione di un impasto d'argilla, si sviluppa una forma complessa, che, dilatandosi, arriva a compimento dopo una meditata elaborazione. Il concetto ispiratore, tuttavia, è già presente nella formulazione iniziale, che talvolta trova una versione immediata nei metalli preziosi delle sue "sculture da indossare", o nel marmo o nel bronzo delle creazioni di dimensioni ridotte.A Firenze, nella mostra da lei stessa curata, sono esposte soltanto opere monumentali, realizzate nel corso dell'ultimo decennio, che illustrano il passaggio dall'originale concezione figurativa, ancora in qualche modo presente nelle forme morbide e sensuali di sculture come "Danseuse espagnole", "Rumeur de fiançaille", o "Futur du Cirque", degli anni fra il '92 e il '94, all'astrazione dei volumi di "Toute petite" del '94, all'intersecarsi di forme piane e tondeggianti del "Point immobile" del '93, al rincorrersi in verticale di curve e di linee delle creazioni più recenti, come "Double epée" e "Vent du Sud".La nota comune di tutte le eleganti, agili sculture di Sophia Vari, è una forza giocosa che si sprigiona dalla materia modulata nella forma scultorea, sottolineata dal colore che evidenzia i diversi piani volumetrici; il colore per l'artista non significa tanto un ritorno alle origini pittoriche, ma si traduce piuttosto in una rivisitazione di una tradizione antica a lei congeniale: non bisogna dimenticare infatti che in origine le sublimi forme del Partenone erano esaltate da una brillante policromia.La mostra resterà aperta fino al 25 agosto (Orario d'apertura: tutti i giorni dalle ore 10.00 alle ore 19.00).Il catalogo è a cura di Paola Gribaudo, edito da Polistampa Edizioni d'Arte, con un saggio critico di Antonio Paolucci. (seg-red)