Shoah, Firenze commemora la scienziata Enrica Calabresi a 70 anni dalla sua scomparsa

Cerimonia questa mattina alla comunità ebraica. Presente l'assessora Giachi

Nel 1933 fu allontanata dall’università di Firenze, dove lavorava da diciannove anni.Cinque anni dopo le leggi razziali le tolsero l’incarico all' università di Pisa e il posto di insegnante al liceo Galilei. Il suo finì nella lista degli ebrei fiorentini che i tedeschi pretesero dopo l’armistizio del 1943. Enrica Calabresi, zoologa e docente italiana di entomologia agraria all’ateneo pisano, viene arrestata da italiani e trasferita nell’ex convento di Santa Verdiana, dove resistette fino a quando non fu sicura che l’avrebbero caricata su un treno, ammassata insieme ad altre vite destinate al macello. Così ingerì un veleno a lei ben noto, il fosfuro di zinco, e morì dopo due giorni di agonia.
Questa mattina, alla comunità ebraica (nella sala Nervi di via Farini), c’è stata la cerimonia di commemorazione di questa scienziata e ricercatrice fiorentina alla quale ha partecipato, per l’amministrazione comunale, l’assessora all’educazione, all’università e alla legalità Cristina Giachi.
A sottrarre la sua storia dall’oblio era stato qualche anno fa Paolo Ciampi, giornalista e scrittore fiorentino, che ha setacciato archivi, cercato testimoni, intervistato ex allievi e parenti, per restituire a quel nome la sua storia, in un libro intitolato ‘Un nome’, uscito per la Giuntina.
«Di fronte al potere, prima quello del sapere e dell’accademia e poi quello violentodelle leggi razziali e della deportazione – ha sottolineato nel suo intervento l’assessora Giachi – Enrica Calabresi tenne una condotta esemplare che ci ispira ancora oggi e ci spinge a dare il massimo ogni giorno. Enrica non rimase in disparte,scelse di condividere l’esercizio del potere e volle insegnare, entrando a far parte del copro accademico, non accettò di scappare e nascondersi. Poi dovette subire la violenza di essere allontanata dall’insegnamento e infine fu arrestata per essere condotta ad Auschwitz, ma negò dignità di esistenza alla deportazione con il suo gesto suicida, un suicidio meditato, preparato e dalla forte valenza politica». (fn)