Giachi: «Mandela statista di statura mondiale»
«Possiamo definire Nelson Rolihlahla Mandela in tanti modi, molti lo hanno fatto e continuano a farlo. È stato sicuramente uno statista di statura mondiale, forse il più grande del secolo nel quale è nato e uno dei massimi di tutti i tempi. Nessuno quanto lui ha saputo elevarsi al di sopra della propria storia e delle proprie tentazioni, tendere la mano a nemici feroci, predicare e praticare la riconciliazione, ricostruire moralmente un paese». Lo ha sottolineato la vicesindaca e assessora all'educazione Cristina Giachi intervenendo, questa mattina nel Salone dei Duecento, nella seduta del consiglio comunale dedicata a Nelson Mandela nell’anniversario della sua scomparsa.
«Nel 1964 Nelson Mandela e i suoi compagni di lotta subiscono la condanna all’ergastolo – ha ricordato la vicesindaca Giachi - mentre nel Paese continua la repressione violenta di qualunque forma di protesta. In suo discorso in tribunale passerà alla storia: ‘Nella mia vita mi sono battuto contro la dominazione bianca, e mi sono battuto contro la dominazione nera. Ho creduto nell’ideale di una società democratica e libera, in cui tutti vivano insieme in armonia e con uguali opportunità. È un ideale a cui spero di dedicare la vita. Ma se necessario è un ideale per cui sono pronto a morire’».
«Nelle poche ore libere dai lavori forzati impostigli dal regime penitenziario – ha proseguito nel suo intervento la vicesindaca - si dedica a un’attività sorprendente: la lettura di libri sulla storia e la cultura della popolazione bianca che parla l’afrikans, e lo studio di questa lingua. Anche il suo comportamento nei confronti dei carcerieri è in netto contrasto con quello degli altri detenuti: anziché manifestare ostilità, cerca di comunicare con loro. Con questi gesti mostra di riconoscere non solo l’umanità delle vittime ma anche quella dei nemici. E scopre che i comportamenti arroganti dei carcerieri sono motivati non tanto da un senso di superiorità, quanto dalla paura di perdere i propri privilegi, ma soprattutto il terrore della vendetta di chi ha subito l’oppressione. Nelson Mandela dichiara allora: l’afrikaner è un africano, né più né meno dei suoi prigionieri neri».
Mandela tornerà libero l’11 febbraio 1990, dopo oltre 10 mila giorni di prigionia. Il 27 aprile 1994, 23 milioni di sudafricani per ore in coda ai seggi. Mandela presidente.
«Quando presta giuramento come primo presidente democratico del Sudafrica – ha ricordato Cristina Giachi - il paese sanguina ancora da mille ferite. Madri cercano i figli scomparsi. Famiglie chiedono giustizia per gli uccisi nei lunghi anni della repressione, o risarcimento per le terre confiscate, le case abbattute dai bulldozer, l’esilio, il lavoro negato. Questi casi sono centinaia di migliaia. Le vittime dei lunghi decenni di totalitarismo razziale chiedono giustizia. Era inaccettabile che i responsabili di tanta sofferenza restassero impuniti, la memoria di tante atrocità cancellata. L’ascesa al potere di Mandela, d’altra parte, era il punto d’arrivo di un negoziato durato molti anni. L’impunità era una delle condizioni poste da coloro che si accingevano a lasciare il comando. Il National Party, che aveva governato per cinquant’anni ininterrotti, chiedeva un’amnistia generale. Bisognava trovare il modo di salvare la memoria e, al tempo stesso, rispettare i patti. Questo è la ‘Commissione per la Verità e la Riconciliazione’. Il suo lavoro è basato su un principio rivoluzionario: il ricordo degli orrori passati non deve portare vendetta, ma riconciliazione. ‘La verità fa male’, diceva il suo slogan, ‘ma il silenzio uccide’. Chi si presentava, confessava, si pentiva e dimostrava di aver agito per motivi politici, otteneva l’amnistia - però solo per un reato specifico».
«È una strada che nessun paese aveva mai tentato fino ad allora – ha rilevato Cristina Giachi - non l’Italia dopo il fascismo. Non l’Argentina o il Cile dopo gli orrori e i massacri compiuti dalle giunte militari. Non le nazioni dell’Europa centrale dopo la caduta dei regimi comunisti. Così, mese dopo mese, udienza dopo udienza, un passato di orrori prese lentamente corpo davanti alla Truth Commission. Deposero ex ministri, generali, capi dei servizi segreti, sicari, agenti provocatori. I torturatori mostrarono le loro tecniche. Gli assassini rivelarono i luoghi dove i cadaveri erano sepolti. Le spie consegnarono i loro dossier. Ma sipresentarono anche i combattenti armati dell’African National Congress, i terroristi, i militanti della clandestinità. Anche ministri in carica. Anche il figlio dell’arcivescovo Tutu, il prelato tra protagonisti del processo di pace. Molto spesso le testimonianze si concludevano nelle lacrime: lacrime degli aguzzini pentiti, lacrime delle vittime sconvolte dalla rievocazione del loro calvario. La Commissione non emetteva sentenze e non comminava pene. Fece solo un rapporto, che poi consegnò a Mandela che poteva, se avesse ritenuto che le condizioni per concedere l’amnistia non sussistessero, raccomandare ai procuratori di avviare un azione penale a carico di questo o di quello».
«Coloro che allora profetizzavano una guerra razziale in Sudafrica ma anche tutti noi, a lustri di distanza da quei fatti – ha concluso la vicesindaca - dobbiamo riflettere sulla lezione di un Paese che volle placarsi con la sola verità e con le lacrime. E su chi, più di altri, fece questa scelta coraggiosa. Viva Nelson Mandela, davvero».
La vicesindaca ha infine proposto di invitare gli studenti delle scuole fiorentine alla commemorazione, in consiglio comunale, del prossimo anno. Un progetto sulla figura Mandela sarà inserito ne ‘Le Chiavi della Città’ il ciclo organizzato dall'assessorato all'educazione, che comprende programmi e percorsi formativi per la scuola dell'infanzia, primaria e secondaria di primo grado. ((fn)