Commemorazione di La Pira, Grazzini (vicepresidente del consiglio comunale): «La sua eredità politico-spirituale appartiene ormai a tutti»

Questo il testo dell'intervento dell'intervento del vicepresidente del consiglio comunale Graziano Grazzini durante la commemorazione di Giorgio La Pira:«Cari colleghi,Mi concedo il primo minuto nel ricordare ad un episodio particolare ma significativo.Primavera '76 aula 8 di Lettere, eravamo un gruppetto di universitari cattolici molto soddisfatti perché, nell'aver accettato il nostro invito, il professore si dimostrava interessato all'originalità di una presenza cristiana in ateneo, in anni in cui quella connotazione era evitata accuratamente dalla stessa intellighenzia. La necessità di un imponente servizio d'ordine era dettata dal clima dell'epoca, triste presagio di una stagione pesante che andava ad iniziare. Per fortuna tutto si risolse con qualche ironico coretto e titolo di stampa (Paese Sera uscì con "E Dio tornò in Università), ed "un'internazionale" fischiettata all'uscita del professore da diverse decine di studenti dell'ultra sinistra. E' l'ultimo ricordo personale che custodisco di lui, ed oggi sono lusingato nel poter, seppur brevemente, tratteggiare proprio in quest'aula, la sua figura a nome di tutto il mio gruppo. Pochi personaggi hanno segnato la storia politica di questa città, ben al di là del loro stesso intendimento e della percezione che i contemporanei ne avevano. Quest'ultimi si dividevano in avversari politici, non tutti troppo corretti, e in amici di partito, non tutti troppo convinti. Ai nostri giorni però il revisionismo, tanto sgradito in altri settori, ha colto successi enormi omologando la materia, e spazzando via, dopo nemmeno trent'anni, tutte le perplessità e le avversità di ieri. Questo comunque non è il giorno della polemica ma della memoria, ed a scanso di equivoci nessuno può pensare di utilizzare il riferimento al professore per legittimare la propria recente opzione politica, in un quadro imparagonabile a quei giorni. La connotazione di politico-cattolico prima, e di sindaco santo poi, è quella prevalente assegnatagli dalla storiografia tutta. E, in questo senso, si sottolinea la sua spiccata sensibilità per i problemi dei poveri, dei senza casa e dei sofferenti in generale. Eppure per far questo basta una persona dabbene o un filantropo, non è certo prerogativa esclusiva dei cattolici. Il fatto è che di esclusivo, per un cattolico autentico come lui, c'era solo la consapevolezza del primato dell'appartenenza a Cristo e alla sua Chiesa rispetto a qualsiasi altra umana appartenenza. L'uomo non è risposta a se stesso ed al suo desiderio di significato, non è padrone nemmeno dei capelli che si ritrova in testa, tutto gli è dato per grazia, ed è avvolto in un Mistero che ha trovato risposta nell'incarnazione di Gesù di Nazareth. E' una concezione antropologica così radicale che oggi, secondo i luoghi comuni imperanti, verrebbe chiamata integralista. Non possiamo censurarla senza menomarne l'interezza della figura. Era il suo strutturale approccio culturale a cose e persone, non possiamo ridurlo a buoni sentimenti e spruzzate d'acqua santa. La storia ed i suoi grandi meritano rispetto. Compreso lui che ambiva alla santità, non alla grandezza. Anche quando parliamo dell'attualità del suo progetto politico, dopo esserci gustate la sua straordinaria premura per la povera gente e le profetiche e geniali intuizioni sulla centralità di Firenze e della questione medio-orientale per la pace nel mondo, dovremo pur citare la sua concezione di famiglia come Chiesa domestica, la promozione della vita dal suo concepimento rispetto a quello che definiva, lui costruttore di ponti, "muro dell'aborto". Non ci meraviglia dunque che un uomo simile, in una seduta dell'Assemblea Costituente, giovane parlamentare per la Democrazia Cristiana, stesso ruolo nel quale si sarebbe spento nel '78, proponesse che il testo della Carta fosse preceduto da "In nome di Dio il popolo italiano si dà la presente Costituzione". Mi rendo conto che diversi di voi, cari colleghi, giudicherebbero quasi oscurantiste queste posizioni. Dovremo allora passarle sotto silenzio per reciproca compiacenza ? Per la politica a volte si è chiamati anche ad amare sofferenze. Lui conobbe anche questo passaggio quando visse la separazione politica con amici del suo stesso mondo che decisero di candidarsi nel PCI, ed in una lettera all'allora segretario nazionale Zaccagnini, con espressione che oggi diremmo sconcertante, ebbe a scrivergli "io non scendo dalla barca di Pietro", con chiaro riferimento all'indicazione dei vescovi che, in quegli anni, siamo nel '76, invitavano i cattolici all'unità politica. E' comunque evidente che non è possibile contenere un personaggio del genere dentro categorie di giudizio contingenti, basti pensare al controverso dibattito su quanto liberale o statalista fosse il suo parametro di giudizio riguardo il ruolo dell'iniziativa economica. E di quali traguardi comuni quelle iniziative fossero comunque funzione. Argomenti interessanti per approfondimenti culturali, oggi si tratta di semplice commemorazione. Portiamoci allora nel cuore la sua passione civile, gustiamoci oggi il fatto che il suo patrimonio e la sua eredità politico-spirituale appartiene ormai a tutti, che Firenze ha un motivo in più per essere orgogliosa della sua storia di fronte al mondo intero. Per chi poi ne condivide anche l'irrequietezza nel tener desta la madre di tutte le domande, quella del senso ultimo dell'esistenza, resta solare la sua testimonianza di quanto il cristianesimo renda più ragionevole, umana ed affascinante la nostra avventura di uomini».(fn)