Assemblea Anci, la relazione del presidente Leonardo Domenici, sindaco di Firenze
Caro Ministro, care Amministratrici, Autorità, Colleghi,apriamo oggi la nostra XX assemblea, in un momento molto complesso per la vita delle istituzioni democratiche e del Paese. Difficile soprattutto per noi, amministratori degli 8102 Comuni italiani.C'è un obiettivo costante nella vita della nostra Associazione e nella azione a tutela e difesa della sua autonomia e di quella dei nostri Comuni: agevolare la realizzazione delle aspirazioni dei cittadini e curare gli interessi delle comunità che amministriamo.Ecco da dove trae origine il titolo di questa assemblea: i Comuni sono la rete istituzionale dei cittadini. Rappresentiamo il collante fra società civile e Stato. Siamo il legame democratico fra organizzazione sociale e organizzazione amministrativa, che si realizza attraverso gli strumenti di partecipazione che dobbiamo esaltare anche attraverso la revisione dei nostri statuti e dei nostri regolamenti comunali, raccogliendo così quella domanda di protagonismo che sale dalle nostre comunità locali. In questo senso un ruolo importante deve essere svolto dalle Assemblee elettive, dai Consigli comunali, da vedere sempre più come sedi di dibattito sui grandi indirizzi e di tutela e rappresentanza effettiva dei cittadini.Ecco: il primo serio allarme che oggi voglio lanciare da Firenze, riguarda proprio questo aspetto. La difficoltà nelle relazioni istituzionali con gli altri livelli di governo sta mettendo in crisi la capacità di svolgere la nostra funzione naturale. Più in generale si può dire che oggi l'intero sistema delle relazioni istituzionali è fortemente in crisi e rischia di collassare.Il nostro sistema istituzionale, soprattutto dopo la riforma del titolo V della Costituzione, poggia in maniera forte sulle sedi di concertazione (le Conferenze Unificate e le Stato Città), che però non riescono più a dare quella spinta propositiva necessaria affinché lo stesso sistema sia in grado di produrre risposte efficienti.Le Conferenze per i rapporti fra autonomie locali, regioni e governo sono diventate dei "parerifici", chiamate ad esprimersi più per adempiere ad un dettato normativo che per co-definire linee politiche condivise fra i vari livelli di governo del Paese. I rapporti verticali fra regioni e governo sono a dir poco conflittuali (basti contare il numero dei ricorsi davanti alla Corte Costituzionale proposti dalle regioni o considerare il caso dell'impugnazione da parte del Governo dello statuto della regione Calabria).Il nostro ruolo di rappresentanza diretta dei territori, di esperienze, di identità, di valori, trae origine dalla storia e dalla tradizione secolare del nostro Paese, prima ancora che trovasse la sua compiuta e definitiva espressione nel nuovo titolo V° della Costituzione.Il compito dello Stato, inteso come organizzazione pubblica al servizio delle persone e delle comunità, allora, dovrebbe essere quello di esaltare questa prima forma democratica, di mettere a disposizione dei Comuni regole, garanzie, strumenti e risorse volte ad agevolare il compito che la storia ci ha attribuito.Purtroppo, non è così.Vedete, cari amici e care amiche, credo che noi tutti, vivendo quotidianamente sul territorio i problemi reali della gente, siamo spesso tormentati, perché avvertiamo che al carico di responsabilità, anche non nostre, alle quali comunque dobbiamo far fronte, non corrisponde nelle altre istituzioni la consapevolezza del nostro ruolo e del nostro impegno. Serpeggia anzi una certa sofferenza o indifferenza verso le nostre problematiche che si traduce, a volte, in una vera e propria mancanza di rispetto, non alle nostre persone, ma a ciò che noi rappresentiamo.Con tutta onestà non meritiamo di essere trattati come un dato del tutto marginale nel contesto istituzionale del Paese. Quasi fossimo delle fastidiose appendici o i fratelli minori della famiglia istituzionale che costituisce la Repubblica, anziché l'esatto contrario: vale a dire l'elemento costitutivo fondamentale dello Stato.Il nostro lavoro di ogni giorno, i tentativi per migliorare la qualità della vita dei cittadini, lo sforzo continuo di far quadrare i bilanci, dimostrano una situazione reale totalmente diversa da quella che spesso si presenta all'opinione pubblica.E' partendo da queste nostre convinzioni che chiediamo di essere coerenti e di procedere sulla strada delle riforme, quelle importanti già intraprese - Titolo V della Costituzione - e quelle nuove, in modo da completare il quadro di riferimento del nostro sistema autonomistico e da consentire ai Comuni di svolgere la loro reale funzione.Su questo punto particolare per segnalare anche la continuità nella nostra attività consentitemi seppur per un momento di ricordare che proprio dalla nostra ultima Assemblea a Napoli, fu lanciato l'appello per andare avanti con le riforme in modo organico e condiviso.Proprio su questo punto, malgrado il nostro parere contrario alla devolution, affermai, e ne sono tuttora convinto, che l'Associazione era disponibile a partecipare ad un tavolo che affrontasse i nodi ancora non risolti della riforma costituzionale, per ricondurre ad organicità tutto il sistema dell'ordinamento statuale e coinvolgere in questo modo le istituzioni locali.Riprendere, in ultima analisi, come ebbe a dire il Ministro Pisanu, "quel respiro unitario che è proprio di ogni autentica fase costituente".Queste erano le nostre intenzioni. Le ho volute ricordare, perché ci sia in tutti noi la consapevolezza che questo era ed è lo spirito che ci ha guidato nei rapporti con le Regioni, con il Governo e il Parlamento.La realtà che ci siamo trovati davanti invece è un'altra.Si è percorso un cammino che ha visto emarginare non solo i Comuni, ma l'intero sistema delle Autonomie (Regioni comprese) nella costruzione di un disegno unitario, indispensabile quando si mette mano a una riforma della Costituzione e che ci propone soluzioni, tali da deprimere e mortificare il nostro ruolo e il principio della pari dignità fra le Istituzioni sancito nella Costituzione e solennemente ribadito con la intesa istituzionale del giugno 2002.Abbiamo apprezzato che nell'incontro tenutosi a Palazzo Chigi lo scorso 9 ottobre sul DDL di riforma costituzionale il Presidente del Consiglio abbia riconosciuto come "logico" che gli Enti Locali siano rappresentai nel futuro Senato federale.Ma avremmo preferito che le modifiche, che il Governo si è detto disponibile a prendere in considerazione, fossero introdotte già nel testo approvato dal Consiglio dei Ministri.Invece si è proceduto alla approvazione del disegno di legge nella sua versione originaria.Ci auguriamo che questo atteggiamento nei confronti dei Comuni non sia frutto di una cultura anti-autonomista.Ma il susseguirsi dei fatti, degli atti amministrativi, delle leggi e delle proposte di riforma che ci riguardano mettono in discussione la nostra stessa dignità istituzionale.Quando si approvano provvedimenti come quelli sulle tariffe professionali o sulle antenne (per fortuna dichiarato non costituzionale dalla Corte come anticipatamente sostenuto dall'ANCI - ), o si approva una legge finanziaria che ci toglie 948 milioni di euro rispetto all'anno precedente, ci viene il sospetto (per usare un eufemismo) che l'indirizzo politico di chi ha la responsabilità di queste scelte vada in un senso diametralmente opposto a quello da noi sperato.Emarginare i Comuni, non valorizzarne a pieno titolo il loro ruolo fondamentale è un gravissimo errore per la tenuta stessa della nostra democrazia e del sistema Paese.Questa è la difficile situazione generale in cui oggi languono i rapporti istituzionali.Chiediamo al Governo di procedere, senza indugi ulteriori, all'attuazione piena del Titolo V, accelerando tutte le procedure per uscire da questa continua, lunga e faticosa fase transitoria che non ci dà sicurezze, che non ci consente di fare programmi a lungo termine e non ci mette in condizione di dare ai cittadini le risposte che si attendono.Abbiamo davanti degli appuntamenti importanti: l'attuazione della Legge 130/'03 (La Loggia) sulle funzioni fondamentali, la revisione del testo unico, l'istituzione delle città metropolitane: sono segmenti fondamentali che devono congiungersi per completare il quadro istituzionale del sistema delle autonomie.Confidiamo nel prezioso lavoro del Ministero dell'Interno affinché questi appuntamenti siano colti per dare stabilità al nostro quadro istituzionale.Chiediamo altresì al Parlamento di accelerare il processo di costituzione della Commissione Bicamerale per gli Affari regionali (la cosiddetta Bicameralina) con l'inserimento, già concordato più volte, dei nostri rappresentanti, per dare così avvio all'organicità dei sistemi legislativi che ci riguardano.Ci dica con chiarezza il Parlamento cosa oggi non consente di insediare questa Commissione, lo dica in modo trasparente.I gruppi politici contrari escano allo scoperto lo facciano in modo trasparente e spieghino perché siamo ancora fermi al palo. Ognuno si assuma le proprie responsabilità, con coraggio e coerenza.E a proposito di coraggio e coerenza non posso non fare a questo punto un richiamo all'annosa vicenda del cosiddetto limite dei mandati amministrativi.Oggi il tema è tornato di grande attualità anche per la norma approvata in prima lettura che estende questo limite anche alle regioni. La nostra Associazione ha avuto sempre una posizione omogenea che si propone di eliminare questa norma che consideriamo un limite alla democrazia. Oggi rafforziamo questa richiesta affinché si dia subito una risposta da parte del Parlamento almeno per i Comuni con meno di 5.000 abitanti, che voglio ricordarlo sono chiamati al voto nella prossima primavera in grandissima parte (ben 3.494).Un altro tema che sta diventando quasi paradossale è il federalismo fiscale.Già all'assemblea di Napoli dello scorso anno paventammo il rischio che ormai il termine "federalismo" risultasse quanto mai vuoto di senso e di vigore agli occhi degli italiani. Oggi comincio a temere che stia diventando addirittura impronunciabile.L'unico effetto che finora il federalismo ha prodotto è il blocco dell'autonomia finanziaria dei Comuni e delle altre istituzioni locali.Il paradosso appunto, è che da quando è stato approvato il nuovo articolo 119 della Costituzione, i Comuni, non possono neppure organizzare in modo responsabile, ma in piena autonomia, la manovra finanziaria dei tributi locali.E' in questa cornice che dobbiamo esaminare le questioni finanziarie che ci riguardano più direttamente, quelle cioè legate ai nostri bilanci.Lo facciamo senza alcuna enfasi e facendo parlare i dati reali - voglio credere che almeno su questi si possa al fine, tutti concordare -.I dati dell'ISTAT, dati con cui il Ministero dell'Economia si presenta in Europa per essere valutato sul patto di stabilità, mettono in chiaro come solamente la spesa dei Comuni negli ultimi anni abbia subito una sensibile contrazione, a fronte di una spesa complessiva della Pubblica Amministrazione che invece aumenta. I Comuni passano infatti da una spesa corrente di 36,75 miliardi di euro del 2001 ad una di 36,60 nel 2002.Ma nonostante questo contenimento di spese, i Comuni hanno garantito sviluppo e solidarietà (e lo dico anche con riferimento, ad esempio, alle polemiche delle scorsa estate, quando ci siamo sentiti addossare perfino le responsabilità primarie dell'aumento di mortalità delle persone anziane).In realtà, noi, nonostante le difficoltà siamo riusciti a garantire l'accesso ai servizi sociali di base e contribuire allo sviluppo economico dei nostri territori. E questo lo diciamo confortati anche dai numeri. Un recente studio di Confindustria rende evidente come nel triennio 2000-2002 i Comuni hanno realizzato investimenti per 16 miliardi di euro, contro i 4 delle regioni ed i 6 della Pubblica Amministrazione centrale. Se questo non bastasse a giustificare il fondamentale contributo dei Comuni per lo sviluppo, i dati ISTAT rendono chiaro un aumento delle spese in conto capitale ( gli investimenti) che passano da 14,6 miliardi di euro del 2001 a 15,06 del 2002, mentre gli interessi passivi, nello stesso periodo, decrescono (anche grazie alle differenti modalità di ricorso al credito e alle nuove politiche di indebitamento che stanno dando risultati apprezzabili).Sempre i dati dell'ISTAT evidenziano che la diminuzione della spesa complessiva dei Comuni non ha inciso sulla spesa sociale, che anzi nel biennio 2001-02 è aumentata. Le prestazioni sociali in denaro sono salite da 655 milioni di euro del 1999 a 849 del 2002. I contributi alle famiglie sono passati da 341 milioni del 1999 ai 554 del 2002.Il numero dei dipendenti degli enti locali, dal 1998 è in continua diminuzione con valori assoluti di una certa consistenza: 70.000 unità di personale in meno pari a un risparmio di 2.000 miliardi delle vecchie lire e consideriamo che nel solo anno 2000, la spesa per il personale è scesa del 3,6% (fonte Corte dei Conti).Questi sono segni evidenti della razionalizzazione, dello sforzo, del rispetto del patto di stabilità da parte dei Comuni italiani. A questi dati, a questa situazione reale, non si può rispondere con la Finanziaria 2004 che conosciamo e che non a caso più dell'80% dei sindaci definisce "inaccettabile" (si veda il sondaggio ANCI-SWG).Consentitemi però di porre a tutti voi, cari colleghi, e a me stesso, na questione di non poco conto e chiedervi: quanti anni sono che sentiamo parlare di tagli alle nostre risorse, e ne subiamo le conseguenze?Quelli un po' più anziani nell'incarico di amministratori locali, potranno testimoniare che non c'è mai stata una finanziaria che non sia stata presentata con tagli ai bilanci dei Comuni, perché bisognava risanare la spesa pubblica del Paese.Il problema quindi non è di natura ideologica o di parte: non è di sinistra o di destra. Il problema è quanto contano i Comuni nel quadro istituzionale.Noi pensavamo che con le importanti modifiche della Costituzione relative al Titolo V ci fosse una inversione di tendenza. Che si potesse sperare di avere una "finanziaria per le autonomie locali", cioè un corpo di norme concertato che disciplinasse la parte della finanza pubblica che ci riguarda, distinto da tutte le altre misure relative ad altri importanti interessi della nazione, ma che non hanno, come noi, una matrice istituzionale.Ci pare, invece di essere tornati indietro di molti anni, o meglio ancora, di non essere mai usciti da un esasperante centralismo fiscale, in cui rischiamo di rimanere ancora per molto.Il nostro Paese attraversa una crisi economica molto pesante: bassa produttività, minori esportazioni, inflazione in aumento, in una parola rischio di recessione.In questo quadro economico-finanziario c'è però una costante: i Comuni sono quelli che investono sempre di più, contribuiscono a creare ricchezza e posti di lavoro, sostengono la domanda e partecipano, non marginalmente, alla tenuta del sistema paese. I Comuni sono il soggetto istituzionale che in molti casi sta cercando di promuovere, nei limiti delle proprie competenze, una serie di iniziative rivolte a garantire il contenimento e la trasparenza dei prezzi al consumo, non certo per mettere categorie economiche sul banco degli accusati, ma per salvaguardare le famiglie e i consumatori.Condividerete allora che è proprio sui Comuni che bisogna puntare per uscire dalla crisi: non è forse vero, per le stesse leggi economiche, che gli incentivi vanno dati soprattutto ai settori che sostengono la crescita del Paese?Si è voluta scegliere invece, ancora una volta, la strada ormai inefficace dei tagli, con pesanti ripercussioni sui nostri bilanci e quindi sui servizi ai cittadini che sopportano già una pesante crisi economica. E questa volta i tagli sono forti e faranno molto male.Durante il confronto sul DPEF avevamo chiesto, e non era solo uno slogan efficace: "Non più soldi, ma più autonomia". Vale a dire. Allentateci i vincoli troppi stretti del patto di stabilità concordandoli e definendoli con noi, in modo che si possa raggiungere un accordo che preveda la definizione:- delle quote di concorso al contenimento dell'indebitamento per ogni comparto della P.A. coinvolta nel patto;- modalità e procedure per l'attuazione del patto;- sistema di monitoraggio da definire e gestire, applicandolo a tutti gli Enti locali.Ci era parso di capire - era il 30 luglio 2003 - che il Governo fosse disponibile ad accogliere queste nostre richieste.Si stava cioè lavorando alla determinazione di quote di concorso al contenimento dell'indebitamento per ogni comparto della P.A. coinvolto nel patto, sulla base dell'incidenza percentuale della spesa del comparto sull'ammontare della spesa globale della P.A..I colleghi Chiamparino e Galletti ricorderanno bene questi incontri.Avevamo proposto delle opzioni importanti anche su temi specifici, come quelli del trasporto pubblico locale dove sembrava che un accordo con il Governo ci fosse. Accordo che consentisse di reperire risorse e fare delle politiche ambientali incentivando l'utilizzo del mezzo pubblico e, parallelamente, scoraggiasse l'uso delle auto private attraverso l'istituzione di una accisa sul carburante: proposta che ribadiamo in questa sede, anche per sostenere gli investimenti per il trasporto pubblico locale e per la mobilità sostenibile.La risposta, cari colleghi, è sotto gli occhi di tutti e sarà ancora più evidente quando affronteremo questo specifico argomento, entrando nei dettagli della manovra finanziaria (nella giornata di venerdì 17).Ma già oggi alcune cifre sono chiare.Ho già detto dei 948 milioni di euro in meno rispetto ai bilanci 2003.Questo comporterà degli effetti disomogenei con alcuni comuni che subiranno delle riduzioni di entrata al limite del dissesto. Non si tratta di drammatizzare o enfatizzare per favorire o sfavorire questa o quella parte.Basta fare delle proiezioni e ci si rende conto che Milano perde più di 31 milioni di euro, che Torino ne perde circa 22, che nei piccoli comuni il taglio potrà arrivare anche oltre il 20%.Attenzione, non si tratta più di decidere quali servizi tagliare, ma quali mantenere in vita. Cioè che cosa si riuscirà a fare con un così esiguo monte risorse.A questo aggiungete il blocco delle assunzioni, il blocco dell'autonomia finanziaria, il blocco della compartecipazione all'IRPEF (che resta sempre la stessa anche se il PIL ed il gettito aumentano), il mancato trasferimento del catasto, l'abrogazione del credito d'imposta, il condono edilizio, l'incertezza della riforma della Cassa Depositi e Prestiti, un patto di stabilità che fa sì che i Comuni si accollino un pezzo del debito di altri comparti della Pubblica Amministrazione. Per passare poi al problema della gestione della cassa che fa si che molti comuni si vedano accreditati i trasferimenti erariali, o la compartecipazione all'IRPEF o il gettito dell'addizionale, non proprio tempestivamente. Questo affinché il Governo possa avere delle buone performance nelle trimestrali di cassa. Mettendo insieme tutto questo, quello che avrete sarà il quadro finanziario ed istituzionale che dovremo affrontare nel 2004 con più di 4400 Comuni che andranno al voto.Quali effetti avrà sul welfare locale?Assistiamo ad una scelta precisa: da un lato abbiamo una legge di bilancio che impegna risorse, che spende soldi dal centro, dai Ministeri, e dall'altro, sul fronte dei comuni, assistiamo ad una riduzione drastica dei trasferimenti. Solo per citare due esempi, l'assegno per i secondi nati o il contributo per le famiglie valgono sul bilancio dello Stato circa 500 milioni di euro. Risorse che verranno erogate direttamente dallo Stato centrale.Cosa diremo alle mamme che portano i loro figli agli asili nido e non vi trovano posto, alle materne, alle elementari, e cosa diremo alle famiglie che necessitano di assistenza per i figli con handicap? Proprio in questo anno dedicato al tema della disabilità?Che cosa diremo ancora a chi non può pagare il fitto di casa e già si è visto diminuire nell'ultimo anno il contributo pubblico? E agli emarginati? A chi prima poteva contare sul Reddito minimo di inserimento e adesso aspetta, insieme a noi, di capire cosa sarà il Reddito di ultima istanza?Non sarebbe meglio pensare a un fondo nazionale per le politiche di sostegno alle famiglie e ai servizi dell'infanzia in cui riversare gli stanziamenti già previsti, da gestirsi insieme (Stato e autonomie locali)?I servizi sociali, la solidarietà in questo paese la fanno i Comuni. Faccia il governo le scelte di indirizzo politico, si confronti con noi prima di scegliere perché abbiamo maturato esperienze e valore aggiunto. Ma lasci a noi l'insieme delle politiche sul territorio, altrimenti sarà difficile mantenere una politica di sostegno alle famiglie, ai più deboli, omogenea ed efficace.Noi vogliamo lo sviluppo e lo vogliamo nella competitività: guai però se salta la solidarietà. Il Paese pagherebbe un grave prezzo. Soprattutto le fasce più deboli ed emarginate.Nessuno può pensare, cari colleghi, che il proprio Comune possa farcela da solo: è una questione che ci riguarda tutti, soprattutto i Comuni più piccoli i quali già sono penalizzati e ancor più lo saranno da questa finanziaria che renderà vani tutti gli sforzi di gestione associata che i "piccoli" avevano fatto. Per essere chiari non c'è una lira per le unioni di comuni. 55 milioni in meno rispetto allo scorso anno.Sono questi gli enti che subiranno le conseguenze peggiori di questa finanziaria, nonostante una ramo del Parlamento abbia votato con larghissimo consenso una proposta di legge buona, ma che purtroppo non ha sostegno finanziario (e questa ne è la prova).Teniamo conto che, solo per citare i due capitoli destinati esclusivamente ai comuni minori di 3.000 abitanti e quello ordinario per gli investimenti, mancano all'appello 175 miliardi rispetto alla finanziaria 2003.Abbiamo dimostrato di amministrare le nostre risorse anche andando a trovarle sul territorio e fuori dal nostro territorio, in Europa. Noi gli investimenti li facciamo. Le nostre città, anzi, sono spesso accusate di essere un cantiere a cielo aperto. Sono i nostri lavori per migliorarle. Ma è nostro anche lo sforzo di coinvolgere soggetti privati e attori ecomico-sociali diversi in una logica di "governance", facendo dei Comuni i sollecitatori di nuovi investimenti e gli sperimentatori di strumenti finanziari altrettanto nuovi, come ad esempio la "finanze di progetto".Cari colleghi, non è certo pensabile che sia colpa nostra se le cose non vanno.La nostra famiglia è grande, 8102 Comuni, e avremo anche noi le nostre pecche, ma non può cadere un albero in Svizzera e dire che è colpa dei Comuni se salta l'intero sistema nazionale lasciando il Paese al buio.Non si può proporre il condono edilizio, che peserà fortemente sui Comuni e sostenere che, se c'è l'abusivismo è colpa dei Comuni. Ci sarà pur qualcuno che avrà chiuso un occhio o forse tutti e due. Ma la grandissima maggioranza dei nostri Comuni è fortemente attenta alla tutela dei propri territori a volte anzi l'accusa che ci viene fatta è di esserlo anche troppo, visto che saremmo noi a bloccare la costruzione di nuove centrali elettriche.Lo dimostra il fatto che oltre il 74% dei sindaci, di ogni colore politico, è contrario al condono edilizio.Il tema dell'ambiente sostenibile ci ha visto sempre come parti attive. Lo dimostrano le innumerevoli iniziative che i singoli comuni ed in particolare le grandi città hanno assunto su questo versante anche quando sono venuti meno i fondi dei Ministeri.E' per tutto questo complesso di questioni, è per richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica, del Governo e del Parlamento e di tutte le altre istituzioni locali (ed anche per drammatizzare un po'), che il Comitato Operativo dell'ANCI ha deciso di sospendere la propria presenza presso le sedi di concertazione istituzionale, a cominciare dalla Conferenza Unificata e dalla Conferenza Stato-Città ed autonomie locali.È stata una scelta difficile presa unitariamente, che non deve essere interpretata come uno "sciopero istituzionale" o una ritirata sull'Aventino. Anzi, poniamo da qui un problema di carattere ancor più radicale: se vogliamo un rilancio forte di queste conferenze, è necessario farne una sede di confronto programmatico vero e di ampio respiro, pensando anche a un loro "status" costituzionale.Aspettiamo il risultato della nostra azione e sollecitiamo il Governo a prendere una iniziativa che riporti la barra del timone verso i Comuni.Questo per la nostra Associazione è un momento importante. È il momento dell'unità per rafforzare la nostra azione. In questo senso voglio ringraziare il gruppo dirigente che insieme a me ha deciso di sostenere una azione di confronto con il Governo e voglio ringraziare in modo particolare i colleghi di centro destra che hanno assunto queste posizioni mettendo da parte anche la propria appartenenza politica.Abbiamo da fare proposte concrete per cambiare la finanziaria, migliorandola per i Comuni, senza appesantire i conti pubblici e intaccare la manovra di bilancio.Propongo che, terminata questa nostra Assemblea, la prossima settimana si vada ad un incontro con i Senatori di maggioranza e di opposizione per avanzare le nostre richieste e fare le nostre proposte. Fatevi sentire dai parlamentari eletti nei vostri territori!I Sindaci sono importanti se si vuole essere rieletti in Parlamento (e anche più di due volte
)!"Occorre articolare in modo costruttivo tutte le istituzioni di governo locale, definendo con chiarezza i compiti a ciascuna di loro assegnati e garantendo che, assieme alla assunzione di nuove funzioni, venga anche la disponibilità dei mezzi finanziari adeguati al loro svolgimento.Non ha più senso continuare a parlare di federalismo senza prevedere strumenti concreti che diano certezze di risorse.I piccoli Comuni conservano una loro ragione di vita.E' giusto che si organizzino e si associno tra di loro, per svolgere insieme funzioni che da soli non potrebbero assolvere efficacemente.E' altrettanto giusto che lo Stato, in tutte le sue articolazioni, riservi ai piccoli Comuni una attenzione e provvidenze particolari".Queste sono le parole del Presidente Ciampi. Il 4 Aprile 2003 ad Alessandria. Condividiamo pienamente, Caro Presidente. E' la nostra direttrice di marcia.Vorrei ringraziare il Presidente, sempre vicino alle istituzioni e fra queste ai Comuni.Se ce ne fosse bisogno un'ulteriore conferma della sua attenzione giunge dalla notizia, che ci onora, di una importantissima onorificenza riconosciuta alla nostra associazione.È stata attribuita all'ANCI la medaglia d'oro al valor civile. Un'espressione questa che da un lato, mette a tacere tutte le ingiuste critiche e le strumentalizzazioni di chi ha tentato di accreditare la nostra Associazione come rappresentanza di una parte politica, e dall'altro, uno stimolo per continuare la strada intrapresa, iniziata da Don Sturzo nel 1901, a difesa, in piena autonomia, degli interessi dei Comuni.E' in questo senso che abbiamo più volte avanzato, e qui ribadiamo, la proposta di andare verso un riconoscimento (per legge o decreto) del ruolo istituzionale dell'ANCI.La nostra Associazione in questi anni ha cambiato sensibilmente il suo modo di operare. Abbiamo iniziato un'opera di consolidamento delle nostre fondamenta iniettando elasticità, modernità e ridisegnano i nostri confini, i nostri ambiti di interesse.In questo quadro sta maturando, anche se con tempi diversi da quelli che avrei desiderato, l'idea di un'Associazione che diventa la casa comune non solo dei Comuni ma anche dei gruppi associativi rappresentanti di interessi specifici.Così dentro l'ANCI oggi operano con serenità e comunità di intenti il Club dei Borghi più belli, le varie associazioni di identità (città del vino, dell'olio, del pane, ecc.), sta per prendere forma l'associazione dei comuni i cui territori sono compresi in parchi o aree protette, l'associazione dei comuni delle isole minori, il coordinamento delle unioni dei comuni e così via.Sta maturando quindi dentro la nostra organizzazione politica l'idea di una Associazione Nazionale non più e non solo generalista, ma specifica, proiettata dentro i singoli temi e puntata sulle peculiarità dei singoli territori.Abbiamo alle spalle un appuntamento molto importante: la Conferenza programmatica di Rapallo nella quale abbiamo discusso e proposto soluzioni organizzative nuove. La conferenza di Rapallo ha dato mandato agli organi dell'Associazione per rivedere anche la nostra carta fondamentale, lo Statuto, affinché in esso possano trovare spazio ulteriori forme di partecipazione e possano consolidarsi nuove forme organizzative che ci consentano di operare al meglio, come le Anci provinciali. Questo lavoro sarà preparato da una commissione - interna al consiglio nazionale - per la riforma organizzativa che consegnerà i suoi lavori il prossimo anno quando avremo la nostra assemblea congressuale.I contenuti delle giornate di lavoro che ci aspettano, come potrete notare dal programma, non saranno dedicate solo ai temi istituzionali, tipici di tutti i nostri incontri; riguarderanno, invece, i problemi reali, le questioni su cui ogni giorno ciascun amministratore si deve confrontare, anche nei numerosi incontri "a latere" della Assemblea plenaria.Parleremo quindi delle problematiche ambientali, della mobilità e delle infrastrutture, parleremo dello sviluppo locale, dei nostri prodotti culturali quale mezzo per portare sviluppo e crescita sui nostri territori. Discuteremo dell'organizzazione dei servizi pubblici e della riformulazione del welfare locale.Dobbiamo fare questo, però, partendo dalla premessa di questa relazione. Noi possiamo continuare a contribuire allo sviluppo di questo Paese, possiamo continuare a garantire uno stato sociale minimo, possiamo continuare ad essere la rete dei cittadini, a condizione che si creino quei fattori minimi fatti di regole, garanzie, risorse e strumenti, necessari per esercitare il nostro ruolo. Senza di essi i comuni diventeranno un'altra cosa. Saranno un ufficio amministrativo a cui rivolgersi per chiedere certificati o autorizzazioni. Noi siamo qualche cosa di diverso, siamo tradizione e storia, cultura e identità e per questo chiediamo rispetto.Allora dedichiamo questi giorni a far sentire la nostra voce. Intervenite nelle varie sessioni per far emergere "l'anima" dei comuni italiani, attiviamo forme di dialogo con gli altri livelli istituzionali, coinvolgiamo i Parlamentari nei nostri appuntamenti, sul territorio e a Roma, affinché l'ANCI possa essere sempre di più il luogo di rappresentanza istituzionale di tutti noi.L'Associazione che rappresenta una delle più straordinarie invenzioni della storia dell'uomo: il Comune, quella realtà in cui gli uomini e le donne, i giovani e gli anziani, gli immigrati e gli autoctoni, i ricchi e i poveri imparano a convivere e a costruire i loro rapporti umani, sociali e civili.