Firenze ricorda il 59° anniversario della Liberazione - Il sindaco Domenici: "Una spinta per riaprire i fascicoli delle stragi impunite"

"Nel celebrare una data importante per la nostra città, anche da Firenze, medaglia d'oro alle Resistenza, deve partire un messaggio forte al parlamento e al governo affinchè sia fatta giustizia su alcune stragi rimaste ancora impunite". Questo uno dei passi più significativi pronunciati dal sindaco Leonardo Domenici nel Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio, in occasione del 59° anniversario della Liberazione di Firenze. Nel suo saluto il sindaco Domenici ha ricordato che domani sarà a Stazzema, per commemorare il 59° anniversario dell'eccidio dove furono trucidate 560 persone, per lo più donne, vecchi e bambini. "Fra l'aprile e l'agosto del 1944 – ha detto ancora il sindaco Domenici – in Toscana furono uccise dai nazifascisti 4400 persone. Per questo non solo è necessario non dimenticare, ma più forte deve essere la spinta a portare avanti il processo di giustizia, anche a livello legale. E' necessario che siano riaperti i fascicoli, così come il cosiddetto ‘Armadio della vergogna' e le inchieste possano andare avanti. Non per vendetta, ma per ricordare e soprattutto per far luce su quei tragici giorni". Il sindaco Domenici, dopo aver ringraziato calorosamente il rettore dell'Università di Firenze Augusto Marinelli che ha tenuto il discorso per la commemorazione ufficiale, ha ricordato che sarà istituito un tavolo per organizzare le celebrazioni del 60° anniversario della Liberazione di Firenze che cadrà l'11 agosto del 2004."In questa vicenda nazionale drammatica, ma esaltante come sono tutte le resurrezioni – ha detto nel suo discorso il rettore Marinelli – Firenze e la Toscana hanno avuto un ruolo e una funzione particolare. Per Firenze quello che Aldo Garosci ha definito in un famoso articolo pubblicato in occasione del centenario dell'Unità nazionale il ‘secondo Risorgimento', ossia la seconda liberazione d'Italia dall'oppressore, ha avuto peculiarità il cui riverbero si proiettò su tutta la vicenda della lotta di Liberazione. A Firenze e in Toscana la Liberazione ha assunto il carattere nella lotta e della riconquista dell'autogoverno". "L'insurrezione di Firenze – ha detto ancora il rettore Marinelli – concordata e articolata in un piano d'azione che vide la convergenza di formazioni partigiane espresse da tutti i raggruppamenti politici, dai comunisti ai liberali, dai democratici cristiani ai socialisti e agli azionisti, precostituì la trama dell'autogoverno. A Firenze, in piena autonomia e con l'orgoglio dell'autogoverno, è rinata la democrazia italiana. In questa democrazia i cui spiriti repubblicani erano già larghissimamente prevalenti si riconobbero tutti i fiorentini".Le celebrazioni per l'11 agosto sono iniziate in piazza dell'Unità d'Italia dove il sindaco Domenici, i rappresentanti delle organizzazioni partigiane e autorità civili e militari hanno deposto corone di alloro al monumento ai caduti. Il vicepresidente del consiglio comunale Graziano Grazzini ha tenuto un breve discorso, citando frasi di Tina Anselmi, staffetta partigiana e poi per molti anni parlamentare e ministro: "La scoperta più importante fatta in quei mesi di lotta durante la guerra è stata l'importanza della partecipazione: per cambiare il mondo bisognava esserci. Questo è stato il motivo che mi ha fatto abbracciare la carriera politica: la convinzione che esserci è una parte costitutiva della democrazia, senza partecipazione non c'è democrazia e il paese potrebbe andare nuovamente allo sbando. Ecco il motivo per cui non dobbiamo tradire la Resistenza, dobbiamo conoscerla e non tradire i valori su cui si è fondata questa pagina della nostra storia e dobbiamo essere presenti come lo eravamo ieri. E' con questo spirito che, una volta finita la lotta di liberazione, molti di scelsero di contribuire con un impegno civile alla rinascita del nostro paese".Poi la banda della Filarmonica Rossini ha preceduto il corteo che è giunto in Palazzo Vecchio. Dietro al Gonfalone di Firenze il sindaco Domenici, il vicesindaco Giuseppe Matulli, gli assessori Tea Albini, Daniela Lastri, Gianni Biagi, Paolo Coggiola, Eugenio Giani, Francesco Colonna, Elisabetta Tesi, il presidente del consiglio comunale Alberto Brasca con i consiglieri comunali Agostini, Conti, Nutini, Imperlati, Bausi, Cerrato, l'ex sindaco Mario Primicerio. Poi il Gonfalone della Regione Toscana col presidente del consiglio regionale Riccardo Nencini e il consigliere Paolo Cocchi, quello della Provincia di Firenze col vice presidente Piero Certosi e quelli dei Comuni di Scandicci, Fiesole, Bagno a Ripoli, Lastra a Signa, Sesto Fiorentino, Rufina, Pontassieve, Greve in Chianti, Rignano, San Casciano, Vaglia e i labari delle associazioni partigiane. Erano presenti anche il i parlamentari Michele Ventura e Giovanni Bellini, il prefetto Gian Valerio Lombardi e il questore Vincenzo Indolfi.(fd)In allegato il discorso del rettore Augusto Marinelli per la commemorazione dell'11 agosto, Liberazione di FirenzeCaro Sindaco, autorità, signore, signori,l'11 agosto di cinquantanove anni fa Firenze fu liberata. La speranza e la gioia di quel giorno aveva avuto la sua anticipazione un anno prima, all'alba del 26 luglio del '43 quando nelle piazze di Firenze, come in tutte le piazze italiane, migliaia di cittadini si erano riversati in festa esultanti per la caduta di Mussolini e del fascismo. L'annuncio della costituzione del governo Badoglio era stato così interpretato dall'opinione pubblica. Pochi avevano creduto al proclama della guerra che continua. Era prevalsa la spinta emotiva della gioia per l'apparente liberazione conquistata. L'incubo durato vent'anni e che nel corso della guerra era divenuto sempre più angoscioso sembrava dissolto come per incanto.Il fascismo aveva voluto la guerra. La fine del fascismo segnava inevitabilmente il ritorno della pace assieme alla riconquistata libertà. Questi erano i sentimenti dei fiorentini che affollavano piazza Signoria e che abbattevano i simboli del regime. Questi sentimenti erano come un fiume inarrestabile e scaturivano dall'animo di chi sapeva che Firenze, la Toscana, l'Italia avevano pagato un prezzo altissimo, con la perdita della libertà e con il sacrificio di innumerevoli vite umane. Prevaleva il senso dell'espiazione compiuta e conclusa dopo tanta sofferenza.Presto arrivò il brusco e doloroso risveglio. La guerra non era finita e i lutti sarebbero continuati per un altro anno, il più drammatico, forse, della storia moderna di Firenze. Per l'insipienza del governo Badoglio e della Monarchia quella che avrebbe potuto essere una rapida uscita dalla guerra, almeno per tanta parte del territorio nazionale, divenne un'estate di attese, di tergiversazioni, di deleterie incertezze. L'esercito tedesco potette occupare posizioni di forza nella penisola precostituendo le condizioni per la stabilizzazione di ben due fronti di guerra nei due successivi anni. Poi la fuga a Pescara del re e di Badoglio nella notte fra l'8 e il 9 settembre, segnata non solo dalla insipienza ma anche dall'onta di chi, gravato dalle massime responsabilità dello Stato, abbandona il campo lasciando le forze armate e la società civile in balia dell'oppressore, segnò la svolta della nostra storia.Avevamo toccato il fondo del baratro dopo poche settimane da quei giorni esaltanti di fine luglio. Ma quel fondo non fu, come è stato scritto, la "morte della patria", bensì la sua resurrezione. Fu il momento in cui tanti reparti militari, abbandonati a se stessi, seppero compiere atti di eroismo inauditi, fino al sacrificio supremo e consapevole, come a Cefalonia. Fu il momento in cui tanti nostri soldati rifiutarono di aderire alla Repubblica sociale e pagarono con la deportazione in Germania e con la vita questa loro scelta coraggiosa. Fu il momento in cui tanti giovani si rifugiarono nell'Appennino pur di non farsi arruolare dall'esercito di Salò allargando le fila di quelle organizzazioni partigiane che costituivano la spontanea e generosa reazione della società civile contro il dominio nazifascista.Non solo allora la patria non è morta, ma è potuta rinascere su nuove fondamenta grazie alla lotta di quegli antifascisti e di quei combattenti per la libertà per i quali potremmo parafrasare quanto De Gaulle disse per il movimento della France libre: "ils ont sauvé l'honneur de la France".Nel nostro paese i combattenti della lotta di Liberazione non hanno solo salvato l'onore di tutti gli Italiani, ma hanno restituito dignità al nostro popolo ed hanno gettato le fondamenta della democrazia repubblicana che hanno trovato il loro approdo nella nostra Costituzione.In questa vicenda nazionale drammatica ma esaltante come sono tutte le resurrezioni, Firenze e la Toscana hanno avuto un ruolo ed una funzione particolare. Per Firenze quello che Aldo Garosci ha definito in un famoso articolo pubblicato in occasione del centenario dell'Unità nazionale il « secondo Risorgimento » ossia la seconda Liberazione d'Italia dall'oppressore, ha avuto peculiarità il cui riverbero si proiettò su tutta la vicenda della lotta di Liberazione. A Firenze e in Toscana la Liberazione hanno assunto il carattere del riscatto nella lotta e della riconquista dell'autogoverno.Il ruolo delle formazioni partigiane guidate dai CLN e nel coordinamento generale dal CTLN non è stato solo quello di concorrere alla liberazione del territorio occupato; non è stato solo quello di riscatto dall'infamia e dalla barbarie; è stato anche quello di restituire al territorio liberato l'autonomia. Il Sindaco; il Prefetto; il Questore; il Rettore e tutti gli organi di governo della città e della provincia erano stati già designati quando il governo militare alleato si è insediato. L'insurrezione di Firenze, concordata e articolata in un piano d'azione che vide la convergenza di formazioni partigiane espresse da tutti i raggruppamenti politici, dai comunisti ai liberali, dai democratici cristiani ai socialisti e agli azionisti, precostituì la trama dell'autogoverno.A Firenze, in piena autonomia e con l'orgoglio dell'autogoverno, è rinata la democrazia italiana. In questa democrazia i cui spiriti repubblicani erano già larghissimamente prevalenti si riconobbero tutti i Fiorentini. Venivano riecheggiati gli antichi e mai sopiti spiriti repubblicani di questa città orgogliosa di sé e capace nei momenti più duri ma anche esaltanti della propria storia di riscoprire e di sviluppare energie potenti e profonde. Fu uno dei momenti in cui Firenze ha saputo dare il meglio di sé, tornando ad essere maestra per tutta la nazione italiana.Gaetano Pieraccini a Palazzo Vecchio e Piero Calamandrei a San Marco furono per Firenze e per tutti gli Italiani il simbolo della nuova Italia. La politica, la grande politica e la grande amministrazione tornavano grazie a questi uomini intemerati sugli altari dell'opinione pubblica. Il Comune e l'Università si stringevano in una piena consonanza d'intenti come era stato nel primo Risorgimento. Si tornava con la memoria alla fuga del granduca; a Ricasoli che tiene saldamente in pugno il governo della Toscana e tutti gli equilibri nazionali dopo Villafranca e le forzate dimissioni di Cavour; a Ridolfi, ad Amari, a Bufalini che fondando l'Istituto di Studi Superiori facevano di Firenze l'Atene d'Italia.Firenze lo fu Atene d'Italia con l'Istituto di Studi Superiori attirando studiosi da tutt'Italia e dall'estero: da Herzen a Schiff, quando le risorse finanziarie erano scarsissime e lo stesso futuro dell'Istituto era assai incerto. Lo fu perché seppe riscoprire nella propria storia il percorso aureo della propria grandezza che non sta nel detenere il potere politico, l'essere capitale di uno Stato. Sta piuttosto nella sua infinita creatività artistica e intellettuale, nella sua capacità d'innovazione. Sta nella sua intelligenza, talora esasperatamente individualistica, ma anche incredibilmente creativa quando sa correre verso il nuovo, fuori dagli schemi.Così è stato nell'età di Dante quando il volgare s'impose come lingua nazionale sconvolgendo tutti gli schemi precostituiti e gettando le basi proprio da qui della nostra identità come nazione. Così è stato nell'età dell'umanesimo quando Firenze ha stupito il mondo e ha fatto della nuova cultura il faro e la guida di una nuova concezione dell'uomo "faber fortunae suae". Così è stato nel Risorgimento nazionale quando la fermezza e la tenacia di Ricasoli hanno salvato le prospettive dell'unità e dell'indipendenza nazionale che sarebbero altrimenti andate perdute. Così è stato con l'11 agosto 1944 giornata fatidica e indimenticabile del nostro riscatto, della Liberazione della città.Come Rettore dell'Università di Firenze debbo richiamare la nostra memoria sulla figura di grande Rettore, grande Costituente e grande Italiano che fu Piero Calamandrei. Grazie a Calamandrei possiamo dire che lo spirito democratico e repubblicano di questa città è confluito nella nostra Legge suprema. Possiamo dire che Firenze, la sua Università ha dato negli anni della Liberazione e della ricostruzione un apporto decisivo alla riconquista dello spirito profondo e positivo della nostra storia.Carlo Cattaneo diceva che la storia d'Italia è la storia delle sue cento città, dei suoi cento campanili. Nei suoi momenti più alti Firenze ha saputo interpretare questo spirito profondo, molteplice, differenziato, composito ma al fondo unitario della nostra nazione non chiudendosi in se stessa. Ha saputo aprirsi, rapportarsi con le altre molteplici e nobili componenti storiche della nazione italiana, senza prevaricare, ha saputo dialogare con il mondo, essere maestra di umanesimo. Nei momenti alti della sua storia Firenze ha saputo imporsi con la forza delle sue idee, idee nuove che rompono gli schemi, che sfondano pareti apparentemente invalicabili, regole che sembrano date per scontate. L'individualismo e l'orgoglio dei suoi abitanti sono divenuti la sua forza, la sua capacità creativa.Come dimenticare Giorgio La Pira, sindaco e professore della nostra Università. La Pira non era fiorentino di nascita, come me, ma lo era di adozione. Era come me innamorato di Firenze e di Firenze seppe interpretare lo spirito a conferma che questa città sa esprimere uno spirito universale che conquista chiunque gli si avvicini. Quando le barriere ideologiche e internazionali della guerra fredda erano impenetrabili e venivano considerate un dato acquisito, ineluttabile, organizzò i convegni della Pax cristiana, dialogò col mondo a costo di farsi tacciare di traditore dell'Occidente, di venduto al nemico. Sfidò l'impopolarità e le polemiche più aspre affidando alla storia il suo messaggio e dimostrando di avere ragione. Per La Pira al centro del mondo e della storia sta l'uomo, non la politica di potenza, non le logiche della contrapposizione internazionale che schiaccia il singolo, l'individuo. Al centro sta l'uomo con la sua vita che va rispettata e tutelata, con le sue speranze, con il suo diritto all'autonoma ricerca della felicità: ecco la grande lezione cristiana e di pace di Giorgio La Pira che reinterpretava in chiave moderna la cultura dell'Umanesimo e del Rinascimento. Era la Firenze più grande e più nobile reinterpretata da un non fiorentino.Né dobbiamo dimenticare i giorni drammatici dell'alluvione che colpì duramente la città e la sua Università nel novembre 1966. A Palazzo Vecchio abitava un sindaco che fu molto amato dai fiorentini, Piero Bargellini. Era divenuto sindaco in un momento difficile della storia politica e dell'amministrazione cittadina. Dopo una lunga gestione commissariale le rinnovate elezioni amministrative non avevano risolto i problemi della maggioranza di centro-sinistra che continuava ad essere minoritaria. In quella tarda estate del 1966 sulla città si stendeva nuovamente l'ombra di un nuovo commissariamento dell'amministrazione. L'alluvione del 4 novembre fu una tragedia immane della quale Firenze porta ancora le cicatrici. Fu distruzione di vite umane, anche se in maniera più contenuta di quanto si temette. Fu incommensurabile distruzione di ricchezza delle famiglie, fu un colpo durissimo al patrimonio artistico, archivistico e librario di Firenze.Firenze seppe esprimere tutte le proprie energie con l'orgoglio e il coraggio che le sono peculiari. Nessun ripiegamento su se stessa; nessun attesa di aiuto dall'esterno anche se la solidarietà internazionale venne e copiosa. Tutti, giovani e anziani, ma soprattutto tanti, tanti giovani profusero un impegno illimitato di tempo e di energie per soccorrere i bisognosi, per dare aiuto e conforto a tutti, per salvare gli inestimabili beni culturali colpiti. Fu una gara di solidarietà e di opere nella quale Firenze fu certo aiutata. Corsero da tutto il mondo a Firenze. Firenze si riscoprì di nuovo patrimonio universale dell'umanità come l'aveva intesa La Pira. Ma gli aiuti di lavoro e di capitali da tutto il mondo si sommarono alle energie di una città che seppe dimostrare di avere capacità di reazione, di avere l'orgoglio positivo della fiorentinità.Ebbene in quei giorni di angoscia e di fatica i fiorentini si raccolsero attorno al loro sindaco che passava le proprie giornate a Palazzo Vecchio, che soccorreva ogni dove confondendosi con gli stivali infangati col popolo minuto di questa città. Avvicinò tanti giovani assieme a un grande Rettore allora in carica a San Marco, anch'egli come Calamandrei insigne giurista, Gian Gualberto Archi.I giovani, gli studenti furono i protagonisti di quei giorni. I giovani portano in sé il futuro ed esprimono spesso il senso profondo e spontaneo della verità, di ciò che conta, di ciò che è giusto. Allora i nostri studenti si adoperarono in ogni modo nella città e nel patrimonio librario dell'Università colpita per dare il proprio aiuto. Tutti i fiorentini si sentirono orgogliosi della propria città, di se stessi. Si sentirono parte de la République de Florence come veniva ancora definita da tanta parte dell'opinione pubblica francese. Quanto l'anno successivo Piero Bargellini lasciò Palazzo Vecchio per il laticlavio senatoriale fu un lutto cittadino. La sua popolarità era riuscita a compensare la carenza numerica della maggioranza e a salvare Firenze dal commissariamento. In quei mesi a un secolo di distanza dall'effimera esperienza di capitale politica dell'Italia unita, Firenze era tornata ad essere capitale morale, non solo d'Italia, ma del mondo. Firenze era tornata di tutti, patrimonio dell'umanità, e tutto il mondo si era stretto attorno a Firenze.Nei decenni successivi non sempre questa città ha saputo essere all'altezza delle sue tradizioni e delle aspettative che gravano su di essa. Firenze ha subito un processo di accentramento in altre realtà nazionali e non del potere economico e della cosiddetta industria culturale; è stata investita dai processi di livellamento dei modelli di consumo oltre che da flussi che hanno contribuito all'estraniazione di questa città oltre al suo tendenziale declino. La grande editoria di cultura della quale i fiorentini andavano orgogliosi ha perso, almeno nelle sue testate maggiori e di più antica tradizione, l'insediamento in questa città. Degli antichi "salotti buoni della finanza" è rimasto ben poco, almeno di specificamente fiorentino. L'equilibrio sempre precario di questa città fra vocazione al terziario e sistema produttivo si è rotto a seguito di un marcato processo di deindustrializzazione. Certo non si tratta di una realtà solo fiorentina, ma in questa città gli effetti possono essere più marcati e deleteri che altrove.La denuncia che spesso ricorre sulla bocca dei vecchi fiorentini che l'antico centro storico, i suoi grandi negozi di tradizione e che spesso erano luoghi d'identità sono sottoposti ad un processo di massificazione e di livellamento ad opera di centri decisionali che risiedono altrove, ha un fondamento. Firenze non può essere solo la città dei musei e della bellezza architettonica. Non può vivere di un centro storico da contemplare e da far contemplare più o meno malamente e fuggevolmente. Questo meraviglioso centro storico è stato il frutto di una grande civiltà, viva e pulsante per la sua capacità dinamica ed espansiva. Ciò che si contempla ma che si considera estraneo all'oggi è morto. Alla lunga il centro storico non apparterrebbe più ai fiorentini, diverrebbe anch'esso bene di consumo di visitatori frettolosi.Come dicevo, i giovani hanno il senso immediato del vero. E' stato atto di grande coraggio accogliere il raduno a Firenze di migliaia di giovani per il social forum. I giovani si proiettano in avanti, guardano al futuro, si sentono cittadini del mondo ed hanno un'acuta sensibilità e percezione per la giustizia. Superate tutte le paure, anche per certi aspetti giustificate, per possibili rigurgiti di violenza, gli amministratori della città e della regione hanno dato fiducia a questi giovani. Hanno permesso che da Firenze il loro messaggio si propagasse nel mondo e fosse testimonianza di solidarietà e a un tempo di difesa dei diritti dei singoli e dei popoli, della specificità delle culture. Il mondo ha guardato a Firenze e di nuovo per qualche giorno ne è stata capitale.Firenze deve e può invertire la traiettoria del suo declino. Il centro storico può e deve rimanere patrimonio dei cittadini di questa città, di tutti coloro che vi abitano e lo amano. Esso deve integrarsi con altri centri della città e del territorio metropolitano che divengano a pieno diritto centri polifunzionali di una città in crescita e dinamica. Questa idea, che è una delle idee portanti del piano strategico, ha trovato l'Università particolarmente sensibile. Ormai da più di un ventennio l'Università di Firenze sta pensando al proprio sviluppo nel quadro di una dislocazione in poli scientifici, didattici e amministrativi che si vengono ora perfezionando nel loro disegno. Non si tratta di una rottura con la sua tradizione, ma di un ripensamento nella continuità di un'esperienza che ha visto la prima progettazione del Polo biomedico di Careggi quando ancora gli istituti universitari operavano nel quadro dell'Istituto di Studi Superiori, fra via della Pergola e via Bufalini.Poi negli anni sessanta è stata pensato il primo disegno del polo scientifico di Sesto che è divenuto oggi un grande polo di ricerca in via di completamento e di integrazione col polo tecnologico che avverrà nel decennio che viviamo. La piena riqualificazione di Novoli come grande centro direzionale della città ha avuto il pieno sostegno dell'Università che vi trasferisce il Polo delle scienze sociali, Giurisprudenza, Economia e Scienze Politiche. Nel giro di pochi anni il nord est della città sarà completamente trasformato passando da area di servizio a vero centro polifunzionale della città. Ritengo anche particolarmente positiva l'idea di collocare nell'ex area FIAT l'Urban center, accanto al Polo delle Scienze sociali, accanto a un campus universitario. Quell'edificio simbolo dell'archeologia industriale è il migliore luogo fisico per proporre ai cittadini di visitare il presente e il futuro della loro città ed è accanto a quello che sta divenendo uno dei quattro grandi poli dell'Università di Firenze.D'altra parte, questa nuova dislocazione dei maggiori insediamenti universitari per affinità disciplinari e di ricerca non comporta uno svuotamento del centro storico, ma, al contrario, un potenziamento dell'Università nella città sul versante che le è più omogeneo, l'area umanistica. Chimica e farmacia che lasciano via Capponi per Sesto; Economia, Giurisprudenza e Scienze Politiche che lasciano via Laura e via Curtatone per Novoli liberano edifici storici in quello che veniva una volta definito il quadrilatero di San Marco, l'antica cittadella universitaria di Firenze; permettono il potenziamento del Polo umanistico. A Firenze, in piazza Brunelleschi, risiede la più grande biblioteca universitaria umanistica d'Italia. Ora è compressa, senza possibilità di sviluppo. Il recupero di tali spazi permetterà alla Biblioteca di riprendere il suo ruolo di punto di riferimento centrale degli studi umanistici.Ma l'Università non si è limitata a questo. Negli ultimi tre anni la diffusione della presenza universitaria nel territorio metropolitano ha fatto un salto di qualità. Da Figline a Pistoia, da Empoli a Scandicci e a Calenzano le localizzazioni universitarie si sono estese superando l'originaria e circoscritta localizzazione a Prato. L'idea stessa di grande area metropolitana che sta alla base del progetto strategico è stata in qualche modo anticipata dall'Università di Firenze. I corsi hanno avuto grande successo e seguito di studenti. L'idea vincente è stata decentrare sul territorio iniziative didattiche che raccogliessero le esperienze locali e facessero leva sulle specifiche esigenze del mondo del lavoro, del tessuto sociale e della tradizione produttiva del territorio interessato.Il principio di fondo è sempre invariato come gli eventi dell'11 agosto ci insegnano. Dimostrare a se stessi e al mondo le nostre capacità di iniziativa e di autogoverno. Accogliere e guidare verso le soluzioni più razionali e funzionali gli stimoli che provengono dalla società civile. Non chiudersi nell'orgoglio della fiorentinità e nella contemplazione del passato illustre, ma progettare il nuovo.L'insegnamento maggiore dei nostri maestri, che hanno fatto di Firenze, nei secoli d'oro, il faro della civiltà italiana ed europea; che hanno fondato la nazione italiana dandoci la lingua, è stato di avere il coraggio nell'innovazione. Questo ha significato imporre il volgare al posto del latino e fare della Divina Commedia il monumento imperituro e fondante della nostra cultura; questo ha significato per l'umanesimo porre l'uomo al centro della storia farlo "faber fortunae suae".Questo coraggio nell'innovazione è il miglior retaggio di quel magistero. E' il miglior modo per onorare Firenze e i maestri che l'hanno fatta grande.