Consiglio tematico sull'università, Nardella: «Rilanciamo la collaborazione con l'ateneo per lo sviluppo di Firenze»
Questo il testo dell'intervento svolto dal presidente della commissione cultura Dario Nardella in apertura del consigio comunale tematico sull'unieversità:«Presidente, cari colleghi,Il mio saluto va innanzitutto, al Rettore, ai docenti, agli studenti, ai lavoratori e alle altre autorità del mondo universitario e della ricerca che hanno accettato il nostro invito a partecipare al dibattito odierno.Un dibattito che il Consiglio Comunale ha voluto dedicare al tema del rapporto tra l'Università e la città, tra l'Università e il territorio, non è un tema nuovo e tuttavia è tema ancora oggi di assoluta preminenza e attualità, perché centra nel vivo il futuro dello viluppo della nostra comunità e del nostro territorio, perché è la chiave della crescita dell'intero sistema culturale e produttivo del Paese. Ecco perché parlare di centralità del sistema universitario e della ricerca nella società che risiede, vive, lavora, produce in un determinato contesto urbano, non è affatto scontato. D'altra parte studi recenti hanno dimostrato come esista una stretta correlazione tra città con alta competitività e vivacità culturale e sedi universitarie altamente qualificate sia sotto il profilo della ricerca che sotto quello della didattica. Sappiamo bene quanto l'amministrazione si sia già impegnata per la creazione di nuove sinergie tra le potenzialità di formazione e produzione di saperi del nostro Ateneo e le opportunità offerte dallo sviluppo del territorio: l'Assessore Siliani, in un consiglio analogo dell'anno scorso, ci ha ricordato che vi sono oggi più di 50 progetti tra il Comune e i diversi soggetti dell'Università, dai dipartimenti alle facoltà, in tutti i settori che investono la vita pubblica dall'istruzione all'urbanistica, dall'ambiente alla tutela del patrimonio culturale, dall'edilizia alla formazione professionale. Vi è inoltre un consolidato e proficuo rapporto istituzionale tra i vertici dei due enti, grazie al quale l'Università svolge un ruolo significativo non solo nei più rilevanti processi decisionali della città, come nel caso della sua partecipazione, anche operativa, al Piano Strategico per l'Area Metropolitana Fiorentina. Ma ancor più in generale in questi anni Firenze sta vivendo una delle più grandi trasformazioni urbanistiche della storia ed oggi è evidente a tutti noi che la prima vera fase di questa trasformazione ha riguardato proprio la riallocazione strategica dei poli dell'Ateneo. Oggi noi abbiamo una Università distribuita con le sue strutture in tutto il territorio metropolitano ed anche oltre: i 69 dipartimenti e i 6 centri interdipartimentali, i laboratori e i centri interuniversitari sono organizzati nei 5 poli ripartiti per aree tematiche. Il Polo scientifico di Sesto Fiorentino, diventato il più importante d'Italia con la recente realizzazione di nuovi laboratori a l'apertura dell'area di ricerca del CNR; il Polo Universitario della città di Prato, meta privilegiata delle politiche di decentramento dell'Ateneo; il Polo di Novoli delle Scienze Sociali, l'ultima realizzazione di una cittadella universitaria nel cuore produttivo di Firenze, con i suoi 18.500 studenti, una università nell'università, forte della più grande biblioteca di settore d'Europa, con più di 800.000 volumi; il Polo n. 2 scientifico e tecnologico di Careggi, ricco di risorse umane e competenze insostituibili, che rappresenta la base più concreta di collaborazione tra sistema locale e sistema regionale in un settore strategico quale quello sanitario, come dimostra il ruolo assunto dall'Azienda Ospedaliera di Careggi nella realizzazione della Società della Salute; infine l'ultimo polo, quello umanistico, che rimarrà nel centro storico e crescerà grazie all'accorpamento delle facoltà afferenti a quest'area e alla riprogettazione della biblioteca di scienze umanistiche che sorgerà in Piazza Brunelleschi. Si tratta del più importante processo di razionalizzazione edilizia e organizzativa dell'Università dal 1924, anno della sua nascita, ad oggi. Un complesso di strutture che può contare su 2.500 ricercatori (oltre i 500 del CNR), con un bilancio, quello consuntivo del 2002, che ammonta a 374 milioni di euro, una rete di relazioni con 150 università di tutto il mondo, una popolazione universitaria che in pochi decenni è passata dalle 20.000 unità alle 60.000 di oggi, di cui la metà proviene da fuori provincia e un quarto in particolare da fuori regione. Ho voluto citare questi dati perché talvolta si ha la sensazione di dare per scontata la presenza dell'ateneo nel nostro territorio e si perde la consapevolezza della rilevanza del suo impatto economico, sociale, culturale. Il nostro compito, il compito della nostra amministrazione, non è dunque solo quello di stabilire numerosi e differenti contatti di collaborazione, ma quello di dare vita ad un vero e proprio sistema strategico di relazioni per rendere più praticabile e più concreta l'interazione tra la comunità territoriale, l'Università, i centri di ricerca, il settore delle imprese, il mondo del lavoro e delle professioni, affinché si trovino forme di cooperazione più sistematiche, implementate da strumenti e strutture organizzative dedicate, con processi decisionali pianificati nel medio-lungo periodo e monitorati nelle fasi di realizzazione. In una battuta il problema della nostra città non è stabilire un rapporto forte con l'Università, perché questo è già realtà, ma trasformare questo rapporto in modus vivendi, in una filosofia di sviluppo. Insomma, si tratta di lavorare per un continuo interscambio che elimini definitivamente un senso di separatezza che talora ancora esiste tra Università e territorio metropolitano, per responsabilità certamente ripartite equamente tra l'una e l'altro. Si tratta di attivare una politica più decisa a creare programmi di ricerca con il compito di trasferire il livello di eccellenza della ricerca pubblica prodotto da Università e CNR nell'innovazione dei piani di sviluppo locale in tutti i settori: dalla vivibilità urbana alla tutela e valorizzazione del patrimonio culturale (penso ad un sistema di cooperazione strutturale tra Comune, Mbac, e Ateneo), dalla valorizzazione dell'ambiente alla progettazione del territorio e del paesaggio (pensiamo al ruolo che l'Università potrà rivestire nel nuovo piano strutturale non solo come oggetto di interventi, ma come co-protagonista nella messa in opera del piano), dalla pianificazione urbanistica alla riconversione di grandi aree industriali (pensiamo al futuro della ex Manifattura Tabacchi), dalla salute dei cittadini ai servizi alla persona, dalla formazione al lavoro intellettuale alla mobilità dei ricercatori, alla formazione permanente, all'educazione degli adulti (pensiamo agli spazi di collaborazione con il sistema di formazione integrato regionale). In un contesto di decisiva trasformazione della conoscenza in risorsa risulta determinante il ruolo delle imprese, sia come beneficiarie che come erogatrici di investimenti. Sappiamo che in Italia l'investimento privato nella ricerca ammonta allo 0,1 % del PIL, il più basso nell'Europa dei 15. La realtà fiorentina non si sottrae a questo dato ed anzi soffre la eccessiva frammentazione del sistema industriale con unità medio-piccole incapaci di sviluppare autonomamente investimenti o iniziative. Per questo è necessario ragionare in termini di politiche regionali e locali per lo sviluppo dell'innovazione sul territorio mediante la creazione di forme consortili di organizzazione della domanda delle imprese, in cui l'Ateneo possa utilizzare i risultati delle ricerche prodotte valorizzandone il potenziale economico, se non anche quello commerciale. A ciò si lega anche il progetto ambizioso della messa in opera del primo "incubatore dell'area metropolitana" e della definizione di servizi ai cd. spin-off. Si tratta di un complesso di iniziative che punta a definire veri e propri "sistemi integrati", in cui il lavoro dei ricercatori può raggiungere livelli più qualificati e meglio retribuiti.Ma il tema delle risorse economiche per la didattica e la ricerca deve riferirsi ad un quadro in cui la cooperazione tra territorio, imprese, Ateneo e centri di ricerca non può essere sostitutiva di un disimpegno nazionale nel finanziamento a questo settore strategico, bensì integrativa e rafforzativa di una politica di governo che decide concretamente di investire nelle risorse umane del Paese. Non si tratta solo di ricordare che l'Italia è lontana anni luce dal modello di società della conoscenza disegnato dall'UE a Lisbona nel 2001 e ribadita a Berlino l'anno scorso, con i suoi dati di primato negativo: 1% di investimenti in rapporto al PIL, ovvero la metà della media europea, 2,8 ricercatori su 1000 unità di forza lavoro, a fronte dei 6,2 della Francia, i 6,4 della Germania, i 5,5 della GB, i 9,3 del Giappone. Con questi dati, cari colleghi, l'Italia è destinata ad un rapido e serio declino in cui, senza polemica, non vi è aumento dei consumi o politica fiscale che tenga.In un contesto del genere è da accogliere certo positivamente la decisione di interrompere il blocco delle assunzioni e di introdurre una deroga al turn over valida per il settore universitario, cui si unisce la disponibilità annunciata ieri dal Rettore Marinelli a prevedere circa 200 nuove assunzioni (di cui 100 PTA per i quali, ricordo, l'Ateneo ha un fabbisogno superiore al 25% e 80 ricercatori). Tuttavia, se saranno confermate, le ultime scelte della finanziaria per il 2005 sono necessarie ma non sufficienti perché non puntano ad un rilancio di lungo periodo e strutturale del settore.Il clima di insicurezza permane, oltre che per il settore dei finanziamenti, anche per l'incertezza delle prospettive di riforma normativa del sistema: l'ipotesi di bloccare la fase di implementazione dell'ultima riforma didattica, la modifica dello stato giuridico dei docenti e la riforma della condizione dei ricercatori, il dibattito sulle modalità di reclutamento e le procedure concorsuali, la natura riduttiva della riforma del sistema nazionale della ricerca ci consegnano un quadro onestamente difficile, in cui, per ora, gli unici veri risultati rischiano di essere una nuova stagione di compressione dell'autonomia universitaria e un ulteriore indebolimento della didattica e della ricerca.Ma, fuori da ogni demagogia, non dobbiamo nascondere che la questione dei finanziamenti è decisiva come lo è la diversificazione delle fonti dell'incremento delle risorse, a cominciare da quelle regionali: in questa ottica la Regione Toscana, che già svolge funzioni importanti nel settore della formazione, dovrà assumere comunque un ruolo più rilevante, che non si limiti ai soli interventi per il diritto allo studio, pure bisognosi di essere incrementati, o a quelli finanziati con i fondi dell'UE, o agli investimenti relative alle Aziende Ospedaliere, già regolati per legge, ma guardi piuttosto ad un piano di investimenti strategico che miri a premiare proprio quei sistemi territoriali che dimostrino di saper meglio interagire al loro interno, mediante la produzione di alti livelli di sapere e ricerca e la loro traduzione in progetti di sviluppo concreti.Queste richieste, del resto, sono rese ancor più stringenti dalla recente riforma del Titolo V della Costituzione, laddove sono riconosciute per la prima volta competenze legislative alle Regioni in settori quali i rapporti internazionali e con l'UE; la ricerca scientifica e tecnologica e il sostegno all'innovazione per i settori produttivi. Tutti questi ambiti possono ben rappresentare i capisaldi di un intervento legislativo regionale coerente e ampio con cui la Regione potrebbe disciplinare metodi e strumenti di cooperazione tra i tre grandi poli universitari di Firenze, Pisa e Siena. Si tratta insomma di pensare ad una legge regionale per il rilancio della filiera che passa attraverso la ricerca, l'alta formazione, l'innovazione del sistema produttivo.Naturalmente, un sistema circolare di questo tipo deve essere finalizzato anche al miglioramento qualitativo della didattica e dei relativi servizi. In questo settore il ruolo dell'ente locale è determinante, in un contesto di mobilità nazionale e internazionale di docenti, ricercatori e studenti, in cui il tasso di competitività di un Ateneo si misura anche sulla adeguatezza e modernità delle strutture e sulla qualità dei servizi.Sotto questo profilo vi è la necessità di affrontare una serie di priorità, tra le quali gli alloggi per gli studenti, il sistema di mobilità, lo sviluppo edilizio, la creazione di opportunità di lavoro qualificate per i laureati. Quanto al primo aspetto, sono noti gli obiettivi dell'amministrazione per aumentare la disponibilità di alloggi per gli studenti con un programma di interventi edilizi per 1.300 nuove unità (tra Novoli, Via Maragliano, Montedomini e San Salvi) che si aggiungeranno, entro il 2006, alle 900 oggi esistenti nel territorio comunale. Tuttavia, l'obiettivo, per quanto significativo, non basterà ancora a coprire l'intero fabbisogno di posti letto che ammonta, a quanto ci risulta, a ben 4.000 unità. Sappiamo bene, colleghi, quanto il tema degli alloggi per gli studenti sia cruciale non solo per la qualificazione dell'offerta di servizi cui contribuiscono Ateneo, Comune e Regione, attraverso l'ARDSU, ma anche per combattere in modo definitivo il sistema ramificato di rendita che si è incancrenito negli affitti ai giovani fuori-sede, costretti a sostenere spese che giungono fino a 400 euro per un posto letto. Si tratta di un tema di civiltà, oltre che economico, in cui si misura realmente la capacità di attrarre alla città la popolazione studentesca, valorizzando l'immensa risorsa delle nuove generazioni che vivono, studiano, consumano in modo stanziale nel territorio. Per questo Amministrazione, Università ed ente regionale, potrebbero insieme includere tra gli obiettivi di medio-lungo periodo, mediante un calendario di massima e da attuare gradualmente, un programma che punti dal 2006 ed entro il 2010 all'obiettivo, certo ambizioso, ma irrinunciabile, di abbattere definitivamente il fabbisogno di alloggi studenteschi. Un obiettivo di legislatura, insomma, da concordare con il governo regionale. In questa ottica sarà certo utile lavorare agli spazi della città le cui destinazioni possono ancora essere aperte a interventi edilizi per gli alloggi universitari, come nel caso di Sant'Orsola, oggetto del recente accordo interistituzionale che ha visto partecipe proprio l'Ateneo, e che potrebbe così assumere la valenza positiva di aumento della presenza studentesca nel centro storico.Il tema degli alloggi universitari, unito ai progetti di edilizia in generale che riguardano le altre strutture dell'ateneo, ci induce a chiedere un coinvolgimento pieno e attivo dell'Università nella fase di predisposizione definitiva e messa in opera del nuovo piano strutturale che il Comune si appresterà a varare.Un'altra riflessione va riservata certamente al sistema di mobilità in rapporto all'utenza dei poli universitari, con particolare riferimento a Novoli e a Sesto, che rappresentano gli snodi di un asse che va dal centro all'area ad ovest della provincia lungo la quale si sposta un potenziale di 50.000 tra studenti, PTA e docenti. In questo senso sarà utile per l'Ammnistrazione valutare una rimodulazione e, laddove possibile, un potenziamento del trasporto pubblico urbano su gomma, oggi basato su due linee, in attesa dell'attivazione del trasporto superficiale su rotaia e in un'ottica di intermodalità e ciclabilità, tutti interventi che rafforzano per altro il rapporto tra le realtà dei quartieri e le strutture universitarie, come nel caso più evidente del polo di Novoli.Infine un patto tra istituzioni, Ateneo e imprese sarà decisivo per qualificare al massimo l'ingresso nel mondo del lavoro degli studenti laureati. L'ultimo studio del Comitato di Valutazione, sulla base dei recenti dati di Almalaurea, ci dice che l'Ateneo fiorentino è tra i primi per numero di laureati impiegati ad un anno di distanza dall'acquisizione del titolo di studio: si parla di un 80% di giovani che trovano lavoro. Questo dato, tuttavia, si incrocia con una variabile nazionale: una recente indagine del più importante quotidiano nazionale ha evidenziato che i migliaia di laureati che si spostano dal sud al nord, lavorano a tre anni dall'uscita dall'Università con uno stipendio di 500 euro e in condizioni di assoluta precarietà. Ne deriva il grave paradosso per cui nel nostro Paese la richiesta di laureati da parte delle imprese è assai inferiore al numero, già basso di quelli disponibili. Si pone dunque un problema di qualità della formazione dei giovani in una Università di massa e di incontro tra domanda del mercato e offerta di profili professionali. Con tali premesse può essere dunque opportuno che l'Ateneo, che ha già attivato numerosi master di I e II livello, con buoni obiettivi di professionalizzazione, si avvalga dell'apporto del Comune e dell'impegno concreto delle imprese per programmare l'offerta formativa post-laurea sulla base di una mappa dettagliata di che parte anzitutto dalle esigenze delle imprese pubbliche e private, opportunamente stimolate, laddove non dovessero esistere. Anche questo potrebbe essere l'ambito di lavoro della Conferenza Comune-Università, la cui attivazione. Questo organismo, previsto con apposito protocollo firmato dal Comune e dall'Ateneo nel 2001, se attivato, potrà infatti essere lo strumento principe della politica integrata tra didattica, ricerca e amministrazione locale, nel pieno rispetto delle autonomie di ciascuno. Un tavolo con il quale sarà quindi possibile monitorare in modo sistematico gli avanzamenti dei progetti a ciò finalizzati; una sede nella quale far veicolare la elaborazione delle iniziative attivate dagli enti, capaci di valorizzare le risorse e le strutture dei dipartimenti in tutti i settori, con un risparmio di costi per l'amministrazione che si rivelerebbe assolutamente considerevole.Tutti questi interventi, mi avvio concludere, avrebbero come principali destinatari finali i 60.000 giovani che vivono e studiano a Firenze. Un bacino di ricchezze, dinamismo, energie intellettuali di cui la città ha assoluto bisogno, anche alla luce di un quadro demografico che dipinge una regione con alti livelli di qualità della vita ma con un alto tasso di età media. Una risorsa che, una volta formata e specializzata, può diventare la spina dorsale dello sviluppo economico della nostra realtà metropolitana. Mi rivolgo in particolare a voi studenti, ai quali mi sento particolarmente vicino: l'Università è vostra e vive per voi, non dovete dimenticare mai di ricordarlo e di essere uniti nel farlo.Cari colleghi, signo Presidente, una città che ha di fronte una sfida, quella di tenere insieme la sua identità di città d'arte internazionale e di città produttiva, sede del quarto distretto industriale del Paese. Sarebbe u grave errore ritenere che Firenze debba scegliere tra l'una o l'altra. La vera strada è quella di accorparle in un'unica visione culturale e di sviluppo, in cui proprio l'Università può rappresentare l'anello di collegamento strategico. L'occasione della fusione tra cultura umanistica e cultura scientifica con la quale la nostra città dovrà misurarsi. A distanza di 80 anni dalla nascita dell'Università fiorentina come oggi la conosciamo, è certamente la scommessa più affascinante: essere a tutto tondo una "città universitaria", attrazione nazionale e internazionale per le giovani generazioni, luogo di produzione e fruizione dei valori più alti della nostra cultura europea».(fn)