Lavoratori precari, De Zordo: «Il Comune 'disobbedisca' alla legge 30 e garantisca pari diritti e dignità ai suoi lavoratori. Le risorse? In un nuovo modello di welfare municipale»
«I lavoratori precari impiegati dal Comune di Firenze hanno pari dignità di coloro assunti a tempo indeterminato. Per questo è necessario che l'amministrazione di Palazzo Vecchio smetta di utilizzare la legge 30 per risparmiare sulla pelle delle donne e degli uomini che offrono la loro professionalità e parte della loro vita per consentire alla macchina comunale di andare avanti». Lo ha dichiarato Ornella De Zordo, capogruppo di Unaltracittà/Unaltromondo, in occasione dell'incontro dei rappresentanti del coordinamento dei lavoratori precari del Comune con i capigruppo consiliari.«Un'amministrazione di sinistra ha il dovere di non applicare una legge se questa va contro i diritti della persona - ha aggiunto - e la legge 30 è una legge iniqua che crea discriminazioni, nega i diritti ai lavoratori e apre uno scenario in cui i diritti negati sconfinano nella vita sociale e privata dell'individuo. Un lavoratore precario non può avere un progetto di vita, e ciò è intollerabile che avvenga per responsabilità dell'amministrazione comunale della nostra città».«Si smetta allora di fare promesse illusorie e si decida di non adottare più quanto stabilito dalla Legge 30 - ha proposto Ornella De Zordo - per ottenere le risorse necessarie e finirla con lo sfruttamento legalizzato dei lavoratori è necessario un nuovo modello di welfare municipale, che sappia riconnotare la politica fiscale degli Enti Locali sui nuovi flussi di reddito rappresentati dallo sfruttamento del territorio, dai servizi finanziari, dalle rendite immobiliari».«Se chi governa Firenze - ha concluso la capogruppo di Unaltracittà/Unaltromondo - non riesce a perseguire un nuovo modello di giustizia economica per chi vive, lavora e abita la città, si mette automaticamente dalla parte della conservazione, rinunciando così in partenza all'ambizione di cambiare in meglio la società in cui viviamo». (fn)