XXII Assemblea dell'Anci, la relazione del presidente e sindaco di Firenze Leonardo Domenici

Si è aprtea oggi a Cagliari la XXII Assemblea annuale dell'Anci, l'Associazione dei Comuni italiani. Questa la relazione introduttiva ai lavori del sindaco di Firenze e presidente Anci Leonardo Domenici."Cari amici,non possiamo cominciare questa nostra assemblea annuale senza esprimere la nostra più profonda solidarietà agli amministratori locali della Calabria, in particolare a coloro che svolgono la loro attività istituzionale nella Locride, dopo il tragico agguato mortale al vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria Francesco Fortugno.Cari colleghi, l'Anci vuole essere al vostro fianco in tutti i modi e le forme possibili, così come vogliamo essere vicini a tutti quei sindaci e quei governi locali che si trovano a fronteggiare quotidianamente, e non solo in Calabria, l'aggressiva presenza della criminalità organizzata! Vogliamo essere vicini a quegli amministratori comunali che non solo non usano le auto blu, ma che molto spesso si vedono incendiata o distrutta la propria auto personale dalla malavita locale! E questo quando va bene, perché, come purtroppo vediamo oggi, il rischio vero è che dalle intimidazioni si passi rapidamente agli attentati alla persona.Non è possibile continuare così. Bisogna stare molto attenti a non sottovalutare la forza, il radicamento e l'invasività della criminalità organizzata. La presenza in Calabria e le parole pronunciate dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi sono un fatto importante: a lui va il nostro ringraziamento, perché lo abbiamo sempre sentito solidale con le istituzioni locali, in particolare con i Comuni italiani, soprattutto nei momenti più duri e difficili. Ma l'azione dello Stato nella lotta contro la criminalità organizzata non può indebolirsi o rallentare, deve invece dispiegarsi pienamente, con forza, in sintonia con le autonomie locali. I Sindaci della Locride e di tutti i Comuni che si trovano in prima linea a lottare contro i condizionamenti e le infiltrazioni delle associazioni camorristiche o mafiose, devono percepire concretamente questa presenza dello Stato, questa unità di intenti di tutti i livelli istituzionali; non devono avere la sensazione di essere lasciati soli, di essere abbandonati a se stessi di fronte alle intimidazioni e alla violenza criminale!Come Anci siamo pronti a dare ogni contributo che sia nella nostra possibilità ai colleghi calabresi e siamo disponibili, in qualsiasi momento, a incontrarci con il Ministro dell'Interno Pisanu (che sappiamo essere impegnato in queste ore in Parlamento proprio per rispondere sulla emergenza Calabria) per stabilire insieme quali iniziative intraprendere.Abbiamo visto poco fa il video introduttivo di questa nostra Assemblea annuale. Si tratta di un filmato molto suggestivo, una piccola ma significativa novità in occasione dell'apertura dei nostri lavori e voglio ringraziare non solo coloro che lo hanno realizzato, ma anche i nostri funzionari e in particolare il Segretario Generale della nostra Associazione Angelo Rughetti, che hanno avuto l'idea di commissionarlo per rappresentare simbolicamente e visivamente la complessa e mutevole realtà, che vivono i Comuni italiani, dal più piccolo al più grande, e che ci mette ogni giorno davanti a problemi ardui da risolvere e a sfide inedite, in un mondo in rapidissima trasformazione. E noi dobbiamo offrire in questo scenario e a coloro che si trovano a vivere nei nostri Comuni, risposte immediate: spesso ci riusciamo, qualche volta no; certo è che ci proviamo sempre.E' questo, però, che ci differenzia da tutte le altre istituzioni, anche di carattere locale. Il rapporto concreto con la realtà quotidiana non ci consente di avere i "tempi lunghi" di altri livelli istituzionali: dobbiamo stare sulle cose e cercare di rispondere ai problemi anche quando non sono di nostra diretta competenza. Anche quando gli strumenti per dare risposte non sono nelle nostre possibilità o quando mancano le risorse per offrire soluzioni efficaci o servizi adeguati.Purtroppo, spesso ho la sensazione che quando si parla dei Comuni e della loro attività amministrativa, anche da parte di altre istituzioni (a cominciare da quelle centrali), se ne ha un'idea completamente sbagliata o comunque non rispondente alla realtà. Non mi stancherò mai di ricordare che un Comune è qualcosa di profondamente diverso da un Ministero o da una Regione; che gli 8100 Comuni italiani sono un insieme estremamente complesso e differenziato e di questo non si può non tenere conto quando si approva una riforma istituzionale o si discute una legge Finanziaria; che i Comuni sono la "base", il fondamento del nostro ordinamento costituzionale e pensare di governare il Paese contro di essi o comunque prescindendo da essi, è un errore gravissimo e gravido di ricadute negative, prima di tutto sui cittadini. L'articolo 114 della Costituzione parla chiaro: "La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato". Vuol dire che esiste una differenziazione di ruoli e di funzioni, ma non c'è chi sta sopra e chi sta sotto, chi comanda e chi obbedisce: c'è una "pari dignità" di tutti i livelli istituzionali della Repubblica. E deve esserci, nell'interesse di tutti, una "leale collaborazione". Che in questo momento, invece, non c'è.Questo è il punto cruciale e questo è l'errore grave che si sta commettendo. Siamo già al cuore del problema, che è poi il tema dominante della nostra stessa Assemblea.Si dice: "Siamo in un momento difficile e delicato sotto tutti gli aspetti: a livello internazionale e per quanto riguarda la vita economica, sociale, politica del Paese". Ne siamo consapevoli. E chi può saperlo meglio di noi, che viviamo ogni giorno nei nostri Comuni quei problemi, quelle contraddizioni, quelle esperienze di governo, che poc'anzi ho ricordato?Entriamo nel merito. Parliamo di legge Finanziaria 2006. Ci sono scelte difficili e importanti da fare sia sul fronte del risanamento dei conti pubblici (sappiamo bene che l'Unione europea ha posto termini e condizioni precise per riportare il rapporto fra deficit e pil sotto il 3%) sia per rilanciare la nostra economia e redistribuire risorse sul piano sociale. Ebbene, per raggiungere questi obiettivi la collaborazione e l'intesa istituzionale sono assolutamente necessarie e noi siamo senz'altro disponibili a fare la nostra parte in un quadro di questo tipo. Del resto, lo abbiamo sempre fatto. Ma il problema è che questo quadro non c'è. La strada che si è seguita e si sta seguendo è quella delle scelte unilaterali, non condivise, calate dall'alto, comunicate in modo imbarazzato, confuso e contraddittorio.Una confusione e contraddittorietà che permane anche in queste ultime ore. Si legge sulle agenzie di stampa di riunioni politiche di maggioranza nelle quali si sarebbe deciso di alleggerire il tetto di spesa imposto ai Comuni (a danno, peraltro, delle Regioni) e, subito dopo, arriva la dichiarazione di un sottosegretario all'Economia che si affretta a precisare che si tratta solamente di ipotesi e non c'è niente di definito.Quello che chiediamo è molto semplice: vogliamo un incontro ufficiale con il Governo per avviare un lavoro serio e di merito per cambiare la legge Finanziaria nella parte relativa ai Comuni, perché così come è noi non la possiamo accettare! L'unico incontro ufficiale che abbiamo avuto fino ad oggi (prescindo ovviamente da contatti informali, occasionali o in sede politica) c'è stato il 27 settembre alle 19.30 a Palazzo Chigi ed è risultato del tutto insoddisfacente per la brevità, la vaghezza e la genericità. Da allora non ci siamo stancati di chiedere un nuovo incontro, ma non si è mai ricevuta risposta, negativa o positiva, in via ufficiale. Personalmente, ho avuto un contatto telefonico venerdì scorso con il Presidente del Consiglio, che ha prodotto come conseguenza un invito a incontrarci a Palazzo Grazioli mercoledì prossimo. Ringrazio di ciò il Presidente Berlusconi e raccolgo l'invito, che dovrà comunque servire a incardinare un tavolo di confronto duraturo con il Governo, con la partecipazione di tutti i ministri interessati e la presenza dei rappresentanti dell'intero sistema delle autonomie locali (Regioni, Province, Comuni, Comunità montane), così come espressamente richiesto in una lettera congiunta ieri da Anci, Upi, Uncem e Conferenza delle Regioni. Qualora non si facciano concreti passi in avanti in questa direzione, qualora il quadro delle relazioni interistituzionali non migliori e si continui non solo a non tener conto delle nostre proposte, ma anche ad alimentare una inconcepibile e superficiale campagna di discredito nei confronti dei Comuni italiani, allora non sembri esagerato parlare del rischio di una vera e propria rottura istituzionale, del profilarsi di un conflitto con conseguenze assai pesanti sulla tenuta del nostro sistema.La notizia che ieri l'incontro per il reintegro del Fondo Nazionale per le Politiche Sociali 2005 non ha prodotto alcun risultato, di sicuro non contribuisce ad alleggerire la tensione: voglio ricordare che si tratta di ben 520mln di euro, che il Governo si era impegnato a reperire, in particolare quando (insieme ai rappresentanti delle altre istituzioni locali) il 28 luglio scorso occupammo simbolicamente la sede della Conferenza unificata per avere risposte chiare. Voglio ricordare soprattutto che si tratta di tante risorse in meno per l'assistenza agli anziani, per il sostegno ai disabili, per la lotta alle tossicodipendenze, per i problemi di marginalità sociale presenti nei nostri Comuni! Evidentemente quando si dice che la spesa sociale dei Comuni nella Finanziaria 2006 non verrà toccata (affermazione palesemente non vera, peraltro), non si considera che al momento risulta già praticamente dimezzata quella del 2005! Il 26 ottobre saremo a Roma, al cinema "Capranica", per ribadire insieme alle altre istituzioni locali le ragioni della nostra richiesta di reintegro del Fondo.E questo purtroppo non è neppure l'unico esempio negativo nelle relazioni Governo-Autonomie locali nel periodo che ci separa dalla Assemblea congressuale di Genova dell'anno scorso. Mi riferisco, in particolare, alla mancanza di risposte o alla drastica riduzione di risorse di fronte a due gravi emergenze che riguardano le nostre città: lo smog e la casa. Sul primo punto, avevamo raggiunto una intesa di massima con il ministro dell'Ambiente circa la necessità di istituire un fondo nazionale per gli interventi urgenti contro l'inquinamento atmosferico di almeno 500mln di euro annui, da utilizzare anche per incentivi al ricambio del parco veicolare più inquinante e da finanziare attraverso l'accisa sulla benzina, senza ricadute a carico del consumatore.Non se ne è saputo più nulla e dal marzo scorso (quando tenemmo il nostro convegno nazionale sull'ambiente a Lucca, con la partecipazione dello stesso Ministro Matteoli) stiamo ancora aspettando una convocazione per discutere nel merito, mentre ormai l'emergenza sta già ricominciando, nelle nostre città, con relativo accompagnamento di misure-tampone (quali targhe alterne o blocchi del traffico), che di certo non rappresentano una risposta strutturale adeguata, ma che come sindaci dobbiamo adottare per cercare di tutelare alla meno peggio la salute dei cittadini.Sul fronte dell'altra emergenza, la casa, ci sarebbe bisogno di una politica di ampio respiro, capace di programmare investimenti pubblici per realizzare alloggi decenti ad affitti decenti e di diluire così nel tempo, riducendone l'impatto sociale, il dramma degli sfratti esecutivi. E invece la tendenza è tutta al contrario: negli ultimi tre anni le risorse trasferite dallo stato alle Regioni per l'edilizia residenziale pubblica sono diminuite del 55% (da 1,5mld nel 2002 a 808mln nel 2004); le abitazioni costruite sono passate da 34mila nel 1988 a 1900 nel 2004. Tutto questo mentre nelle nostre città si gonfiava a dismisura la bolla speculativa che ha portato ad un forte aumento degli affitti e dei prezzi d'acquisto delle case, per cui è cresciuto fino alla cifra-record di 160mld di euro l'indebitamento delle famiglie italiane per potersi comprare l'alloggio. E tutto questo mentre diminuiva costantemente il contributo all'affitto per le famiglie in condizione di disagio sociale, il cui fondo nazionale è stato, fra il 2000 e il 2005, praticamente dimezzato (-48%) e per il prossimo anno se ne prevede un ulteriore decremento di 13mln di euro!E' questo, dunque, il quadro già di per sé negativo, in cui viene a collocarsi la presentazione della legge Finanziaria 2006. Non c'è dubbio che le dimissioni del Ministro dell'Economia Siniscalco abbiano reso più difficile il lavoro del governo, ma non possiamo essere noi Comuni e Autonomie locali a pagare il prezzo di questa difficoltà. Prima di entrare nel merito degli aspetti più negativi della manovra per il 2006, così come trasmessa al Parlamento, vorrei sollevare una questione di notevole importanza se si vuole davvero realizzare una politica efficace e condivisa di reperimento delle risorse e di riequilibrio della spesa pubblica, nel rispetto della autonomia delle istituzioni locali. Mi riferisco alla necessità di poter programmare i nostri bilanci su base pluriennale, senza doverci trovare, praticamente ogni anno, di fronte a cambiamenti sostanziali non solo di importanti singole norme, ma addirittura dell'impianto strategico complessivo delle politiche economico-finanziarie. In questi ultimi anni, già con i Governi di centro-sinistra, abbiamo avuto continue modifiche del Patto di stabilità con il passaggio dai "saldi di bilancio" (l'impostazione che continuo a ritenere più giusta) ai "tetti di spesa". Abbiamo avuto tagli ai trasferimenti dell'1% su base annua dal 2001 e il blocco delle addizionali Irpef nel 2003, prorogato poi di Finanziaria in Finanziaria su più che dubbie basi di costituzionalità, anche per quei Comuni che ne avevano programmato l'applicazione sull'arco dei tre anni stabiliti. Abbiamo dovuto subire il famigerato decreto "tagliaspese" del luglio 2004 (che peraltro impallidisce al cospetto della Finanziaria 2006), salvo poi apprendere in quella stessa estate dal nuovo Ministro dell'Economia che mai più si sarebbe ricorsi ad atti improvvisi e unilaterali di quel genere, poiché ci si sarebbe invece ispirati al cosiddetto metodo Gordon Brown, con il tetto di incremento della spesa su base annua del 2%. Oggi, settembre/ottobre 2005, questa impostazione del Patto di stabilità viene rinnegata e ricacciata in soffitta, ma il piatto che ci viene confezionato è ancora peggiore. Sfido chiunque a stabilire quella programmazione pluriennale dei bilanci, semplicemente indispensabile per qualsiasi opera di risanamento della finanza pubblica!Ma attenzione: qui viene il punto. Sento già dire: "Vabbè, ma è il solito ritornello: tutti gli anni vi lamentate e protestate, poi in qualche modo riuscite a farcela". Ecco la questione vera è proprio questa e su di essa occorre fare la massima chiarezza con tutti, con il Governo e il Parlamento, con le forze economiche e sociali, con l'opinione pubblica e, soprattutto, con i cittadini, anche grazie al lavoro della nostra Assemblea e alle iniziative che la nostra Associazione sta già promuovendo ovunque. Non è come gli anni scorsi: è molto peggio. Vediamo perché.Intanto, per una evidente ragione di carattere strutturale e tendenziale: a forza di razionalizzare, tagliare, contenere, ridurre – siamo arrivati all'osso e si va a incidere concretamente sui livelli qualitativi e quantitativi dei servizi offerti. Fra l'altro ormai la situazione è tale, per cui ci sembra già un successo riuscire a mantenere ciò che abbiamo. In realtà questo approccio rappresenta già un arretramento, poiché nelle nostre città e nei nostri Comuni, i servizi oggi dovrebbero aumentare, non restare eguali a prima e men che meno diminuire. Più nel merito, non era mai accaduto che la manovra imponesse un "tetto negativo" (per fare un esempio: hai speso 100, allora devi spendere 93) calcolato addirittura sui consuntivi dell'anno precedente, cioè il 2004, e quindi notevolmente superiore a quel 6,7% che sta scritto in Finanziaria e realisticamente valutabile, invece, intorno al 13,5%. E non si era mai visto che, in barba a ogni federalismo, si andasse a dire a ogni Comune dove e come tagliare, oltretutto in modo impreciso e assolutamente poco realistico. Mi riferisco al fatto che la presunta "esclusione della spesa sociale" dalla riduzione di spesa imposta dal nuovo Patto di stabilità, si basa su una interpretazione del tutto riduttiva di ciò che è effettivamente "spesa sociale" per i Comuni, dal momento che si può ragionevolmente considerare che essa si aggiri in media attorno al 30% del bilancio di ciascun ente e non riguardi soltanto le voci cui fa riferimento la Finanziaria (il Titolo dieci, della nostra contabilità). Mi riferisco, ancora, al fatto che pure la voce relativa al personale non è per nulla esente da tagli, dal momento che si chiede agli enti locali di non superare, nel prossimo triennio, l'ammontare delle spese per il personale dell'anno 2004 diminuite dell'1%, inclusi i lavoratori a tempo determinato con contratto di collaborazione coordinata e continuativa. A questo proposito, vorrei fare presente che il numero dei dipendenti dei Comuni italiani era pari a 451.860 nel 2001 e risulta di 362.077 nel 2004, con un diminuzione di circa il 20%: mi chiedo quale altro settore della Pubblica Amministrazione possa vantare analoga "performance"!C'è, infine, un'altra affermazione non vera circa il contenuto della Finanziaria. Si sostiene che i trasferimenti erariali non vengono ridotti: apparentemente è giusto, poiché l'entità è pari a quella dell'anno scorso. Ma il problema è che non c'è il calcolo dell'inflazione, per cui si ha una decurtazione reale attorno al 2%. Senza considerare che, con il tetto di spesa "negativo" previsto, ci sta anche che qualche Comune, pur avendo a disposizione delle risorse, non sia neppure nelle condizioni di poterle spendere!Cari amici e colleghi,io non voglio appesantire questa già ampia relazione con le proiezioni dei tagli Comune per Comune. L'Anci ha già portato molti esempi, li abbiamo pubblicati sul nostro sito e io invito ogni Comune a fare le sue simulazioni (magari con l'aiuto delle Anci regionali) e a renderle note attraverso i mezzi di comunicazione, se necessario facendo delle inserzioni sui giornali e degli spot radiotelevisivi pagati di tasca nostra, con delle collette fra gli amministratori locali. E dobbiamo fare, fino alla noia, l'elenco delle voci di spesa su cui ci viene di fatto richiesto di intervenire con i tagli: istruzione e formazione (inclusi la refezione scolastica e il servizio di scuolabus); sport; cultura; spese di manutenzione (a cominciare dalle strade); illuminazione pubblica; trasporti; ambiente; accoglienza e assistenza per i minori non accompagnati; attività di inclusione sociale; immigrazione; servizi turistici. Se perfino una associazione di solito non tenera verso gli enti locali come la Cgia di Mestre ha calcolato (per la verità un po' al ribasso) che il taglio medio pro-capite in ogni capoluogo di provincia per servizi ai cittadini risulta superiore a 40 euro, si vede bene che qui non stiamo facendo propaganda politica, ma stiamo denunciando una manovra con effetti diretti e collaterali potenzialmente devastanti, dei quali sarebbe colpevole non prendere atto. E uso l'espressione "effetti collaterali" non a caso: ci sono, infatti, delle riduzioni previste per alcuni fondi di spesa nazionali, che se non modificate avranno ripercussioni disastrose nei nostri Comuni.L'esempio più clamoroso è rappresentato dal drastico ridimensionamento del Fondo Unico per lo Spettacolo (da 464 a 300mln di euro) e dalla riduzione della spesa e degli investimenti nel settore dei Beni culturali sotto la voce "Lavori pubblici" (circa 200mln di euro in meno). Mi chiedo come sia possibile pensare a una Finanziaria di sviluppo, in un Paese come il nostro, disinvestendo in modo così massiccio dal nostro patrimonio culturale e deprimendo la produzione artistica in campo teatrale, musicale e cinematografico!Una cosa comunque è certa: nell'ambito della Pubblica Amministrazione il sacrificio più duro viene chiesto ai Comuni. Il risparmio di spesa nell'ambito delle Autonomie locali, pari a 3,1mld di euro, risulta così distribuito: 1mld le Regioni (sanità esclusa); 400 milioni le Province; 1mld e 700mln per i Comuni. E voglio anche dire chiaramente che una parziale redistribuzione di questi carichi all'interno del settore non cambierebbe di molto la sostanza del problema e produrrebbe l'inaccettabile effetto di mettere le istituzioni locali le une contro le altre. Per tornare ai risparmi di spesa, dalle tabelle della Finanziaria risulta che anche i Ministeri devono sacrificarsi meno dei Comuni: il totale è, infatti, di 1mld e 545mln di euro in meno per i cosiddetti consumi intermedi, mentre gli effetti della riduzione degli investimenti fissi lordi, prevista in 1mld e 136mln, non rimangono limitati ai Ministeri, ma si ripercuotono sulle città e sui territori a livello locale (si pensi, per esempio, al già citato caso dei Beni culturali).Che senso ha questa scelta ? Che senso ha continuare a intervenire pesantemente sulla spesa di enti, quali i Comuni, che non possono in nessun modo essere ritenuti la causa del peggioramento del tendenziale di spesa e del fabbisogno statale (cioè il rapporto fra entrate e uscite) di questi ultimi mesi ? Voglio ripeterlo per l'ennesima volta affinché tutti voi lo possiate ripetere nei consigli comunali, nei dibattiti pubblici, negli incontri con i cittadini: è la Corte dei Conti che attesta che nel 2004 più del 95% dei Comuni sottoposti al Patto di stabilità, hanno rispettato il tetto di spesa stabilito. E' la Corte dei Conti, non siamo noi, a dire che, nello stesso 2004, i Comuni hanno fatto risparmiare allo Stato, in termini di cassa, 500mln in più di quello che era stato loro richiesto! Ed è il Governo che ha scritto, nel Dpef del luglio scorso: "tra il 1999 e il 2004 la spesa corrente di tutte le Amministrazioni pubbliche è cresciuta del 4,9%", mentre "i Comuni si sono attestati su una crescita del 4,6% (…) con un aumento contenuto (sic!) dell'1,9% della spesa per consumi intermedi", ossia come diremmo noi nel nostro gergo "comunalista" per beni e servizi.Allora perché questa ostinazione nel colpire i Comuni ? Tralascio ogni interpretazione di carattere politico, che in questa sede non voglio nemmeno prendere in considerazione.Forse, tagliare ai Comuni è più comodo, più facile, contabilmente e burocraticamente più sicuro. Ma, come spesso accade, la via più comoda e meno problematica, non è la più giusta e corretta.Può portare perfino a fare delle scelte, come accade in questa Finanziaria, la cui reiterazione richiederebbe la consultazione di un bravo psichiatra piuttosto che di un buon economista: mi riferisco al fatto che la soglia di esclusione dalle regole del Patto di stabilità è stata riportata a 3.000 abitanti, dopo che abbiamo passato mesi e mesi a convincere il Governo (e alla fine ci eravamo riusciti) a ricollocarla a quota 5.000, come era sempre avvenuto negli anni precedenti. Perché dobbiamo dissipare così inutilmente le nostre energie perdendo tempo a ridiscutere di un punto che ormai si riteneva acquisito, dando così prova di una rara e aberrante forma di masochismo istituzionale ?Come se non bastasse tutto questo, la tensione nei rapporti istituzionali è stata resa ancora più acuta dalla intensa campagna mediatica tesa a rappresentare gli enti locali come centri di spesa allegra e di sprechi incontrollati. A parte il fatto che questo argomento, quando viene usato da esponenti del Governo nazionale, è palesemente autolesionistico: vorrebbe dire, infatti, che tutte le manovre di questi anni sono fallite, dal momento che si ponevano l'obiettivo di mettere sotto controllo la spesa locale. In realtà, noi possiamo attestare, come Comuni, che limiti e controlli sono notevolmente aumentati e gli effetti, come prima ricordato, si vedono. E' paradossale e sgradevole la campagna sulle auto blu, sulle spese di rappresentanza, sui viaggi all'estero e sulle consulenze, se si pensa alla situazione di molti piccoli comuni sotto i 5.000 abitanti che hanno il problema di pagare la bolletta della luce o di tenere aperti gli uffici. Né si dimentichi che in Italia su 8100 Comuni ben 7808 sono sotto i 30.000 abitanti e non si capisce bene dove possano trovare tutti questi soldi per spese superflue. Se poi un sindaco sbaglia, è difficile che non paghi in termini di popolarità, di immagine pubblica, di risultati elettorali: anche sottovalutare la coscienza critica dei cittadini verso chi amministra è un errore e dimostra scarsa conoscenza della realtà concreta dei nostri Comuni, soprattutto di quelli più piccoli, dove il rapporto con la gente è quotidiano e diretto. E per quanto riguarda, invece, le grandi città, voglio soltanto ricordare che certe spese, come ad esempio quelle per consulenze, sono sottoposte a meccanismi di controllo e di verifica tali (dai revisori interni fino alle sezioni regionali della Corte dei Conti) da ridurre notevolmente il potere discrezionale degli amministratori locali. Ormai, le cosiddette consulenze incidono in misura pressoché irrilevante sui bilanci dei grandi Comuni (siamo intorno allo 0,5%), mentre diverso è il discorso per gli incarichi esterni, che sono indubbiamente in quantità maggiore, ma hanno carattere tecnico (il collaudo di un'opera o il carotaggio di un terreno, per esempio) e spesso servono a risparmiare tempo e denaro.Ma nessuna persona dotata di un minimo di assennatezza e buon senso, può pensare che si ricavi gran parte di quel miliardo e 700mln che viene richiesto ai Comuni dalla Finanziaria con la riduzione di questo tipo di spese! Non esiste proprio!Bisogna stare attenti: non si può fare della facile demagogia che genera soltanto un qualunquismo anti-istituzionale destinato a riverberarsi, poi, su tutti i livelli di governo e di rappresentanza politica, centrali e periferici.Anche l'articolo 13 della Finanziaria, relativo alla "riduzione dei costi della politica" merita, in questo senso, una riflessione. In un momento difficile come questo, siamo tutti disponibili a fare sacrifici, anche di carattere personale, ma discutiamone per bene e rendiamoli efficaci e ben finalizzati. Quando si prospetta la riduzione del 10% delle indennità e dei gettoni di presenza degli amministratori locali, si ha presente di che cosa e di quanto si parla? Si ha idea di quali siano le indennità lorde dei sindaci dei Comuni italiani, a cominciare da quelli più piccoli (dati – vedi libretto blu su "Status giuridico ed economico")? E di quanto sarà irrilevante il risparmio di spesa relativa (circa 19mln) ? Sarebbe più giusto, allora, contribuire in misura progressiva rispetto alle indennità che si percepiscono a seconda dei livelli istituzionali, perché anche il risparmio calcolato per parlamentari nazionali ed europei, ministri e sottosegretari non parlamentari, consiglieri regionali appare irrisorio (poco più di 23mln di euro), soprattutto se si pensa che dovrebbe confluire nel Fondo Nazionale per le Politiche Sociali, il cui taglio però, come abbiamo visto, è superiore ai 500mln!Come si vede, noi siamo del tutto disponibili al confronto, abbiamo idee e proposte da avanzare, ma la condizione essenziale è che il confronto si faccia e, finora, non è stato così.Invece di cercare di cavare sangue dalle rape (in questo caso le rape siamo noi…), sarebbe vantaggioso per lo stesso Governo avere, in questo momento, i Comuni dalla propria parte.La lotta agli sprechi e la riduzione dei costi della politica (di quest'ultimo punto spero ci si ricordi anche in occasione della prossima campagna elettorale, magari ripensando alla possibilità di accorpare le politiche con le amministrative) non è appannaggio di una parte: vogliamo farla tutti quanti. Sono sicuro che se ci si mettesse a lavorare insieme seriamente e in modo concorde, anziché fare questo mediocre gioco di scaricabarile fra le istituzioni della Repubblica, otterremmo risultati molto migliori.A un tavolo di confronto con il Governo, noi andremmo dunque con le nostre tante proposte fattive e costruttive che abbiamo messo a punto in questi anni e riproposto, anche grazie al lavoro della commissione Finanza locale, sia nel Consiglio Nazionale dello scorso luglio sia nelle ultime recentissime riunioni del Comitato Direttivo con consenso, lo voglio sottolineare, unanime.Certo, non è che ci aspettiamo che tutto venga accolto, ma devo dire che la ragionevolezza di alcune delle nostre principali proposte spesso viene riconosciuta, magari in privato, dagli stessi esponenti del Governo. Solo che siamo un po' stufi di ritrovarci in questa situazione kafkiana, per cui sì, abbiamo ragione, ma per un motivo o per l'altro non si può dire!Al tavolo di confronto, potremmo avviare una verifica congiunta fra Governo e Autonomie locali per il recupero di fondi inutilizzati o sottoutilizzati, anche da parte di enti pubblici non territoriali.Potremmo impostare efficacemente una politica di incremento delle entrate senza aumento della pressione fiscale per il contribuente: mi riferisco alla lotta all'evasione fiscale sulla base di una azione congiunta fra Stato e Comuni, di cui oggi si torna a parlare ma in modo astratto e generico, quando invece occorrerebbero norme molto precise, un sistema informativo all'altezza e strutture organizzative in grado di collaborare sinergicamente (si pensi all'incrocio delle banche-dati o alla collaborazione fra Guardia di Finanza e polizie municipali). Purtroppo anche in questo caso si è perso inutilmente del tempo: non si capisce per quale motivo non si accolse la nostra proposta di avviare un concreto lavoro in questa direzione già con la Finanziaria dello scorso anno.Ma, più in generale, dovremmo discutere seriamente sulla possibilità di tornare alla logica dei "saldi di bilancio", cioè detto con parole semplici: se dobbiamo correggere il tendenziale di spesa, concordiamo il livello di contenimento o di riduzione per i Comuni sul medio-lungo periodo rispetto al complesso della Pubblica amministrazione, poi lasciateci decidere autonomamente come raggiungere questo obiettivo, senza impedirci di usare la leva fiscale locale (penso alla introduzione dei famosi "contributi di scopo", più volte riconosciuti come proposta valida, di cui però non c'è traccia neppure nella Finanziaria di quest'anno) e senza dirci dove e come tagliare. Stabiliamo insieme dei criteri (p.es., lo stato economico, sociale e demografico di un Comune; la dimensione; la "virtuosità"; il contributo al raggiungimento di determinati obiettivi) e su questa base differenziamo le richieste ai singoli Comuni o a classi di Comuni, perché l'ingiustizia e l'errore più grandi di questa Finanziaria 2006 consistono proprio nel trattare gli enti locali come un tutto indistinto, che annulla particolarità e differenze. Badate che qualche apertura in questo senso nel testo della legge c'è, ma la norma è talmente contorta e confusa da richiedere, questa sola, un tavolo tecnico di approfondimento "ad hoc" , perché leggendola non ci si capisce nulla (mi riferisco a co.11art.22 – leggere). Il confronto e la collaborazione istituzionale servono anche per chiarire e interpretare ciò che nelle leggi è oscuro e poco comprensibile.Analoga considerazione vale per altre due annose questioni: la ristrutturazione del debito dei Comuni, con la relativa rinegoziazione dei mutui (su questo punto ho già inviato una lettera al Ministro Tremonti, che renderemo subito nota); e l'attribuzione del catasto ai Comuni, rispetto alla quale continuiamo a non capire resistenze e diffidenze, dal momento che si tratterebbe di un'operazione volta non ad aumentare la pressione fiscale, ma caso mai ad elevare il livello di efficienza gestionale, a favorire il recupero di evasione e a promuovere politiche di riequilibrio dei valori immobiliari, improntate a maggiore equità. Inoltre, dovremmo fare della "questione-catasto" il punto di partenza di una più generale riorganizzazione della tassazione sugli immobili, nel quadro dell'avvio di un vero federalismo fiscale.L'apertura di una collaborazione istituzionale seria sulla Finanziaria allargherebbe il confronto anche a questioni che non riguardano solamente la parte della manovra relativa ai Comuni. L'errore che si commette consiste nel vedere i Comuni e le Autonomie locali in genere come una palla al piede, un fattore di disturbo in una prospettiva di rilancio dell'economia e di redistribuzione del reddito. Niente di più sbagliato. Noi siamo in realtà elemento e fattore imprescindibile di sviluppo. Se l'obiettivo è la crescita della competitività dell'Italia, mi chiedo come si possano escludere le realtà istituzionali locali e, in particolare, i Comuni dalla impostazione delle strategie necessarie a raggiungere questo scopo. Investimenti pubblici locali; piani strategici; progetti coordinati pubblico-privati; interventi mirati per la modernizzazione delle nostre città – sono componenti essenziali per la possibile ripresa dell'economia italiana. Anche misure interessanti contenute nella Finanziaria, come quelle a favore del consolidamento e della crescita dei distretti industriali, richiedono un'interfaccia istituzionale adeguato a livello locale. Ma come attuare queste politiche ? Dove poterne discutere ? Per ora nessuno ha chiesto la nostra benché minima opinione: peccato, perché rischia di essere l'ennesima occasione perduta.Lo stesso dicasi per l'istituzione del Fondo del 5 per mille del gettito Irpef per volontariato e ricerca, che sarebbe in parte destinato anche ad attività sociali del Comune di residenza del contribuente: come è pensabile non dedicare a questo nemmeno una fugace riunione, un sia pur minimo scambio di idee?Particolare attenzione merita la questione degli interventi per lo sviluppo del Mezzogiorno, cui abbiamo dedicato la Conferenza che ha preceduto l'apertura di questa nostra Assemblea: non possiamo nascondere la nostra grande preoccupazione per la indeterminatezza delle misure contenute in Finanziaria su questo punto fondamentale per la vita del Paese, in particolare per quanto riguarda la quantificazione delle risorse destinate nel 2006 alla realizzazione di opere localizzate nel Mezzogiorno.Ma il problema maggiore riguarda le politiche sociali per i cittadini e per le famiglie.In questi anni, purtroppo, abbiamo assistito a una crescita dell'impoverimento pubblico e privato del Paese. Dal rapporto Istat del 6 ottobre scorso risulta che il numero di persone che si muove sulla linea d'ombra che separa la "normalità" dalla povertà, cresce sempre più. Una famiglia su quattro nel Mezzogiorno vive in condizioni di precarietà se non di povertà. Al Nord i nuclei familiari poveri sono il 4,7%, al Centro il 7,3%. Ecco, qui ci dobbiamo chiarire bene. Che senso ha istituire un Fondo di 1mld e140mln di euro a sostegno delle famiglie e per la solidarietà sociale, se contemporaneamente si riducono i servizi nei Comuni e si dimezza il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali ? E dove si discute degli eventuali criteri di riparto e degli ambiti di intervento ? Noi non c'entriamo niente ? In realtà, bisogna dirlo chiaramente una volta per tutte, noi c'entriamo e molto, perché non sarebbe la prima volta che con i risparmi fatti sulle nostre spalle si finanziano operazioni di redistribuzione del reddito poco efficaci senza che i Comuni vengano minimamente coinvolti se non per motivi burocratici (rilascio di certificati o erogazione di contributi stabiliti in modo centralistico, p.es.)! E' già successo che le risorse a noi sottratte siano andate a finanziarie non efficacissime riforme fiscali come, ad esempio, quella dell'Irpef! Se dobbiamo fare delle politiche di sostegno alle famiglie (e noi siamo d'accordo), rendiamole davvero utili: mettiamoci intorno a un tavolo e ridiscutiamo di come utilizzare questi 1.140 mln di euro!Ma se in questi anni si sono accentuati fenomeni di impoverimento, abbiamo anche registrato nel nostro Paese nuove, improvvise forme di arricchimento. C'è da chiedersi allora per quale motivo non si debba porre il problema (non solo in sede politica, ma anche istituzionale) del recupero di risorse attraverso una qualche forma di imposizione fiscale aggiuntiva sulle grandi rendite e speculazioni finanziarie. Voglio ricordare che l'esenzione fiscale delle plusvalenze mobiliari e immobiliari, decisa un paio d'anni fa, ha comportato una diminuzione di gettito per anno di circa 2,8mld di euro per lo Stato.Come si vede, la nostra non è una impostazione di mera denuncia o di lamentazione fine a se stessa: abbiamo delle idee e delle proposte, vogliamo esporle nelle sedi opportune e discuterle. Vogliamo essere ascoltati, nell'interesse del nostro sistema istituzionale e del Paese intero.Cari amici e colleghi,oggi torna alla Camera, per la seconda lettura, la riforma costituzionale, la cosiddetta devoluzione. E' da qualche anno che noi manifestiamo le nostre critiche e preoccupazioni al riguardo e non intendo dilungarmi su questo punto, proprio perché le nostre posizioni sono note. In estrema sintesi, ricordo la nostra insoddisfazione per la soluzione che riguarda la composizione e le competenze del Senato federale, che in realtà di "federale" ha assai poco, se non nulla, in quanto è irrilevante la presenza e il peso delle Autonomie locali; la nostra contrarietà alla attribuzione del potere esclusivo alle Regioni in materia di polizia locale (e le riserve anche per quanto riguarda l'istruzione); il giudizio negativo sulla decisione di procedere alla costituzionalizzazione della sola Conferenza Stato-Regioni e non anche delle altre Conferenze (Stato-Città e Unificata). Ma soprattutto ciò che preoccupa è il modello che viene delineandosi, molto confuso, farraginoso e per nulla dotato di organicità interna, come è invece indispensabile per un ordinamento costituzionale (mi riferisco, in particolare, al tutt'altro che lineare procedimento di formazione delle leggi e al complicatissimo rapporto che viene a instaurarsi, su questo piano, fra la Camera, sede privilegiata della produzione legislativa e il Senato federale, che esercita una funzione di controllo ed ha la competenza primaria sulle materie "concorrenti", riservate cioè sia allo Stato che alle Regioni). Ho l'impressione che questa riforma, partita con la condivisibile intenzione di superare i limiti del nuovo Titolo V approvato nel 2001, abbia notevolmente deviato, prendendo una strada sbagliata e finirà per creare, alla funzionalità del nostro assetto istituzionale, molti più problemi di quanti ne dovrebbe risolvere. A questo bisogna aggiungere i ritardi nella attuazione della cosiddetta legge La Loggia e, quindi, dei contenuti positivi della riforma del Titolo V. Al Governo era stata attribuita la delega per l'individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni, delle Città metropolitane e delle Province, ma ad oggi, nonostante le ripetute sollecitazioni, gli schemi di decreti legislativi sono ancora al concerto dei Ministri interessati e i tempi della delega scadono a fine anno.Tuttavia, in fatto di riforma costituzionale la vera nota dolente è rappresentata dalla mancata attuazione dell'articolo 119, più noto a tutti come "federalismo fiscale". Come forse ricorderete, si era deciso di istituire l'Alta Commissione per il federalismo fiscale, che ha rischiato di perdersi fra le vette delle sue elevate riflessioni, ma alla fine ha concluso i suoi lavori, il 30 settembre scorso, inviando al Governo una relazione sulla attività svolta, contenente numerose proposte per attuare l'attuazione dell'art. 119. I nostri rappresentanti nell'Alta Commissione, pur non condividendo tutte le proposte presentate, hanno sottolineato che la relazione costituisce comunque un utile punto di partenza per aprire una fase concreta di riforma e io sono d'accordo con loro: è necessario che il Parlamento sia portato a conoscenza del quadro propositivo dell'Alta Commissione, poiché la ripresa del lavoro sul federalismo fiscale rappresenta il necessario punto di riferimento generale per le stesse proposte riguardanti la legge Finanziaria 2006 e può servire a riprendere un confronto di più ampio respiro dopo anni di forte ridimensionamento del grado complessivo di autonomia fiscale e finanziaria degli enti locali.Mi avvio verso la conclusione, cari amici e colleghi, ma in questa parte finale vi prego di concedermi l'ultimo residuo della vostra attenzione, perché vorrei offrire alla nostra Associazione un tema di riflessione da sviluppare nel prossimo futuro, che potrebbe, a mio avviso, aprire una prospettiva strategica nuova per noi, su cui ritrovarci tutti insieme, unitariamente, a discutere, a confrontarci, a sviluppare il nostro ruolo anche in termini culturali e ad avanzare idee innovative.Sono profondamente convinto che, nella società in cui viviamo oggi, il problema della crisi delle istituzioni politiche è ancora lungi dall'essere risolto. Come ho ricordato poco fa, anche le risposte che si è cercato di formulare in questi ultimi anni (a prescindere dal colore delle maggioranze politiche del momento) sono apparse insufficienti, se non addirittura controproducenti. La questione del grado di effettiva rappresentatività, della funzionalità, della efficienza delle istituzioni, rimane aperta. Il rapporto di fiducia dei e con i cittadini, il livello della partecipazione democratica, la fluidità dei processi di ricambio e di innovazione delle classi dirigenti - rappresentano tuttora rilevanti criticità.Per quanto riguarda l'Italia, occorrerebbe finalmente una riflessione pacata, serena, equilibrata, ma anche adeguatamente critica sulle difficoltà del processo riformatore avviatosi dopo la crisi della "Prima Repubblica". Si potrebbe avanzare la proposta di una Convenzione istituzionale, che svolga questo compito e della quale facciano parte non solo le forze politiche organizzate, ma anche i diversi livelli istituzionali e rappresentanze significative del mondo economico, sociale e culturale del Paese.Ma il problema, a mio parere, trascende il Parlamento, le Commissioni Bicamerali, i testi di riforma costituzionale e i decreti per il decentramento amministrativo accumulatisi negli anni. C'è molto probabilmente una questione più profonda da affrontare, che riguarda la dimensione pre-politica, che coinvolge perfino la sfera delle convinzioni di carattere etico e religioso. Riguarda, cioè, le ragioni del nostro stare assieme come esseri umani (in un Comune, in una Nazione, nel Mondo), la possibilità che il nostro "vivere civile" sia dotato di senso, di prospettive ragionevoli, di un orizzonte di finalità. Per dirla con un filosofo tedesco contemporaneo, c'è una differenza fra l'essere semplicemente "membro della società", facendo valere le proprie libertà "senza oltrepassare i limiti posti dalle leggi"; ed essere a pieno titolo "cittadini dello Stato", partecipando attivamente alla vita pubblica e alla produzione delle "leggi", intese in senso lato. C'è una differenza fra essere "monadi isolate", che usano "i propri diritti individuali come armi contro il prossimo", in un mondo regolato sempre più dai mercati e sempre meno dalla politica; ed essere cittadini consapevoli, che sanno porsi anche nella prospettiva del bene e dei beni comuni, sollevandosi così, almeno ogni tanto, dall'ambito della propria particolarità individuale.Ecco, io credo che i Comuni possano in questo senso dare un contributo importante, dando vita a un nuovo movimento istituzionale che parta dal basso, ma sappia ricollegarsi ai livelli istituzionali più alti, in primo luogo a quella Unione europea che rischia di essere troppo poco radicata nei cuori e nelle menti dei cittadini del nostro Vecchio Continente, ma che pure rappresenta il più importante progetto di unificazione politica del tempo in cui viviamo. Sono convinto che i Comuni, in questo processo storico, siano essenziali. E non solo perché, come mi è già capitato di dire nella relazione ad un'altra Assemblea annuale, è dai Comuni che si comincia, è qui che si apprendono le regole del vivere civile, che prende forma la nostra vita di relazione, che si delinea il primo abbozzo di identità culturale e politica (nel senso di cittadino di una "polis"). Che si realizzano quelle nuove, non sempre facili convivenze, di cui, nonostante l'attualità che ci travolge, vorremmo comunque parlare in questa Assemblea e che caratterizzano la vita odierna delle nostre città, sospese fra la possibilità del dialogo e la problematica accettazione delle differenze.Ma, oltre a questo motivo per così dire sociologico, ce n'è anche uno di carattere storico che rende indispensabili i Comuni. La civiltà europea comincia, infatti, con la rinascita della città, più o meno mille anni or sono. E la forma istituzionale, inizialmente privata e poi pubblica, che questa rinascita assume è, per l'appunto, il Comune. Il Comune nasce per affermare le rivendicazioni cittadine contro il signore feudale, per elaborare in modo autonomo le proprie leggi (gli Statuti), per interpretare una vocazione "democratica", sia pure in un modo diverso dall'accezione moderna di questo termine. Nel movimento comunale c'è qualcosa di liberatorio e innovativo, che si è trasmesso fino ai giorni nostri. Molti di noi (io fra questi ) hanno il privilegio di esercitare la propria funzione nei luoghi in cui i Comuni sono letteralmente nati secoli e secoli fa. Come ha scritto Rosario Villari: "In una Europa che ha visto immani distruzioni, sconvolgimenti catastrofici e rinnovamenti radicali, il filo della continuità fra le città medievali e gli attuali agglomerati urbani non si è mai completamente spezzato. Entrando in una chiesa tardomedievale o in un antico palazzo comunale, sostando in una piazza o attraversando un vicolo, in Toscana o nelle Fiandre, a Praga o a Dubrovnik, la percezione della continuità è immediata. Insieme ad essa, emerge anche, a pensarci, il senso delle lontane radici di una comune realtà spirituale e civile".Ecco, io penso che noi siamo una Associazione centenaria che interpreta e rappresenta questo spirito millenario. Anche nei momenti di più acuta tensione politica, non dobbiamo rinunciare a rivendicare la nostra storia, la nostra autonomia, la nostra identità: non possiamo accettare che i Comuni italiani subiscano, che lo si voglia o meno, una mortificazione. Perché noi siamo chiamati a svolgere una funzione di grande importanza in questa realtà che cambia e si trasforma: siamo chiamati a dare il nostro contributo per un mondo in cui siamo "obbligati" a vivere pacificamente.