Pieri, Nocentini, Diaw (Rifondazione): «A 50 anni dalla feroce repressione in Ungheria l'idea della trasformazione sociale ritorna protagonista»

Questo il testo dell'intervento della capogruppo di Rifondazione Comunista Anna Nocentini e del consiglieri Leonardo Pieri e Mbaye Diaw:«Sono passati 50 anni esatti da quell'ottobre del 1956, quando, all'alba, alcune decine di carri armati sovietici entrarono nel centro di Budapest, dopo che l'esercito aveva occupato gran parte dell'Ungheria. Per la prima volta "i carri armati dell'Armata Rossa, che nell'immaginario collettivo erano legati all'avanzata verso Berlino e alla bandiera nazista che veniva ammainata, saranno d'ora in poi accomunati inevitabilmente alla repressione della rivoluzione ungherese", scrive Santomassimo. Da allora questa immagine sinistra verrà più volte confermata, dodici anni dopo a Praga e nel 1979 in Afghanistan.Il fatto che quel tentativo di rivoluzione, così come le proteste in Polonia dei mesi precedenti, fosse stata scatenata dalle conclusioni del XX congresso del PCUS che aveva denunciato il regime e le atrocità di Stalin, dimostra come le speranze suscitate da quella "svolta" fossero destinate a fallire, poichè mentre da una parte si rigettava il "culto della personalità" e la violenza del regime in URSS, dall'altra la mentalità e le pratiche messe in atto dal gruppo dirigente dell' Unione Sovietica rimaneva drammaticamente la stessa. L'impossibilta del dissenso, il controllo sociale, la violenza e l'autoritarismo, rimanevano caratteristiche intatte dei gruppi dirigenti di allora e rendevano impermeabile ogni tentativo di cambiamento in senso democratico.L'errore di allora non fu quindi una patologia isolata o un obbligo (come venne e viene detto da più parti a proposito degli equilibri geopolitici da Yalta in poi), ma un dato strutturale di una "cultura politica" dominante, non solo in URSS ma anche nelle principali formazioni comuniste nel resto del mondo. In Italia la reazione fu simile, con il PCI che, nonostante annunciasse una "via italiana al socialismo", non volle o non riuscì a distaccarsi da una scelta sbagliata che avrebbe segnato l'inizio del declino, non soltanto dell' esperienza del socialismo reale, ma di un sogno: l'idea di trasformazione come orizzonte per il progresso sociale e per l'emancipazione delle classi subalterne. Oggi, che le esperienze del socialismo reale sono finite, che non esiste più la "cortina di ferro", l'idea della trasformazione ritorna all'ordine del giorno e, imposta dai movimenti che da Seattle in poi hanno animato la scena politica internazionale, una nuova speranza si è aperta. Una speranza fatta di nonviolenza, del rispetto dei diritti umani, politici e sociali e della partecipazione dei cittadini alla vita pubblica e che ripudia l'autoritarismo e una concezione del potere come "stanza dei bottoni". Già allora alcuni, con grande coraggio, avevano denunciato questa deriva che avrebbe posto le premesse per una sconfitta storica che grava ancora sulle forze che oggi e domani continuano a battersi per la trasformazione sociale, il superamento del capitalismo e dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo».(fn)