Celebrato in Palazzo Vecchio il 62° anniversario della Liberazione di Firenze. L'intervento del sindaco e l'orazione ufficiale di Luigi Berlinguer
"La Costituzione non può essere terreno di scontro politico fra schieramenti diversi. Occorre invece, oltre a riconoscerne i valori e principi fondamentali, che tutti gli obiettivi di riforma e revisione importanti per adeguare la nostra Carta Costituzionale ai mutamenti in atto nel mondo, siano l'occasione di un confronto costruttivo, così come auspicato prima dal presidente Carlo Azeglio Ciampi e poi dal suo successore Giorgio Napolitano".La Costituzione è stato uno dei temi toccati dal sindaco Leonardo Domenici nel Salone dei Cinquecento nel corso del suo saluto per il 62° anniversario della Liberazione di Firenze, avvenuta l'11 agosto 1944. Dopo il sindaco hanno preso la parola Romano Ragazzini in rappresentanza della federazione della associazioni antifasciste e della Resistenza e poi l'orazione ufficiale di Luigi Berlinguer, presidente della Rete Europea dei Consigli di Giustizia (in allegato il testo dell'intervento).Le celebrazioni per l'11 agosto sono iniziate alle 7 (proprio come quel giorno del 1944) coi rintocchi della Martinella, poi in piazza dell'Unità d'Italia dove il sindaco Domenici, i rappresentanti delle organizzazioni partigiane e autorità civili e militari hanno deposto corone di alloro al monumento ai caduti. Il rabbino capo Josef Levi per la comunità ebraica e monsignor Alberto Alberti per la chiesa cattolica hanno letto alcune preghiere. Poi la banda della Filarmonica Rossini ha preceduto il corteo (fino a Palazzo Vecchio) aperto dal tricolore, dalla bandiera del Comitato toscano di Liberazione nazionale e da quella del Corpo volontari della Libertà. Dietro al Gonfalone di Firenze il sindaco Domenici, il vicesindaco Giuseppe Matulli, gli assessori Tea Albini, Daniela Lastri, Gianni Biagi, Paolo Coggiola, Lucia De Siervo, Riccardo Nencini, Eugenio Giani, Cristina Bevilacqua, Simone Siliani, Claudio Del Lungo, il presidente del consiglio comunale Eros Cruccolini e diversi consiglieri comunali. Poi il gonfalone della Regione Toscana con l'assessore Riccardo Conti, quello della Provincia di Firenze col presidente Matteo Renzi e quelli dei Comuni di Empoli, Scandicci, Lastra a Signa, Sesto Fiorentino, Pontassieve, Greve in Chianti, Rignano, Bagno a Ripoli, Fiesole, Vaglia, Prato, Piombino, Viareggio, San Giovanni Valdarno, Terranova Bracciolini e i labari delle associazioni partigiane. Le celebrazioni si concluderanno stasera (ore 21) col concerto della Filarmonica Rossini sull'arengario di Palazzo Vecchio.Tornando all'intervento del sindaco, "Giornate come questa ha detto ancora Domenici devono essere un'occasione importante per riflettere sui 60 anni dalla elezione dell'Assemblea Costituente e dall'elaborazione della Carta Costituzionale. Non è soltanto di una ricorrenza celebrativa, ma vorrei ricordare che sono passate poche settimane da quando siamo stati chiamati a una consultazione referendaria, con un pronunciamento chiaro da parte dei cittadini elettori italiani. Credo che oggi, ricordando questa data, sia importante far sentire la necessità che sulla Costituzione, sulla piena attuazione del titolo V e su prospettive di riforma e revisione della seconda parte della Carta Costituzionale, possa finalmente tornare nel nostro Paese un clima costruttivo, soprattutto a livello parlamentare".Dopo aver sottolineato "il contributo per la storia della città, per la storia della lotta di liberazione nazionale e che Firenze seppe dare al processo di ricostruzione democratica del nostro Paese", il sindaco Domenici ha ricordato come "quella di oggi è una celebrazione importante non solo per i fiorentini. Sono qui con noi i rappresentanti dei consolati e vorrei ricordare il sacrificio in termine di vite umane delle truppe alleate che contribuirono alla liberazione nella battaglia dal 4 all'11 agosto. 13.000 morti e 8.012 dispersi per gli Stati Uniti, 5.246 morti e 1.943 dispersi per la Francia, 5.017 morti e 9.736 dispersi per la Gran Bretagna. Senza dimenticare il contributo per salvare il patrimonio artistico e culturale della nostra città".Poi i ricordi : "Vorrei ricordare un grande fiorentino, Giorgio Spini, nello scorso gennaio ci ha lasciati e che 2 anni or sono, proprio l'11 agosto, fu insignito del Fiorino d'oro della città di Firenze. E poi Piero Calamandrei, che nel prossimo settembre ricorderemo con un convegno e altre iniziative. Il 27 settembre saranno passati 50 anni dalla sua scomparsa e in quella circostanza avremo occasione di ritornare su quei che temi che oggi evochiamo".(fd)In allegato, l'intervento del professor Luigi Berlinguer,Presidente della Rete europea dei consigli di giustizia"In un paese civile si onorano i propri morti, si rende omaggio a chi è caduto per liberarci.Noi siamo qui per questo: dopo anni di guerra, a Firenze si era ingaggiata dal 4 all'11 agosto 1944 una battaglia dura, dolorosa, nelle strade e nei quartieri della città.Morirono 140 partigiani, 800 civili innocenti, tanti i feriti, mentre le artiglierie dei due eserciti in guerra si fronteggiavano all'esterno. I ponti distrutti, la città stremata.Alle 6,15 le campane chiamarono il popolo all'insurrezione, il popolo rispose.La città fu libera. E solo successivamente fece il suo ingresso, discreto e cauto, l'VIII armata, liberatrice.Larghi strati di popolo hanno sfidato la morte per liberare la propria città. Si è trattato di un grande evento, e non si può dimenticarlo. Non c'è niente di rituale nel ricordarlo. Noi siamo qui per richiamare i suoi valori, quelli della resistenza italiana tutta, verso la quale ognuno di noi deve riconoscenza e ammirazione.Lo dobbiamo a Firenze, per quella pagina scritta nel marmo.L'occasione è propizia per capire, per imparare, ancora oggi. Per osservare il fascismo, che cosa esso è veramente stato, e la follia hitleriana, la tragedia nazista , i venti anni più bui della nostra storia contemporanea, la rassegnazione, la passività, quel regime reazionario di massa, di massa per il consenso di cui in buona misura godeva ( penso all'uso spregiudicato ed efficace della radio, per la prima volta, a fini di controllo sociale, che ci insegna qualcosa circa i monopoli mediatici ). Per meditare sul bisogno popolare di ordine e di sicurezza, legittimo, ma usato invece a fini autoritari.L'occasione è propizia al tempo stesso per ricordare la capacità reattiva, lo scatto, il moto di riscatto che ad un certo punto ha percorso la penisola, o parte di essa. Prima con l'incubazione antifascista, elitaria, in Italia e all'estero; e poi, con la Resistenza, con le sue prime avanguardie e poi con le formazioni partigiane attive, fino al crescere dei tanti fiancheggiatori, tra i militari, i civili, alle varie forme di sostegno popolare, episodico o continuo, sempre a rischio della vita.Per ricordare i tanti e diversi eroismi, quella grande reazione ideale e morale, che anche oggi ci commuove come italiani; quella sua significativa unità di intenti nella diversità delle rispettive culture, quella sua forte connotazione sociale, quegli ideali autonomistici e di autogoverno: embrioni di una nuova democrazia.Ricordarlo significa anche conoscere più a fondo, senza stereotipi trionfalistici o oleografici; conoscere e rivelarne le luci, le ombre; gli eroismi esaltanti, gli errori, persino i crimini che vi si sono commessi. Non c'è grande evento storico senza luci ed ombre. Nella sua conoscenza la verità storica deve trionfare senza sconti né silenzi, affinché quella serie di fatti straordinari e drammatici, generosi e duri, esaltanti e dolorosi, possa emergere con tutto il suo valore di fondo: la sconfitta della dittatura oscurantista, il cammino oltre lo stato proto-liberale, la conquista della libertà, la premessa della costruzione di un moderno stato democratico. In altri termini, la base civile della settima potenza industriale del mondo.Perché, senza nulla togliere ai meriti ed al ruolo delle potenze alleate nella sconfitta del nazifascismo, si deve anche a quel riscatto, a quell'orgoglio, a quel protagonismo italiano, fiorentino nella conquista della libertà se gli anni successivi hanno potuto iniziare ad edificare le basi dell'Italia democratica e repubblicana. Pensate: si usciva allora da 20 anni di dittatura,di isolamento internazionale. Non si sapeva cosa fossero elezioni, partiti, libertà di stampa e di pensiero. Mancava una libera fucina intellettuale essenziale alla crescita di un paese, mancava la pratica della democrazia come esperienza sociale formativa di una coscienza evoluta.È stato un concentrato di eventi in un tempo assai denso ed intenso. È vero che la Resistenza, nella sua parte attiva e combattente, non ha rappresentato un fenomeno di massa. E tuttavia resta il fatto che solo un anno dopo, il 2 giugno 1946, sono stati dodici milioni di italiani (il 54%) a votare per la Repubblica, ad allontanare civilmente ma irrevocabilmente una dinastia compromessa col fascismo, con le leggi razziali, con l'onta di quell'abbandono e di quella fuga notturna a Pescara (era veramente l'ultimo dei fasti crepuscolari di questa dinastia?). Si è scelta cioè, consapevolmente, con grande concorso di popolo, una nuova forma di Stato, quella repubblicana. A quella scelta concorse positivamente un elevato numero di donne, certamente nel centro-nord del paese.Di donne, per secoli custodite entro mura domestiche, così a lungo sottratte nel corso della storia al concorso democratico. Quel 2 giugno, invece, esse vennero coraggiosamente chiamate per la prima volta ad essere partecipi della democrazia. Certo quel voto repubblicano fu un grande fatto, storico, e di massa; e di massa fu anche il contributo femminile, certo non totale, non maggioritario, ma di massa, da parte di chi mai, prima di allora, aveva consumato una tale esperienza.La scelta repubblicana significò per l'Italia, a differenza di altri paesi, una scelta netta anche per la democrazia ed il riscatto storico. Democrazia significò, nell'Italia di allora, repubblica. E resta parimenti il fatto che l'assemblea costituente eletta in quello stesso 2 giugno partorì, nel corso dell'anno e mezzo successivo, un testo costituzionale largamente condiviso, perché concepito proprio nella temperie unitaria antifascista della Resistenza, come dimostra la straordinaria circostanza che quegli stessi valori continuarono a vivere, furono costituzionalizzati da quella stessa assemblea che proprio nel corso del 1947, sul piano politico, del governo, decretava la divisione del fronte antifascista, in mezzo ad aspre polemiche.La funzione costituente di quell'assemblea si rivelò più forte delle divisioni politiche grazie alla larga condivisione di quei valori, che erano ormai valori popolari, di massa. Credo che a questi rilevanti risultati storici abbia contribuito sensibilmente il protagonismo non solo elitario della Resistenza.In verità, quei quattro anni (1944-'48) furono anni cruciali, in cui si realizzò una straordinaria concentrazione ed accelerazione storica, di eventi storici, essenziale per la maturazione delle coscienze. Furono espressi valori e definite mete irreversibili. Poi sarebbero venuti i ritardi, i vari contraccolpi, ma le mete restarono irreversibili.È stata la scelta netta fra democrazia e dittatura. Oggi si questiona di riconciliazione nazionale, si rivendica rispetto per tutti i morti, condanna in egual misura per tutti i crimini commessi di qua e di là. Si vorrebbe fondare la riconciliazione nazionale su una omologazione delle due parti, in un indistinto embrassons-nous, con un pareggiamento delle responsabilità. Mi domando allora: con che animo saremmo qui, noi, oggi, a giudicare con lo stesso metro Potente, Orazio Barbieri, i caduti partigiani con lo stesso metro dei fascisti? No, non si può. Neanche si può confondere la legittima pietà per quei giovani ingenui ed ignari, come si dice "in buona fede", che aderirono a Salò con la nostra ammirazione e gratitudine per i giovani antifascisti. Certo è difficile condannare per sempre l'errore sincero di un sedicenne, un diciottenne, che poi ha sofferto per quella scelta; e si deve rispetto per quella sofferenza. Rispetto e fors'anche pietà. Si deve sicuramente rispetto per la morte. Ma chi è andato sulle montagne, ha scelto il sacrificio, combattuto per la libertà non può essere omologato con chi - più o meno consapevolmente - si è schierato con la dittatura, con il fascismo, con i suoi crimini.Il giudizio storico è inappellabile. E con esso anche quello morale. Conveniamo che occorre ormai una rinnovata identità nazionale, ma certo non si può fondarla sul falso storico che confonde dittatura con lotta per la libertà.Non ci si dimentichi che in Europa, nella civilissima Europa democratica - e non in paesi socialmente e civilmente più arretrati, senza tradizione liberale - si sono prodotti fascismo, nazismo, franchismo, colonnelli greci: quelle terribili vicende storiche servano da lezione, una lezione che non ammette tentennamenti ne esitazioni storiografiche, morali, politiche di sorta.Ben venga la conoscenza e la condanna giusta di un episodio di violenza anche criminale verificatosi all'interno della Resistenza, senza però derivarne qualunquisticamente un ridimensionamento se non addirittura la condanna della Resistenza, del grande evento nel suo complesso e nel suo profondo significato storico, soprattutto come atto di nascita e valore della nostra democrazia.Attenzione, del resto. La presunta conciliazione pareggiatrice omologante, rischia persino di demolire valori definiti, precisi nella loro scaturigine storica, nelle loro radici che li rendono credibili, nelle figure degli eroi che li hanno incarnati. Un popolo, per la sua stessa identità, per la necessaria fisicità dei suoi ideali, ha bisogno dei suoi eroi. C'è nell'uomo un profondo bisogno dell'eroe: non di simboli mistificanti, astratti, ma di concreti punti di riferimento, persone grandi, limpide. Eroi.L'anno prossimo ricorrono duecento anni dalla nascita di Garibaldi. Potrebbe essere il Risorgimento, nel cuore degli italiani - attenzione a non perdercelo, il risorgimento- senza Garibaldi, quello di Quarto o Marsala, ma anche di Montevideo, del Sud America, delle società operaie, della dignità dell'estremo rifugio a Caprera? Senza Garibaldi, oggi più attuale di ieri? E potrebbero esistere la Resistenza e la Liberazione d'Italia senza Ferruccio Parri, o i fratelli Cervi, o Potente, o tanti altri? Possiamo procedere al loro depotenziamento, nel quadro di una loro omologazione con le figure della repubblica di Salò? Siamo qui per ricordare. E ricordare significa conoscere. Vedremo allora che alle luci si affiancano le ombre, che a quella straordinaria accelerazione del quadriennio ricordato sono seguiti momenti di relativa decelerazione, ritardi, resistenze con la "r" minuscola, contraddizioni.La Costituzione rapidamente conquistata ha messo anni, tanti anni per essere attuata.Per vari decenni il sistema politico ha finito per bloccarsi è sfuggito all'esperienza di altri paesi europei, non ha registrato alternanza di governo, e la democrazia si è azzoppata. Lo stesso PCI - per la sua collocazione internazionale e le sue ambiguità democratiche - non ha sviluppato appieno le sue potenzialità politiche, necessarie in concreto per l'alternanza.Il sistema partitico nel complesso ha subito processi di degenerazione fino a provocare fenomeni di corruzione politica diffusa. La società si è rivelata in certe fasi più dinamica del sistema politico, ha mostrato una vitalità non sostenuta a sufficienza dalle istituzioni. Soprattutto nel sud i fenomeni di criminalità organizzata hanno registrato un cronico insuccesso dello Stato nell'assicurare il rispetto della legalità ed il controllo del territorio, superando la soglia della sopportabilità. In altri termini ripensare e ricordare quegli anni ruggenti ci mostra che contemporaneamente, e specialmente dopo, sono emersi fenomeni preesistenti e non metabolizzati, non elaborati, e nuove criticità, nella struttura democratico-politica del paese, Tutto questo richiede oggi, al contrario, coraggiosi cambiamenti, ormai irrinviabili. Si è ripetuto più volte, con legittimo orgoglio, che l'11 agosto e il 25 aprile, hanno rappresentato l'auto liberazione di Firenze, di altre parti d'Italia. Senza quel protagonismo non ci sarebbero stati quegli anni successivi.È vero. E quell'auto liberazione ci conferma un grande insegnamento: la libertà è una conquista, non una concessione.Essa non è vitale se arriva grazie ai fucili altrui, se è ottriata.Vale per l'Italia, ma per tanti altri paesi fino al moderno Iraq.Forse è vero che nella nostra storia spesso così oscura e piena di ombre, di drammi e perfino nefandezze, scorre un fiume carsico democratico, a lungo interrato, che è capace però, a volte di emergere con un colpo di reni e di consentirci conquiste vitali.Se siamo riusciti a darci questa Costituzione, questa autonomia, questo stato sociale, lo si deve anche a quel fiume, alle sue emersioni.Ma guai a compiacerci nostalgicamente di quei successi, ad appagarci contemplandoli immobili, perché anch'essi invecchiano. Ed è qui un altro insegnamento di quel moto tanto innovativo. Anche una Costituzione così alta, sempre valida nell'impianto dei suoi valori - che un recente referendum popolare a confermato di slancio, oltre le attese, condannando tentativi alternativi- anche la Costituzione mostra qualche ruga, aspetti non più così validi.I parlamentari nazionali sono ormai troppi; il bicameralismo perfetto appare inutile, specie nell'assenza della Camera delle Autonomie; il rapporto fra governo e parlamento non è più funzionale con le regole attuali, la stabilità politica come condizione di ogni strategia di cambiamento non è tutelata; soffre ancora la mancata adozione di coraggiose misure autonomistiche, che valorizzino appieno le potenzialità di alcune regioni ed enti locali, anche favorendo, sollecitando e sostenendo quelle istituzioni autonome già in grado di percorrere itinerari forse non ancora proponibili per l'intero territorio nazionale: ecco alcune rughe della Costituzione. E qui occorre cambiare, non più rinviare le riforme.Soprattutto, nel suo assetto di costituzione materiale, emerge negativamente la polverizzazione delle forze politiche, la sopravvivenza di residui insolubili di ceto politico sempre meno rappresentativo, che impedisce una moderna ed europea riaggregazione delle forze politiche. Cosicché risulta assai difficile ad una coalizione produrre efficacemente ed autorevolmente l'enorme sforzo necessario a guidare il paese in una fase così critica, drammatica, della propria storia, proprio mentre devono prevalere strategie ed interesse generale rispetto al peso spropositato dei microinteressi e degli egoismi di corpo, della conservazione degli assetti privilegiati.Nel novecento repubblicano non c'è stata alternanza, a causa del concorso da un lato di una conventio ad escludendum interna ed estera e dall'altro di un'auto esclusione di uno dei soggetti politici per l'alternativa per insufficiente "legittimazione democratica".Ora l'alternanza c'è stata, ma essa si rivela debole, fragile, affidata a norme ed equilibri deboli, con un sistema politico sostanzialmente di derivazione proporzionalistica sopravvissuto a se stesso e non invece a nuove soggettività strutturate ed a nuovi assetti più consoni all'alternanza.Così si è avuta una alternanza figlia di fattori esterni come il crollo del muro di Berlino e lo sconvolgimento internazionale che ne è derivato, e di fattori interni come i profondi mutamenti interni nella nomenclatura partitica. Necessari forse- fattori distruttivi, ma non un nuovo assetto atto ad assicurare una fisiologica alternanza di governo.E la stabilità resta ancora una aspirazione.Con il crollo del fascismo, nel 1945-46, sono nati nuovi partiti, successivamente collaudati e ristrutturati nel cimento democratico, per l'intera stagione repubblicana novecentesca. A cavallo fra la fine degli anni ottanta e l'inizio dei novanta, con la fine della prima repubblica, sono stati cancellati quegli stessi partiti e ne sono nati altri.Ma questa nuova fase partitica non registra ancora il suo assestamento europeo. Ed è qui che occorre risolutamente procedere. Finchè perdurerà la polverizzazione partitica e le istituzioni la favoriranno, non sarà agevole per la politica guidare il necessario cambiamento sociale richiesto dalla sfida internazionale e financo europea.Gli ideali, gli interessi organizzati, i riferimenti sociali che fanno nascere i partiti sono molto cambiati in questi anni. Attardarsi senza registrare queste novità e guardare al futuro, significa restare immobili mentre intorno il mondo cammina, spedito.L'aspirazione alla pace, alla fine di guerre devastanti, che tanta parte ebbe fra i valori della Resistenza, acquista oggi un profilo nuovo. L'Europa è diventata la patria comune dei vecchi eterni belligeranti, dei tedeschi e dei francesi, italiani, inglesi. Grazie all'Unione Europea non vi sarà più una guerra tra questi popoli che tante e tanto cruente ne hanno combattute per secoli.Meraviglioso. Ed ora l'Europa dei 25 è divenuta patria anche per i polacchi, i cechi, gli ex aderenti al patto di Varsavia, insieme agli Stati occidentali. Anche fra questi e gli altri popoli non vi sarà guerra. Sono stato un mese fa a Saraievo per un lavoro comune fra i Consigli Superiori della Magistratura dei nostri due paesi, ed ho visto i segni atroci del mondo dilaniato dall'odio razziale, della pulizia etnica. Uomini e donne a vederli lì - con gli stessi volti, sostanzialmente la stessa lingua, con irriconoscibili ed inesistenze differenze sostanziali tra loro, che si sono sterminati a vicenda senza alcuna ragione plausibile.E che vogliono ora essere accolti in Europa. Ho incontrato i magistrati turchi, ho sentito lo stesso afflato. Che grande cosa è l'Europa.Nel suo seno possono ora convivere pacificamente tedeschi e francesi, valloni e fiamminghi, irlandesi ed inglesi, baschi e castigliani, cechi e slovacchi, serbi croati e bosniaci, turchi e curdi. Non tutto questo era chiaro fino all'agosto del 1944. ma ne esistevano già le premesse.Certo, è chiaro oggi che in un mondo globale, l'unica finestra che può avvicinarci a quel mondo, che può aiutarci a viverci conservando un peso ed un ruolo è proprio l'Europa. Da soli i singoli stati membri non ce la faranno, nè a rinnovare se stessi, né a reggere il confronto con altri giganti nel mondo. Se l'Europa saprà sprigionare tutte le sue energie, potrà essa stessa crescere e svilupparsi, ma soprattutto più di altre lontane potenze onnipotenti potrà dire una parola di pace ben più efficace giusto lì, alle porte di casa nostra, ai nostri confini, nel Mediterraneo orientale, per porre fine ad una carneficina inumana, che appare insanabile, perché forse troppo tollerata se non addirittura manovrata dall'esterno, e garantire invece la pacifica convivenza tra diversi".