Conferita la cittadinanza onoraria di Firenze ad Akbar Ganji, simbolo della lotta per i diritti umani e civili in Iran e nel mondo

"Siamo veramente lieti e onorati di essere qui per conferire la cittadinanza onoraria ad Akbar Ganji. Quando il consiglio comunale di Firenze prese questa decisione, il 21 novembre 2005, Ganji era in carcere e non pensavamo che avremmo potuto averlo con noi per questa solenne cerimonia. La sua presenza oggi ci rende ancor più felici. In lui abbiamo visto una figura emblematica per la difesa dei diritti umani e civili, per la difesa della dignità dell'uomo. E speriamo che il conferimento della cittadinanza onoraria possa dare nuova forza alla sua lotta per creare un'opinione pubblica libera e democratica nel suo paese". Sono le parole del sindaco Leonardo Domenici che oggi nel Salone dei Dugento in Palazzo Vecchio ha conferito la cittadinanza onoraria di Firenze ad Akbar Ganji, giornalista e scrittore iraniano simbolo della battaglia per i diritti umani e civili. Un piccolo grande uomo che ha trascorso gli ultimi sei anni della sua vita in carcere per reati di opinione, e che per la prima volta è uscito dal suo paese dopo la liberazione, avvenuta nel marzo scorso, al termine di una durissima detenzione nelle carceri di Teheran dove ha dovuto sopportare lunghi periodi di isolamento, l'aggravarsi di una forma di asma e un massacrante sciopero della fame."Ringrazio il sindaco, il consiglio comunale, l'intera città per avermi scelto come concittadino – ha detto Ganji – Noi iraniani, come francesi ed inglesi, chiamiamo la vostra città, che da oggi sarà anche la mia città, Florence. Questo nome, per gli uomini di cultura e gli intellettuali iraniani, ha un'attrazione magica, la stessa attrazione cui fa riferimento Gramsci. Firenze ci ricorda l'inizio della modernità. Ricorda il Rinascimento. E' il luogo dove prese piede l'idea che la ragione è lo strumento con cui l'uomo può affrontare gli eventi della sua vita. Firenze è il luogo dove, per la prima volta, si è affermato il pensiero che le scienze umane possono aprire la strada al progresso ed alla felicità dell'uomo. Firenze è la culla dell'Umanesimo. E' la città dove l'uomo ha scoperto che la vita associata, nel corpo di una repubblica, poteva svilupparsi in una forma più degna. Firenze significa per noi Machiavelli e Dante. Firenze porta immediatamente alla memoria l'arte rinascimentale: tutti rivolgiamo lo sguardo a Firenze ed al lascito degli artisti fiorentini con grande ammirazione. Essere cittadino di Firenze è un onore, ma ancor più grande è ascoltare le parole degli eminenti padri della cultura fiorentina. Il cielo è il mio tetto dissero e aggiunsero fin quando un esule fuggirà da Firenze, la libertà non sarà ancora una realtà. Hanno scritto ogni parte del mondo è la mia casa. Oggi voglio farmi portavoce di questo messaggio, che viene dalla mia, dalla nostra città, Firenze: Io sono libero perché lotto per la mia libertà. Io sono libero perché perdono il mio nemico".Alla cerimonia è intervenuto anche il professor Antonio Cassese, ex presidente del tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia. "Akbar Ganji – ha detto fra l'altro Cassese - si è battuto e si batte per quello che il presidente Roosevelt considerava il bene prezioso: la libertà di manifestazione del pensiero. Anche Ganji considera quella libertà essenziale. È l'ossigeno senza il quale nessuna libertà può vivere. Certo, Bertold Brecht aveva ragione, quando diceva che a chi ha la pancia vuota, a chi soffre la fame, il diritto di esprimere liberamente le proprie idee può interessare assai poco. È però anche vero, e lo ha ben dimostrato Ganji nei suoi scritti dal carcere, che senza la libertà di pensiero il soddisfacimento del diritto alla vita, alla nutrizione, al lavoro, rimane precario e sottoposto agli arbitrii dei despoti. La libertà di pensiero è quel che i dittatori odiano di più. Sono disposti a dare case, scuole, palestre, strade, ospedali, ma solo a sentir parlare di libertà di pensiero danno in escandescenze. Per Akbar Ganji criticare le autorità iraniane e affermare la libertà di opinione è stata una questione di dignità. Gliene saremo sempre riconoscenti, perché è grazie a persone come lui che la lotta per i diritti umani ogni tanto registra qualche piccola vittoria. E' grazie a persone come lui che ogni tanto possiamo ancora percepire qualche ‘minuscola onda di speranza'".Da parte sua, il presidente del consiglio comunale Eros Cruccolini ha ricordato che nel 1955, proprio nella sala in cui si è tenuta la cerimonia di oggi, Giorgio la Pira riunì i sindaci delle più grandi città del mondo per firmare un accordo per bandire la guerra dal pianeta e contro la proliferazione nucleare. Fra quei sindaci c'era anche il primo cittadino di Teheran. Un messaggio, quello di allora, che ancor oggi mantiene tutta la sua attualità.La liberazione di Ganji è arrivata dopo che in tutto il mondo si era attivata una grande mobilitazione a suo sostegno, che aveva coinvolto 14 premi Nobel e il segretario dell'Onu Kofi Annan. In Italia l'associazione "Articolo 21" aveva promosso una raccolta di firme per la liberazione del dissidente, raccogliendo le adesioni di parlamentari di tutti i gruppi politici; mentre in Toscana era stata organizzata una capillare campagna di solidarietà, che ora vede nel conferimento della cittadinanza onoraria di Firenze uno dei suoi momenti più significativi.Ganji, laureato i sociologia, è stato un entusiasta sostenitore della rivoluzione islamica ma poi ha cominciato ad esprimere opinioni non gradite al governo ed è stato arrestato una prima volta nel '97. Nell'aprile 2001 è stato condannato e rimesso in carcere per aver accusato alti esponenti del regime iraniano di essere coinvolti nell'omicidio di alcuni intellettuali. (ag)SEGUE FOTO CGE______________________________________________________________________In allegato, l'intervento di Akbar Ganji e la prolusione del professor Cassese.Intervento di Akbar Ganji "Cittadino di Firenze, cittadino del mondo""Noi iraniani, come francesi ed inglesi, chiamiamo la vostra città, che da oggi sarà anche la mia città, Florence. Questo nome, per gli uomini di cultura e gli intellettuali iraniani, ha un'attrazione magica, la stessa attrazione cui fa riferimento Gramsci.Firenze ci ricorda l'inizio della modernità. Ricorda il Rinascimento. E' il luogo dove prese piede l'idea che la ragione è lo strumento con cui l'uomo può affrontare gli eventi della sua vita. Firenze è il luogo dove, per la prima volta, si è affermato il pensiero che le scienze umane possono aprire la strada al progresso ed alla felicità dell'uomo. Firenze è la culla dell'Umanesimo. E' la città dove l'uomo ha scoperto che la vita associata, nel corpo di una repubblica, poteva svilupparsi in una forma più degna. Firenze significa per noi Machiavelli e Dante.Firenze porta immediatamente alla memoria l'arte rinascimentale: tutti rivolgiamo lo sguardo a Firenze ed al lascito degli artisti fiorentini con grande ammirazione. La scoperta della prospettiva ha permesso all'uomo di vedere il mondo diversamente. E' la stessa ammirazione con cui guardiamo l'architettura del Duomo di Firenze: la sua figura racchiude in sé l'idea della libertà dell'uomo. Questa libertà costituisce la fede che illumina la strada verso la felicità sulla terra. Per ogni uomo la cultura e l'arte fiorentine richiamano la forza creativa di ogni cultura. Non è solo l'uomo occidentale, o quello europeo, che è rappresentato nelle statue di Madonne o di Santi. E' l'uomo libero e moderno, al di là di ogni eurocentrismo: quest'uomo evoca l'uguaglianza universale degli esseri umani. Nello Schiavo liberato di Michelangelo sentiamo l'eco dei cori di Beethoven e delle parole di Schiller, che annunciano con gioia l'uguaglianza di tutti gli uomini. E noi c'inchiniamo di fronte alla bellezza e alla verità, che danno un'immagine alla fede nei diritti dell'uomo e ai modi per migliorare l'esistenza umana. Come persona che arriva da lontano, dichiaro che, oltre questa cultura, quest'arte, le innovazioni del pensiero e il sorgere della cooperazione tra gli uomini, vedo un'esperienza comune: sento il grido di tutti gli uomini oppressi.Dal cuore del nuovo sistema di pensiero che l'Italia rinascimentale ha dato al mondo, si sono affermate nuove forme di repubblica e di democrazia, di giustizia e di uguaglianza: questi valori hanno una voce che non si lascia coprire da qualsiasi forma di eurocentrismo. Questa voce, che io sento dentro di me, parla di una repubblica mondiale, del diritto e della possibilità per l'uomo di sviluppare le sue capacità creative.Io non considero i princìpi della vostra cultura e le loro conquiste nel campo politico, artistico e scientifico soltanto vostri: considero tutto questo anche mio. Io, che sono un uomo orientale proveniente dalla terra addolorata dell'Iran, sento la voce di Goethe che nel suo Diario del viaggio in Italia scrive: "tutto questo è anche mio". Anche io ne sono partecipe, anche io ne sono beneficiario: tutto questo appartiene anche ai miei figli. I miei figli in Iran devono sentirsi partecipi di questa cultura, come voi dovete rispettare la loro antica civiltà.Non solo eurocentrismo, ma anche anti-islamismo ed islamofobia sono in contrasto con l'idea di cittadinanza globale. Queste tendenze non sono altro che modi per restare prigionieri della storia passata, sono una dimostrazione della difficoltà di cancellare dalla propria memoria le pagine buie della storia. Per diventare cittadini del mondo, bisogna imparare a liberarsi dalla storia, dai suoi avvenimenti; altrimenti, se conserviamo ogni attimo del nostro passato, nessuna razza, popolo o "tribù" potrà convivere con le altre razze, popoli e "tribù" in amore e amicizia, carità e giustizia. Quale popolo nel passato non ha combattuto guerre contro altri popoli? Vivere in pace con coloro di cui, cercando nelle pagine della nostra storia, non troveremo mai un esempio di lite o di guerra, non è un merito. Il merito è riuscire a vivere in amore, amicizia, carità e giustizia con coloro che nel passato abbiamo combattuto. Il cittadino del mondo deve leggere la storia per imparare a non commettere più gli stessi errori, non per riattizzare vecchi odi e inimicizie "tribali".Il cittadino del mondo deve perdonare coloro i cui padri hanno combattuto suo padre, perché solo così sarà possibile una convivenza pacifica. La convivenza pacifica è l'unica strada per arrivare ad una società dove gli ideali sociali di ordine, sicurezza e benessere saranno possibili. Il perdono è la porta verso la libertà. Perdono, però, non significa oblio ed è non dimenticando le lezioni del passato che si può progredire. Chi dimentica corre il rischio di ripetere gli errori del passato, producendo risultati ancora peggiori.Il cittadino del mondo nel confronto con gli altri, sia quando le divergenze siano ideologiche che quando siano pratiche, agisce sempre con rispetto e tolleranza. Rispetto, perché bisogna sempre riconoscere all'avversario la possibilità di rivedere le proprie posizioni. Tolleranza, perché non possiamo immaginare tutti gli uomini con lo stesso "aspetto". Non abbiamo altra strada che tollerare chi la pensa diversamente, chi vive diversamente.Guardando questa Firenze piena di luci e colori, dalle sue colline vedo qualcosa che per me corrisponde all'immagine di una repubblica universale. Il suono delle vostre campane, la bellezza del vostro David, la maestosità del vostro Duomo, sono parte della mia cultura, io che sono un cittadino del mondo.Non è diritto di ogni uomo libero costruire la propria casa dove meglio crede? Non è diritto di un uomo esercitare la propria opera dove trova maggiori opportunità? Non è diritto di una persona offrire ai propri cari, le persone con cui vive, maggiori sicurezze e possibilità?Perché un immigrante, colui che sceglie di vivere in una terra dove non è nato, non deve liberarsi dell'etichetta di straniero? Io vengo dalle carceri del mio paese e, come scrittore, ho imparato molto rivolgendomi alla gente. Ho imparato a rispettare i diritti di ogni essere umano e ad aiutarlo per ottenerli. Ho imparato, di questo mondo, che ogni granello della sua terra è nostro, abbiamo il diritto di vivere ovunque.Voi da questa nostra città avete allargato gli orizzonti, formando con i vostri vicini un unico paese, un unico popolo ed un unico governo. Oggi, da questo nostro paese, ci siamo ancor di più allargati, dando vita ad un'Europa unita. Non credete che nel nostro futuro ci sia una repubblica mondiale? L'Europa del XXI secolo con difficoltà combatte la battaglia per l'uguaglianza. Oggi taluni, in questo mondo, portano sulle spalle il peso degli altri. La sete di denaro non può essere l'unica guida dell'umanità per affrontare le sfide del terzo millennio. La vera guida deve essere l'amicizia, la compartecipazione e la condivisione.Firenze rappresenta questi ideali. Secoli fa ospitava gli sconfitti, i fuggiaschi e i rifugiati, offrendo loro la cittadinanza.Modernità, Rinascimento e Umanesimo mi hanno insegnato a difendere il mio diritto ad una scelta libera. L'Umanesimo, come punto di partenza del Rinascimento e motore della modernità, è un qualcosa che oggi dobbiamo difendere.Se l'Umanesimo, nei suoi presupposti epistemologici, considera ogni scienza una conoscenza umana, non ci sarà allora nessuna scienza che non abbia i colori dell'uomo. Dobbiamo imparare ed insegnare una profonda umiltà scientifica e non pensare che, con un punto di vista assoluto, si possa comprendere ogni problema. Lo "sguardo da nessun luogo verso ogni luogo", come c'insegna il pensiero di Thomas Nagel, è impossibile: siamo costretti a guardare da un luogo specifico verso il mondo. Non potrebbe essere questa la risposta al nostro fanatismo, dogmatismo e rigidità?Quando l'Umanesimo, in quanto pensiero ontologico, ha stabilito che l'uomo è al centro del mondo, che non deve sacrificarsi a nient'altro fuori di lui e non deve considerarsi appendice di qualcosa di superiore a lui, ci ha insegnato la dignità umana e il rispetto per se stessi.Quando l'Umanesimo, in quanto pensiero assiologico, ha stabilito che ogni cosa ha un valore fin quando serve all'uomo e nulla che non abbia un utilizzo per l'uomo non ha valore, ci ha fornito degli strumenti per la valutazione dei nostri ideali e dei nostri scopi e ci ha liberati dall'obbligo di valorizzare gli ideali inutili all'uomo.Quando l'Umanesimo, come pensiero deontologico ed etico, ci ha insegnato che è nostro dovere aiutare il prossimo, a prescindere da considerazioni religiose, razziali, "tribali", nazionali e regionali: ci ha costretti all'altruismo e alla compassione.Quando l'Umanesimo, come pensiero antropologico, ha respinto tutte le precedenti teorie sull'origine dell'uomo ed ha affermato che cinque princìpi (consapevolezza, libertà, coscienza, razionalità e volontà) formano l'essere umano, ci ha indicato la direzione di marcia. Nella misura in cui ci libereremo delle restrizioni interne ed esterne, conosceremo meglio noi stessi e l'ambiente che ci circonda. Quanto meglio faremo uso della nostra volontà, elimineremo ogni forma di passività. Quanto più agiremo con coscienza e consapevolezza, tanto più eviteremo limitazioni, condizionamenti indotti da altri e comportamenti di massa. Quanto più la nostra coscienza sarà vigile, tanto più saremo umani.E' con questa visione complessiva che l'Umanesimo ha aiutato l'uomo a compiere le sue scelte con maggiore consapevolezza. Fin quando l'uomo non riuscirà a scegliere in piena consapevolezza ed autonomia, sarà uomo solo in potenza, non nei fatti. Questa possibilità di scegliere fa uscire l'uomo dai complessi meccanismi del suo essere per metterlo di fronte al mondo, significa cioè all'uomo riconoscere il diritto a non essere parte di un insieme più grande, ma di trovarsi ad affrontare il mondo che lo circonda con la possibilità di scegliere liberamente in che misura farne parte o meno. Senza dubbio questa fermezza, che gli esistenzialisti identificano con l'esistenza stessa, necessita sacrifici ed impone dei costi. Ma sono proprio questi sacrifici e questi costi che rendono l'uomo un essere sacro. Non è un caso che la parola "sacro" è legata a "sacrificio".Io sono un essere umano perché decido liberamente e sono responsabile delle mie scelte. John Stuart Mill afferma che l'uomo non è innanzitutto diverso dagli animali perché possiede un cervello, ma perché ha la possibilità di scegliere. L'uomo è tale soprattutto quando sceglie e costruisce da sé la propria esistenza, non quando è eletto da qualcuno o quando accetta che qualcun altro scelga per lui. L'uomo è tale quando cavalca e non quando è cavalcato, quando persegue un obiettivo e non solo gli strumenti per realizzarlo. Di conseguenza, quanto più l'uomo avrà possibilità e mezzi per scegliere, tanto più sarà ricco e quanto più il suo raggio di azione e reazione sarà ampio, tante maggiori possibilità avrà nel tentativo di cambiare e migliorare. Quanto maggiore sarà la sua capacità di modificare la propria personalità sviluppandola, tanto più spazio avrà un pensiero più evoluto.L'uomo capace di scegliere è il figlio dell'epoca moderna. Sceglie da sé di quale nazione e quale governo essere cittadino. L'uomo moderno è cittadino del mondo. L'uomo moderno può disegnare la propria vita e la propria personalità come un'opera d'arte. Machiavelli, il primo pensatore politico moderno, parlava della necessità di stabilire un rapporto tra legge e potere. Il suo modo di essere repubblicano era una richiesta di un governo delle leggi. Nel Discorso sopra la Prima Deca di Tito Livio, così come nelle Istorie fiorentine, egli dimostrò che la vita di una repubblica deve essere basata su un modo di pensare repubblicano, sul governo della legge. Egli parlava di cittadini capaci di governare una repubblica. Nelle Istorie Machiavelli scrive che tutto quello che è stato valido per Firenze sarà un'esperienza storica che potrà essere ripetuta ovunque. Per Machiavelli il governo del popolo non si basa sull'anarchia populista, bensì su una legge comune. Non è un caso che la sua opera, Il Principe, non parli tanto del governante, quanto del legislatore. Nella sua visione le tradizioni del paganesimo dovevano far risaltare il ricorso alla legge nella vita degli uomini. Machiavelli non parlava dell'uguaglianza dei cittadini nel senso odierno, ma considerava la legge alla base di ogni repubblica.Il grande umanista Erasmo da Rotterdam, che ha avuto un ruolo enorme nella diffusione della cultura rinascimentale, ci ha insegnato quali siano i significati, i valori e l'importanza di essere cittadini del mondo. Dal suo punto di vista ogni essere umano che coscientemente, volontariamente e liberamente scelga questi ideali, che non sono legati a nessuna fede laica o religiosa, cultura o civiltà, società o periodo storico e che rappresentano tutti gli uomini ovunque e in qualsiasi epoca si trovino, è di diritto un cittadino del mondo.Come suoi allievi, siamo cittadini del mondo anche noi, poiché abbiamo scelto ideali universali, come verità e bellezza, giustizia e libertà, amore e carità, quali princìpi guida della nostra vita individuale e sociale. Uno di questi valori universali è la pietas verso tutti gli uomini in quanto esseri umani e tale pietas ci obbliga al fatto che, ovunque si trovi un uomo sofferente, il cittadino del mondo cerchi rimedio nel modo migliore e più sicuro al male che ha originato quella sofferenza. La pietà e la compassione umane, soprattutto di chi si considera cittadino del mondo, non conoscono frontiere e pertanto non possono far valere discriminazioni e relativismi. Anche se i musulmani, che nel passato si sono scontrati con l'Occidente, oggi si trovassero a subire ingiustizie, ciò dovrebbe provocare la compassione di tutti i cittadini del mondo. Per nessun motivo la compassione deve essere chiusa dentro delle frontiere. E' giunta l'ora di diventare tutti cittadini del mondo e che la nostra compassione vada oltre i ricordi e la memoria, né si faccia mai rinchiudere in vincoli di nessun tipo.In quest'ottica la difesa dei diritti umani, e degli esseri umani i cui diritti sono stati calpestati, è un dovere di tutti noi. Il fatto che concedete a me, che provengo da un'altra nazione e Stato, la cittadinanza onoraria di Firenze, difendendo i miei diritti calpestati, o omaggiandomi per aver difeso i diritti dei cittadini innocenti del mio paese, non è forse segno di una compassione senza frontiere? Non avete forse ignorato i confini che ci dividono per esprimere la vostra compassione? Sono convinto che tutti dovremmo agire così e che nessuna frontiera artificiale, frutto di convenzioni internazionali, ci dovrebbe impedire l'esercizio dei nostri doveri come esseri umani, che sono la difesa degli oppressi e la resistenza agli oppressori. I diritti umani sono tali, cioè umani, perché non appartengono in maniera esclusiva a nessun uomo, ma a tutta l'umanità. Ovunque questi diritti vengano calpestati, i cittadini del mondo devono far sentire la loro voce, pur se ad essere calpestati siano i diritti dei nostri nemici. Nel nostro libro sacro, il Corano, è scritto che neppure l'inimicizia verso un gruppo, che pure abbia una ragione valida, ci permette di opprimerlo o d'ignorare i suoi diritti calpestati. In questo mondo, ovunque un governante autoritario, armatosi dell'arma del terrore, opprima la sua gente, il cittadino del mondo deve sentirsi partecipe della sofferenza di quel popolo.Essere cittadini del mondo vuol dire che tutti noi, cittadini immigrati e stranieri, siamo uguali davanti alle leggi che garantiscono i nostri diritti materiali. Nell'Italia del XX secolo è stato Antonio Gramsci che, parlando dell'Internazionalismo, ha parlato dell'uomo del futuro come cittadino del mondo.Essere cittadino di Firenze è un onore, ma ancor più grande è ascoltare le parole degli eminenti padri della cultura fiorentina. Il cielo è il mio tetto dissero e aggiunsero fin quando un esule fuggirà da Firenze, la libertà non sarà ancora una realtà. Hanno scritto ogni parte del mondo è la mia casa.Oggi voglio farmi portavoce di questo messaggio, che viene dalla mia, dalla nostra città, Firenze: Io sono libero perché lotto per la mia libertà. Io sono libero perché perdono il mio nemico".______________________________________________________________________Prolusione del professor Antonio Cassese "Akbar Ganji e i diritti umani""Ci sono due domande che, pur se elementari, tutti coloro che seguono con inquietudine le vicende dei nostri tempi si pongono con angoscia: perché tanta violenza? E poi: cosa possiamo fare per arginarla? Sono domande che ci tormentano ma che invece fanno sorridere quelli che Benedetto Croce chiamava con giusto disprezzo "gli animi grossolani, economico-giuridici", coloro cioè la cui vita ha "una forte impronta utilitaristica".La prima domanda è nel contempo semplice e complessa: perché tanti massacri, atrocità, torture, uccisioni? Perché tanti fanatismi e tanta intolleranza? E' una domanda quasi metafisica, perché in fondo con essa ci si chiede perché esiste il male e cosa spinge gli uomini ad essere come sono. Grandi filosofi hanno già riflettuto a lungo sul tema: Agostino, Baruch Spinoza, Immanuel Kant e, più vicino a noi, Martin Buber. E tutti sanno che nel 1932 Einstein, quando gli si chiese di scandagliare le motivazioni del male supremo, la guerra, si rivolse a Freud, pensando che solo colui che era abituato a guardare nell'oscuro dell'animo umano potesse forse tentare di dare una risposta. Questa prima domanda è grave e tocca le mura portanti della nostra esistenza. Non potrò certo affrontarla in questa sede.La seconda domanda è per certi versi più semplice: cosa possiamo fare, almeno per raffrenare tutta questa violenza, per strappare ai detentori del potere un minimo di rispetto della dignità della persona umana? Da quando, il 6 gennaio 1941, il grande Presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt proclamò con forza che quattro libertà fondamentali (la libertà di coscienza, la libertà di religione, la libertà dal bisogno, e la libertà dalla paura) dovevano essere riconosciute non solo nei pochi Stati democratici allora esistenti, ma in tutto il mondo, da quando proclamò dunque che i diritti umani dovevano essere rispettati a livello planetario, l'azione per promuovere quei diritti si è svolta su due piani. Anzitutto a livello intergovernativo, grazie all'opera fattiva dell'ONU e di altre organizzazioni internazionali composte da Stati. In secondo luogo al livello di società civile, in uno sforzo generoso di individui, gruppi e associazioni di imporre sempre più ai governi di rispettare tutti i cittadini del mondo, giorno per giorno, ovunque nel mondo.Purtroppo, oggi si ha l'impressione che l'azione generosa e meritoria dell'ONU e delle altre organizzazioni intergovernative si stia esaurendo. Dobbiamo certo alle Nazioni Unite la proclamazione di principi e norme internazionali sui diritti fondamentali, a beneficio di tutti gli abitanti del pianeta. L'attività normativa degli organi internazionali, quella cioè volta ad elaborare un decalogo dei diritti della persona umana, è davvero impressionante. Ma da quando si è passati al tentativo di far rispettare concretamente e non a parole quel decalogo, i limiti degli organi intergovernativi sono apparsi con chiarezza. Le organizzazioni internazionali possono esortare, incoraggiare, pungolare, oppure censurare, biasimare o condannare. Tutto ciò però avviene con le parole. Manca la spada che imponga il rispetto dei diritti a chi violenta, tortura, uccide, massacra. La recente trasformazione della Commissione dei diritti dell'uomo nel Consiglio dei diritti umani è la prova evidente dell'incapacità intrinseca degli organi interstatali di imporre che gli imperativi etico-giuridici vengano tradotti in fatti concreti. Il Consiglio è infatti rimasto un organo politico composto di Governi e non di esperti indipendenti; e i suoi poteri sono rimasti assai limitati. I diritti umani sono troppo cruciali per la vita degli individui perché se ne discuta solo tra diplomatici.È perciò nell'azione civile a livello interindividuale che si trova la chiave di volta per tentare di spezzare la negazione dei diritti della persona. Nella società civile internazionale sono nate numerose organizzazioni che si battono giorno per giorno in un "teatro di guerra" sempre più vasto. Le conosciamo tutti. Sono Amnesty International, Human Rights Watch, Médecins sans frontières, la Commissione internazionale dei giuristi, nonché, in Italia, la Comunità di S. Egidio, Caritas, Emergency. Queste organizzazioni, e tante altre ancora, assolvono compiti diversi, tutti importanti. Molte pungolano i governi perché si dedichino alle necessità più elementari delle persone, o intervengano, almeno per le vie diplomatiche, nei confronti degli Stati che calpestano i diritti umani in modo macroscopico. Molte si sostituiscono agli Stati nella funzione di indagare gravi violazioni ed attirare su di esse l'attenzione dell'opinione pubblica mondiale. Altre organizzazioni elaborano testi normativi che gli Stati esitano invece a predisporre perché potrebbero ulteriormente comprimere la sovranità di ciascuno di essi. In una parola, le organizzazioni non governative surrogano gli Stati, si sostituiscono ad essi e svolgono quei compiti che motivazioni politiche, ideologiche, economiche o anche strategiche impediscono agli Stati di adempiere.La società civile non agisce però solo attraverso associazioni, gruppi organizzati o movimenti. Essa fa sentire la sua voce anche attraverso singole persone che hanno la forza di opporsi, di criticare, di mettere in discussione l'autorità dello Stato nel quale vivono. Sono i dissidenti, coloro che sacrificano i propri interessi personali, l'attività professionale, tutti i vantaggi che potrebbero trarre dalle proprie capacità intellettuali, per poter pubblicamente revocare in dubbio la legittimità del potere. Gli oppositori sono il sale della terra. Certo, il mondo in cui viviamo cambia ogni giorno grazie all'opera fattiva di uomini politici, di pensatori, di architetti della società, di ingegnosi innovatori che elaborano nuovi progetti sociali. Ma se storture, deviazioni, autoritarismi, modelli oppressivi vengono in qualche modo arginati o erosi, ciò lo dobbiamo ai dissidenti. Essi non accettano le idee comuni. Sono accaniti, anche se lottano con il sole negli occhi. Sono animati da un formidabile spirito critico. Guardano più alto e più lontano. La loro azione, in apparenza velleitaria, utopistica o sterile, è un acido potente che intacca la realtà -- se non subito, alla lunga. La loro azione può suscitare in tutti noi, che assistiamo attoniti a tanta violenza nel mondo, "una minuscola onda di speranza" (a tiny ripple of hope, per riprendere le parole del bellissimo discorso che Robert Kennedy tenne il 7 giugno 1966 a Cape Town, agli studenti sudafricani che ancora pativano la segregazione razziale).L'azione di alcuni oppositori, solitari e pervicaci, ha smosso gli animi di tante altre persone. Se il 27 giugno 1937 il pastore luterano Martin Niemöller non si fosse pronunciato a Berlino, nel suo sermone domenicale, contro l'oppressione nazista, venendo per ciò arrestato dalla Gestapo e trascinato prima a Sachsenhausen e poi a Dachau, allora ed ancora oggi si sarebbe potuto credere che in Germania vi fosse il deserto morale. Se nel 1939 Alexander Solzhenitsyn non si fosse apertamente rivoltato contro il regime di Stalin, subendo il carcere per lunghi anni, e se poi non avesse avuto il talento e la forza di scrivere libri rivoluzionari sulla società sovietica, molto più tempo sarebbe stato necessario per smantellare il gulag. Se il 1 dicembre 1955 Rosa Parks, una "cucitrice" nera di Montgomery nell'Alabama, non si fosse seduta in un posto dell'autobus riservato ai bianchi e non fosse stata quindi arrestata per aver violato le leggi americane sulla segregazione razziale, il giorno dopo non sarebbe stato organizzato il boicottaggio di tutti gli autobus della città (boicottaggio guidato da un giovane pastore nero allora ancora sconosciuto, Martin Luther King jr.), e la Corte Suprema degli Stati Uniti non avrebbe approvato, il 13 novembre 1956, la decisione di un coraggioso giudice di colore secondo cui che le leggi sulla segregazione razziale erano incostituzionali. Se Andrej Sakharov non avesse contestato nel 1957 e 1958 gli esperimenti nucleari sovietici a scopo bellico e non avesse poi cominciato a ribellarsi apertamente, nel 1970, contro il soffocamento delle libertà in Unione Sovietica, probabilmente lo sgretolamento del potere in quello Stato sarebbe stato molto più lento. Se il 16 gennaio 1969 Jan Palach non si fosse appiccato il fuoco in piazza San Venceslao a Praga, e non fosse stato seguito da Vaclav Havel nella protesta contro l'oppressione comunista, la Cecoslovacchia avrebbe molto tardato nel ripristinare libertà troppo a lungo conculcate. Se in Birmania da anni Aung San Suu Kyi non si battesse con enorme coraggio per la democrazia, soffrendo insopportabili limitazioni della propria libertà, con il carcere e l'impossibilità di incontrare liberamente altri cittadini, la giunta militare che dal 1962 governa il paese sarebbe sprofondata ancora di più nell'autoritarismo. Se in Iran l'avvocatessa Shirin Ebadi non lottasse da anni contro i tre regimi autoritari che si sono succeduti nel tempo (prima quello filo-occidentale e corrotto dello Shah, poi quello islamico dell'Ayatollak Khomeini e poi quello estremistico di Mahmoud Ahmadinejad), oggi in quel paese i diritti delle donne sarebbero ancora più misconosciuti.Akbar Ganji appartiene a questa schiera nobilissima di contestatori morali. Con i suoi scritti e con sei anni di carcere egli ha esemplarmente mostrato come si può resistere alla dittatura. Come scrive nella sua "Seconda Lettera alle persone libere del mondo" (del 15 luglio 2005) "nei sistemi democratici il personaggio politico più importante è una persona capace di commettere errori, ha poteri circoscritti, è sottoposto al controllo del popolo, e soprattutto è eletto dal popolo per un periodo di tempo determinato. La teoria dei guardiani assoluti della legge e tutto ciò che è stato approvato al riguardo nella Costituzione della Repubblica islamica, si pongono in radicale contrasto con queste idee. Nella Repubblica islamica colui che è al vertice del potere non risponde a nessuno, e tutto il potere è nelle sue mani."Ganji ha avuto anche il merito di mostrare i limiti profondi dell'ideale di giustizia sociale propugnato dal regime iraniano. Non possono esistere giustizia sociale, un'equa distribuzione delle ricchezze e la lotta contro la corruzione – egli osserva-- se non in una società in cui ognuno possa esprimere liberamente le proprie idee e liberamente contraddire le autorità di governo. Ganji non è una prima donna, né vuol passare per martire. Ancora nella "Seconda Lettera", egli saggiamente osserva che poiché nessuno è immune da errore e ognuno di noi deve sottoporsi all'esame critico degli altri, ciò non può non valere anche per i dissidenti, anche per le persone come lui, che devono accettare di essere contraddette e dissacrate.Akbar Ganji si è battuto e si batte per quello che il presidente Roosevelt, nel famoso discorso del 1941 che ho già citato, considerava il bene prezioso: la libertà di manifestazione del pensiero. Anche Ganji considera quella libertà essenziale. È l'ossigeno senza il quale nessuna libertà può vivere. Certo, Bertold Brecht aveva ragione, quando diceva che a chi ha la pancia vuota, a chi soffre la fame, il diritto di esprimere liberamente le proprie idee può interessare assai poco. È però anche vero, e lo ha ben dimostrato Ganji nei suoi scritti dal carcere, che senza la libertà di pensiero il soddisfacimento del diritto alla vita, alla nutrizione, al lavoro, rimane precario e sottoposto agli arbitrii dei despoti. La libertà di pensiero è quel che i dittatori odiano di più. Sono disposti a dare case, scuole, palestre, strade, ospedali, ma solo a sentir parlare di libertà di pensiero danno in escandescenze.Domandiamoci infine: perché Akbar Ganji e gli altri che ho ricordato poco fa si rifiutano di accettare l'esistente, le menzogne, i luoghi comuni cui si conformano tutti gli altri, gli "uomini che non si voltano" di cui parlava Montale? Perché, con gesti dimessi e quotidiani, ma con insopprimibile forza d'animo, si ribellano e rompono le regole? La ragione la diede per tutti Rosa Parks, il 1° dicembre 1955. Spiegò che il suo rifiuto di alzarsi dal posto dell'autobus destinato ai bianchi e di sedersi in uno dei posti assegnati ai neri era stato per lei "una questione di dignità; se mi fossi mossa di lì, dopo non avrei potuto affrontare me stessa e la mia gente". Anche per Akbar Ganji criticare le autorità iraniane e affermare la libertà di opinione è stata una questione di dignità. Gliene saremo sempre riconoscenti, perché è grazie a persone come lui che la lotta per i diritti umani ogni tanto registra qualche piccola vittoria. E' grazie a persone come lui che ogni tanto possiamo ancora percepire qualche 'minuscola onda di speranza'".