63° anniversario della Liberazione di Firenze, il sindaco Domenici: "Non sottovalutare mai i pericoli per la vita democratica e i tentativi di rigurgito autoritario"
"Non sottovalutare mai i pericoli per la vita democratica e i tentativi di rigurgito autoritario. E di pari passo ribadire la necessità di tener sempre vigile la nostra coscienza democratica e di trasmettere i valori fondanti della nostra Repubblica alle giovani generazioni". E' uno dei passaggi più significativi pronunciati dal sindaco Leonardo Domenici nel suo intervento nel Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio in apertura delle solenni celebrazioni per il 63° anniversario della Liberazione di Firenze, avvenuta l'11 agosto 1944."Questa data ogni anno assume un significato particolare in relazione agli avvenimenti e ai momenti dal punto di vista politico, istituzione, sociale ed economico che si attraversano ha esordito il sindaco Domenici . Credo che la celebrazione di quest'anno debba partire da una riflessione e presa di coscienza di un principio: la necessità di non sottovalutare mai. Di non sottovalutare mai pericoli per la vita democratica e i tentativi di rigurgito e di ritorno autoritario. E ancora di non sottovalutare mai il diffondersi di ideologie violente e soprattutto di atteggiamenti e comportamenti che si richiamano alle peggiori radici di quella che è stata la presenza del fascismo e del nazismo nel nostro paese. E di conseguenza la necessità di tener sempre vigile la nostra coscienza democratica e di trasmettere sempre questa coscienza democratica alle giovani generazioni". Il sindaco Domenici ha poi salutato i presenti dedicando un saluto speciale ai rappresentanti di chi, con il suo importante contributo di vita e di sangue, ha lottato contro il nazifascismo e per la liberazione del nostro paese e in particolare di Firenze. Un saluto e un ringraziamento per quello che ancora oggi fanno per trasmettere: "L'Anpi e le altre associazioni che hanno le radici nella Resistenza e nella lotta di Liberazione stanno mettendo un grande impegno per trasmettere alle giovani generazioni rinnovata questa coscienza delle nostre radici democratiche che sono appunto profondamente confitte nella lotta di Liberazione nazionale". Un impegno che, ha sottolineato il sindaco Domenici, nei prossimi mesi deve diventare un impegno di tutti. "Il 27 dicembre 1947 fu approvata la Costituzione Italiana che fu promulgata il 1° gennaio del 1948. L'anno prossimo quindi celebreremo i 60 anni della nostra Costituzione che affonda le radici nella Resistenza e nella Liberazione. Pertanto quale migliore momento per rinnovare l'impegno di tutti, associazioni, istituzioni locali e nazionali, a lavorare attivamente soprattutto con i giovani nelle scuole per trasmettere questo patrimonio di valori. E fare in modo che in questa fase difficile per la vita della politica e delle istituzioni ci sia la capacità di riconoscerci in valori e principi condivisi che traggono la loro linfa vitale in quel passaggio storico determinante che fu la Liberazione del paese".Dopo il saluto del sindaco Domenici, hanno preso la parola il presidente della sezione lombarda dell'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia Antonio Pizzinato e, per l'orazione ufficiale, la presidente della commissione cultura del Senato Vittoria Franco (in allegato l'intervento)Le celebrazioni per l'11 agosto sono iniziate alle 7 sotto Palazzo Vecchio con i rintocchi della Martinella, la campana della Torre di Arnolfo che sessantatre anni fa suonò per annunciare ai fiorentini la fuga dei nazifascisti e la liberazione della città. L'Amministrazione era rappresentata dalla consigliera comunale Susanna Agostini. La tappa successiva si è svolta in piazza dell'Unità d'Italia dove il sindaco Domenici, i rappresentanti delle organizzazioni partigiane e autorità civili e militari hanno deposto corone di alloro al monumento ai caduti. Il pastore Giuliano Giorgi per la comunità Evangelica, don Umberto Rufino per la chiesa cattolica ed è stato letto un messaggio rabbino capo Josef Levi. Poi la banda della Filarmonica Rossini ha preceduto il corteo (fino a Palazzo Vecchio) aperto dal tricolore, dalla bandiera del Comitato toscano di Liberazione nazionale e da quella del Corpo volontari della Libertà. Dietro al Gonfalone di Firenze il sindaco Domenici, il vicesindaco Giuseppe Matulli, gli assessori Tea Albini, Daniela Lastri, Gianni Biagi, Paolo Coggiola, Riccardo Nencini, Eugenio Giani, Cristina Bevilacqua, il presidente del consiglio comunale Eros Cruccolini con la vicepresidente Bianca Maria Giocoli. Poi il gonfalone della Regione Toscana con l'assessore Riccardo Conti, quello della Provincia di Firenze col presidente Matteo Renzi e quelli dei Comuni di Prato, Empoli, Scandicci, Lastra a Signa, Sesto Fiorentino, Rufina, Rignano, Calenzano, San Casciano, Firenzuola, Vaglia, Fucecchio, Bagno a Ripoli, Signa e i labari delle associazioni partigiane. Erano presenti anche prefetto di Firenze Andrea De Martino e il comandante territoriale dell'esercito generale Luigi Colaneri, raggiunti poi nel Salone dei Cinquecento dal questore di Firenze Francesco Tagliente.Le celebrazioni per il 63° anniversario della Liberazione di Firenze si concluderanno stasera (ore 21) col concerto della Filarmonica Rossini sull'arengario di Palazzo Vecchio.(fd)INTERVENTO DELLA SENATRICE VITTORIA FRANCO"Signor Sindaco, autorità, rappresentanti delle associazioni partigiane,è un privilegio per me essere qui oggi a ricordare e a celebrare l'11 agosto 1944, giorno della liberazione di Firenze dalla dittatura fascista e dall'occupazione nazista. Il suono della Martinella di Palazzo Vecchio, che alle sei di mattina chiamava i fiorentini all'insurrezione, è diventato simbolo di libertà. Quella stessa sera il centro di Firenze era libero, il CTLN era insediato a Palazzo Medici Riccardi e una giunta guidata dal sindaco Gaetano Pieraccini e dai vicesindaci Renato Bitossi e Adone Zoli assumeva l'amministrazione della città. I combattimenti si protrassero ancora per giorni nelle zone periferiche, ma Firenze era ormai restituita alla libertà e all'autogoverno, a coronamento di azioni eroiche di tanti combattenti partigiani. Alcuni dei loro nomi fanno parte della storia e ci hanno accompagnato lungo i 63 anni che ci separano da quella giornata: caduti sul campo come Aligi Barducci, Bruno Fanciullacci, Annamaria Enriquez Agnoletti e tanti altri, e personalità che, dopo la liberazione, sono state protagoniste della ricostruzione del Paese e della sua vita democratica, come Piero Calamandrei, Carlo Ludovico Ragghianti, Enzo Enriquez Agnoletti, Orazio Barbieri, Tristano Codignola, Carlo Francovich, Mario Fabiani. Giornate drammatiche avevano preceduto quelle ore, soprattutto quando si capì che i tedeschi non solo non avrebbero riconosciuto Firenze come "città aperta", ma avrebbero minato e distrutto i ponti sull'Arno, fatti poi saltare nella notte fra il 3 e il 4 agosto. Solo il Ponte Vecchio fu risparmiato, a danno tuttavia delle aree circostanti, anch'esse distrutte per impedire il passaggio sul fiume.I tedeschi erano riusciti così a dividere in due la città, ma non completamente. Restava il corridoio vasariano, che evidentemente i tedeschi non conoscevano, ma che servì ai partigiani per ristabilire contatti telefonici e collegamenti fra gli alleati già sulla riva sinistra dell'Arno - e il Comitato toscano di liberazione, che aveva sede in via della Condotta. Anche in quella tragica circostanza, dunque, quell'opera geniale continuò a svolgere la funzione di presidio dell'indistruttibile civiltà fondata sull'umanesimo. Dopo che Roberto Rossellini l'ha resa universale nel film Paisà, oggi la leggiamo anche come uno dei simboli indelebili della Resistenza a Firenze.Possiamo dire che la barbarie fu sconfitta anche dal genio del Rinascimento, nonostante l'accanimento feroce dell'esercito tedesco nel disprezzo di una delle città più belle del mondo.Quell'atto estremo di distruzione unì ancora di più i fiorentini, li spinse a partecipare, a reagire con maggiore determinazione contro la ferocia nazista.Quel fervore è descritto magistralmente da Orazio Barbieri nelle pagine del suo Ponti sull'Arno:"Artigiani - falegnami o fabbri - scultori, decoratori della Ginori, mosaicisti e argentieri, lontani discendenti di Donatello, di Lorenzo Ghiberti, di Cellini e Brunelleschi, abituati a macinare il colore, all'uso della sgorbia e del ferro per l'intarsio, per le incisioni, le decorazioni o la tiratura delle pelli, fanno della loro esperienza e dei loro arnesi armi per preparare chiodi, confezionare bottiglie esplosive, tagliare comunicazioni. (
.) Lo spirito dell'assedio della Repubblica fiorentina contro le truppe francesi, spagnole e papali del 1527, che unì il fabbro ferraio intento a forgiare elmi e scudi a Michelangelo impegnato a progettare la difesa, a collocare i cannoni a palle di pietra, quello spirito rivive ora e unisce l'operaio allo scienziato per la difesa di Firenze".I partigiani fiorentini sapevano che su di loro pesava una responsabilità in più: oltre alla liberazione dei cittadini, la salvaguardia di Firenze e della unicità della sua storia e della sua ricchezza culturale.Quelle giornate che hanno portato alla liberazione di altri comuni limitrofi e di tante città della Toscana, fino al 25 aprile 1945, giorno della liberazione dell'Italia dal fascismo e dall'invasione nazista, segnano l'epopea della nostra storia recente.Con la liberazione iniziava una nuova storia per tutto il paese e ogni singola persona poteva finalmente ricondurre a se stessa la propria vita.Per questo l'omaggio ai partigiani e il ricordo delle loro azioni di resistenza non possono mai venir meno: per il loro indistruttibile valore morale, sociale, storico. Guai se venisse meno la convinzione condivisa che nella Resistenza risiede l'origine del rinnovamento civile e morale che ha ispirato i Padri costituenti, le personalità migliori della nostra storia repubblicana!In essa è l'origine della nostra identità nazionale e della nuova storia di libertà, fatta di riconoscimenti di diritti e di dignità individuale; l'origine dei valori fondanti della Repubblica, di quei principi che dovranno sempre più saldamente costituire il tessuto della nostra comune etica pubblica: dedizione alla libertà, pluralismo, bene comune, responsabilità condivisa, generosità.Generosità per me è una delle dimensioni irrinunciabili dell'impegno politico: significa oltrepassare il proprio interesse particolare per mettere al centro il bene comune. In essa è insita la convinzione che ciò che muove la politica è la passione per il bene comune, la responsabilità verso gli altri, verso la condivisione dello spazio pubblico.Hannah Arendt lo chiama "coraggio". Coraggio è quel sentimento che spinge a lasciare la sicurezza della sfera privata per occuparsi delle questioni pubbliche, del mondo.Anche questo ci hanno insegnato i partigiani e le partigiane. Questo ci tramanda quel monumento di dedizione a una causa, di lealtà, di amore, che rappresentano le Lettere dei condannati a morte. Ne richiamo solo una, quella del livornese Costanzo Ebat che scrive al figlioletto:"Il mio ideale era di vederti crescere, di istruirti a tuo modo, forgiarti alle tue idee e ai tuoi sentimenti. Ma tutto è perduto. Ti è rimasto il mio esempio e tu saprai calcare questa orma di onestà e di lealtà. Sappi che il tuo papà se ne va sorridendo fiducioso e senza un attimo solo di debolezza, sicuro di aver fatto fino all'ultimo il suo dovere verso la patria amata".Questo sentimento di onestà e lealtà, questo amore e questa "responsabilità verso il mondo comune" è esattamente quello che intendo per generosità come essenza della politica: saper tenere insieme, come sosteneva Max Weber, etica dei principi ed etica della responsabilità.Noi dobbiamo riconoscenza anche a quelle partigiane e a quei partigiani, e sono davvero tanti, che nel corso degli anni hanno svolto, e alcuni ancora svolgono, il ruolo di testimoni e maestri delle nuove generazioni nelle scuole. Spesso colpiscono quasi l'umiltà con cui lo hanno fatto, l'assenza di autocelebrazione, il tono discreto e lo spirito di servizio verso i più giovani.Sono anche questi i momenti nei quali le generazioni si saldano l'una all'altra, si consolida la memoria, si trasmettono valori condivisi. Sono i momenti in cui si creano gli anticorpi per prevenire possibili tentazioni autoritarie, che minano la democrazia e ne lacerano il tessuto. La democrazia è vulnerabile, lo sappiamo: ha bisogno di cura e di alimentazione continue per impedire che gli spazi di libertà si restringano anziché ampliarsi.Sono trascorsi più di 60 anni, efficaci anticorpi sono stati creati. Eppure, avvertiamo che è ancora necessario continuare ad alimentare quella memoria per rendere più radicata la nostra democrazia. Sono ancora forti le tentazioni di stravolgimento dei fatti storici e ripetuti i tentativi di negare che in quel periodo vi era chi lottava, spesso col sacrificio della vita, per riguadagnare la libertà e chi voleva perseverare nell'oppressione e nel fascismo. Sono le stesse tentazioni che spingono affinché si riscrivano i testi di storia, perché non vi si parli di fascismo e di resistenza e si assuma quel revisionismo estremo che porta a capovolgere la verità. Vi è ancora chi, fino a un anno fa, in parlamento, si ostinava a chiedere il riconoscimento del ruolo di combattenti ai repubblichini di Salò!Ma è evidente che coloro che mirano a tagliare le radici della Resistenza pensano al presente, pensano a indebolire il tessuto dei valori della democrazia disegnato dalla nostra Costituzione.Il Novecento è stato il secolo dei totalitarismi, ma anche il secolo della conquista o del consolidamento della democrazia in Europa e in tante parti del mondo. Da tutte quelle esperienze tragiche ci proviene un insegnamento che è posto alla base della costruzione dell'Europa: la promozione della democrazia più piena trova fondamento nel riconoscimento della dignità della persona umana e nella garanzia dei diritti individuali di libertà e di eguaglianza.Il primo articolo della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea è dedicato proprio alla dignità e recita semplicemente: "La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata"Un principio che si salda con l'art. 3 della nostra Costituzione dove si prevede fra i compiti della Repubblica anche quello di promuovere "il pieno sviluppo della persona umana", la libera formazione della personalità.La condivisione dello spazio pubblico si estende dunque necessariamente all'Europa. Costruire l'Europa, rafforzare la democrazia costituisce per noi e per le nuove generazioni il nuovo orizzonte di riconoscimento di nuovi diritti, di cittadinanza attiva, di libertà, di pace, oltre che di obiettivi strategici, come la costruzione della società della conoscenza.Una democrazia compiuta è fatta di uno stato di diritto e di uno stato dei diritti. Lo Stato di diritto ha come suo fondamento il rispetto del principio della divisione dei poteri, l'assunzione di norme e regole per prevenire ed evitare gli arbitri e consentire l'esercizio dei principi di libertà e di eguaglianza.Lo Stato dei diritti riconosce nella misura più vasta i diritti individuali e favorisce la formazione di una cittadinanza attiva. Cittadino è colui che gode di diritti in un contesto di libertà fondamentali e che dispone di una fetta di sovranità nella decisione.Come ci ha insegnato Norberto Bobbio, i processi di democratizzazione politica, di partecipazione alla vita democratica, devono procedere insieme con la democratizzazione della società. La nostra Costituzione è molto esplicita e ferma su questo, prevedendo garanzie di libertà, di diritti individuali, di eguaglianza, di promozione della cittadinanza e di rispetto delle differenze religiose, etniche, culturali.Trovo eccezionalmente bella e significativa la riflessione sulla libertà di uno studioso che ha vissuto e subito gli effetti del totalitarismo, Isaiah Berlin. Voglio condividerla con voi mentre mi avvio a concludere:"Nessuna società è libera se non è governata da almeno due principi interdipendenti: il primo, nessun potere può essere considerato assoluto, solo i diritti possono esserlo. Cosicché tutti gli uomini, da qualunque potere siano governati, hanno un diritto assoluto di rifiutare di comportarsi in maniera disumana; secondo, esistono dei confini, tracciati in maniera non artificiale, entro cui le persone dovrebbero essere inviolabili e questi confini sono definiti in termini di regole accettate da tanto tempo, da tanti, che osservarle è entrato a far parte del concetto stesso di che cosa voglia dire essere un essere umano normale e perciò anche di ciò che costituisce un comportamento disumano o folle. (
)Quando dico che un uomo è normale, parte di ciò che intendo dire è che egli non potrebbe trasgredire facilmente queste norme senza provare un senso di repulsione".Questo torna a essere ancora oggi il nostro orizzonte ideale: creare un'etica pubblica solida, che rifiuti anche nel profondo della coscienza individuale la trasgressione delle regole fondamentali della convivenza democratica, costruire una normalità basata sulla inviolabilità della persona umana. Onore dunque ai protagonisti di quelle battaglie. Onore a Firenze, Medaglia d'oro della Resistenza".