Unity in diversity. Tim Robbins ha presentato "The prison project"

Gli interventi della I sessione del II giorno di Dario Fo e Awam Amkpa

Il regista e attore Tim Robbins, intervenendo nella prima sessione della seconda giornata di Unity in Diversity, ha raccontato l’esperienza “The prison project” nata dopo le riprese del film “Dead man walking” e l’incontro con Sorella Helen Prejean. “Proprio suor Helen – ha raccontato Tim Robbins – mi ripeteva che ogni uomo vale di più di qualsiasi errore commesso. Negli Stati Uniti c’è poca comprensione per i criminali ed il sistema carcerario è fallimentare. 7 prigionieri su 10 quando escono dal carcere tornano a commettere reati, spesso si drogano. Ho pensato allora di coinvolgere alcuni artisti nel “The prison project” ed andiamo nelle carceri a fare teatro. Creiamo gruppi che lavorano per otto settimane con i detenuti. Lavoriamo, attualmente, in sei istituti penitenziari, anche con i minori. Ci sono ragazzi timidi, alla prima esperienza con il teatro, che grazie al nostro progetto riescono ad aprirsi, a comunicare. Negli istituti dove lavoriamo c’è stata una netta riduzione di forme di violenza. L’arte è una necessità per la società. Non è frivolezza. Invece quando c’è da risparmiare sui conti, la cultura è sempre quella che subisce i tagli maggiori. Non si pensa che è meglio spendere 100 dollari per fare teatro nelle carceri invece di spenderne migliaia per mantenere i detenuti in cella. Bisogna correggere chi sbaglia senza violenza. Come ha detto il premio Nobel Shirin Ebadi dobbiamo combattere con i libri e non con le bombe”.
Il premio Nobel per la letteratura Dario Fo è intervenuto con un video dove ha raccontato la sua esperienza di attore e drammaturgo. “Ho lavorato molto con mia moglie Franca Rame in tanti teatri – ha detto Dario Fo – ma poi abbiamo scelto di esibirci soprattutto nei piccoli teatri, in quelli periferici. Abbiamo così parlato alla gente dei loro problemi. Ed è stata un’esperienza straordinaria”.
Awam Amkpa, direttore degli studi sull’Africa e drammaturgia presso la New York University ha illustrato tratti della tradizione artistica di New York. “Abbiamo lavorato per trasformare la società e combattere la paura per le differenze. L’Università non ha senso se non insegna alle persone a coronare la loro curiosità e il loro impegno per trasformare la società e combattere la paura per la differenza. Come creare questi spazi? Occorre guardare a fondo nelle piccole comunità e nelle città. Non guardare all’eredità chiusa in se stessa – ha aggiunto Amkpa – ma unificare attraverso l’arte e la cultura. Penso che l’immigrazione sia un diritto umano, occorre sviluppare strategie affinché ogni città sia il prodotto di questi flussi che sviluppano arte e cultura”. (s.spa.)