Unity in diversity. Gli interventi della I sessione di lavori
Nella I sessione del Forum Internazionale “Unità nella diversità” è intervenuto il Sottosegretario al Ministero degli Affari Esteri Mario Giro a nome del Governo italiano. “Credo che siamo davanti ad una grande svolta: per la prima volta, nella storia, la parte della popolazione che vive in città ha superato quella che vive nelle zone rurali. Si potrebbe dire che il mondo intero è diventato una città. L’urbanizzazione sta rivoluzionando il nostro modo di vivere e di agire, allo stesso tempo questa situazione genera nuove sfide sociali, politiche e culturali, aumentando il movimento di trasformazione del nostro mondo. Ecco perché siamo qui. È bello convocare questa riunione qui a Firenze, che nel Rinascimento fu modello di città e di vita comune. La domanda che dobbiamo porci oggi, allora, è quale modello dobbiamo seguire in questi tempi. Ogni grande città è il risultato di una miscela di culture diverse, che nel tempo si sono incontrate ed amalgamate. Oggi possiamo dire che ogni città ha bisogno di trovare una sua prospettiva. Le città non sono solo dei luoghi di aggregazione, ma di convivenza. Il problema dunque è vivere insieme, con le nostre pluralità religiose e di costumi. Oggi l’economia globale porta molte persone a spostarsi, creando di conseguenza nuove aggregazioni di convivenza. E questa è la sfida a cui siamo chiamati a rispondere oggi: l’integrazione, come riuscire a vivere insieme, ognuno con le proprie peculiarità. Fenomeni di xenofobia ci fanno capire che la cultura del vivere insieme è un patrimonio che dobbiamo costruire ancora oggi, giorno dopo giorno. Vivere insieme è la sfida della storia, è il nostro destino. Pensare di separarsi dagli altri è solo un’illusione. La sfida del vivere insieme appartiene a tutti, nessuno può sentirsi escluso”.
Il Premio Nobel per la Pace Tawakkol Karman (prima donna a vincerlo) ha sottolineato come: “È importante sapere che la cultura è un modo importante per raggiungere la pace e lo sviluppo, in molti campi: economico e sociale prima di tutti. La cultura è un indicatore fondamentale della vita pubblica di qualunque popolo nel mondo, ed è importante sapere che questa è una dimensione fondamentale, se si vuole costruire una buona vita. Ci sono molti modi per definire la cultura e quello al quale sono più affezionata è questo: “la cultura è il modo in cui vivono le persone”. Tutta l’umanità ha pagato un prezzo altissimo quando i capi della comunità internazionale, hanno considerato la cultura come uno dei motivi per scatenare una guerra. Il conflitto più difficile è stato quello tra il blocco socialista e quello capitalista. Queste due culture sono state utilizzate in modo sbagliato. In passato la concorrenza tra USA e Russia è stata una delle ragioni principali di scontri e guerre. Pertanto la cultura è stata utilizzata per influenzare ed imporre un modello economico e sociale. Adesso ci troviamo davanti allo stesso problema: il conflitto tra culture. Questo è molto pericoloso. Faccio un esempio: in Occidente c’è una percezione errata dell’Oriente, soprattutto della penisola arabica. L’Occidente pensa che la cultura araba si basi sugli omicidi, sull’odio e sull’emarginazione, ma ci sono persone in quei posti che soffrono a causa di questi eventi. Viceversa, in Oriente c’è la concezione che l’Occidente sia corrotto e che mostri poca importanza a temi come la famiglia, ad esempio. In sostanza, c’è un’incomprensione di reciproche culture. L’Occidente vede l’Oriente solo come lo stato Islamico o l’Isis, mentre l’Oriente vede l’Occidente come una grande corruzione. Ma questi due pensieri sono errati. L’Occidente paga oggi un alto prezzo per essere libero da estremismi. Quello che dobbiamo fare, è lavorare per accettarci reciprocamente. Dobbiamo sapere che l’unità sta nella diversità. La diversità è simbolo di vittoria. E i sindaci sono protagonisti in questo processo. Non c’è mai una cultura superiore ad un’altra. Il conflitto, oggi, è tra dittatura e libertà. Ovvero tra il bene comune delle persone e la dittatura e il terrorismo”.
Aaron Tovish di Mayors For Peace ha spiegato che: “Pur non essendo un sindaco, lavoro per più di 6800 sindaci nel mondo, che hanno costituito la rete “sindaci per la pace”. Questi sindaci si sono uniti perché le loro città sono minacciate dalla violenza dall’esterno, o in alcuni casi, dall’interno. Quando facciamo una guerra non pensiamo mai alle conseguenze che questa comporta per le città. Sia per quelle che sono coinvolte direttamente, sia per quelle che lo sono indirettamente. I sindaci devono potersi esprimere, prima che si intraprenda un conflitto. Oggi ci sono intere città che sotto attacco. Io sono un attivista contro le armi nucleari e ho capito che le sofferenze dovute alle guerre, dobbiamo affrontarle. Guardate quello che è successo ad Hiroshima e Nagasaki. La bomba atomica non ha distrutto solo quelle città e quelle popolazioni, ma anche le città e le popolazioni vicine. Ha sprigionato nell’atmosfera tonnellate di cenere e questa ha contaminato tutto l’ambiente. Nonostante questo siamo stati vicini a scatenare un conflitto nucleare. Per questo i Sindaci per la Pace daranno via ad un progetto per commemorare la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, per riflettere sull’impatto della guerra sulle città”.
Peter Madonia, direttore generale della Rockfeller Foundation ha ricordato come: “I sindaci sono in prima linea nell’affrontare i picchi dei migranti. Ci sono vari modi per aiutare queste popolazioni ma non esistono, attualmente, delle “best practice”. Alla Rockfeller Foundation applichiamo il metodo delle città resilienti: una visione globale e olistica della città. Un esempio virtuoso lo abbiamo sperimentato a Medellin, in Colombia che, negli anni ’80 e ’90 era la sede del cartello della droga. C’era una lotta tra bande per il controllo della città. Per cercare di risolvere i problemi della popolazione è stata costruita una rete di collegamenti tra le varie zone della città ed il centro economico. Questo ha creato una nuova coesione sociale. I cittadini potendosi spostare si sono sentiti più sicuri. Così come Medellin ha affrontato la criminalità offrendo delle risposte che hanno ridotto gli omicidi del 90% in pochi anni oggi le città si ritrovano ad affrontare la crisi dei rifugiati cercando risposte. Occorre risolvere il problema a lungo termine. Non con soluzioni “una tantum”. Occorrono interventi per fornire alloggi, occupazione magari tramite l’utilizzo di internet, cercando di evitare che queste persone in cerca di lavoro cadano nelle mani della criminalità organizzata. A questo proposito a Barcellona viene garantita l’assistenza legale gratuita. Inserire i giovani nelle scuole, creare sportelli per offrire informazioni. Io stesso sono un figlio della migrazione ed ho avuto modo d’inserirmi e di lavorare a New York a stretto contatto con i Sindaci.
Frank La Rue, direttore della fondazione Robert Kennedy per i diritti umani in Europa ha parlato di pace. “Un tempo si diceva che la pace era l’assenza di conflittualità. Oggi la pace vuol dire che tutti i popoli devono lottare per la salvaguardia dei diritti umani in tutto il mondo. Tutti gli essere umani hanno dei diritti e la diversità delle culture è un valore da condividere. Oggi le città sono il centro d’incontro di diverse culture. E’ il luogo dove vibrano gli essere umani. Si cerca, sempre di più, di spiegare i conflitti. Oggi i conflitti sono solo una lotta per il potere. E’ bello vedere oggi tanti sindaci riuniti a Firenze per esprimere il desiderio di pace e che s’impegnano in tal senso.
Il prof. Giovanni Puglisi, presidente della Commissione nazionale italiana Unesco si è soffermato su pace e mercato delle armi. “Non sono passati solo 60 anni tra questi due convegni ma fiumi di sangue e decine di conflitti, già nel 1795 il grande filosofo tedesco Kant scriveva il pamphlet “Per una pace perpetua”. Le tesi che sosteneva ritornano molto attuali: due punti fondamentali che voglio richiamare, la lotta al miles continuum cioè gli eserciti permanenti e, oggi, si può aggiungere eserciti mercenari e terroristi. Fino a quando c’è il miles continuum diceva Kant non ci sarà una pace perpetua nel mondo. Il secondo argomento riguarda il mercato delle armi. La guerra è l’unico modo economico per sostenere il mercato delle armi, fin quando ci sarà la guerra non ci potrà essere un mercato delle armi in crisi. Kant invocava elementi e strumenti per mettere al bando la guerra in chiave giuridica e morale. Giusto ma non basta, la carta di Firenze e questo convegno dicono qualcosa di più, richiamano i valori civili della cultura come reticolo per la pace. La cultura pertanto va difesa e i beni culturali vanno protetti e custoditi non solo come momenti estatici della bellezza, bensì come memoria del mondo ed è proprio come momento di sedimentazione dei valori che oggi vengono distrutti dai terroristi dell’Isis, pensate soltanto allo scempio di Palmira. Quattro sono le parole chiave per sintetizzare il messaggio di Unità nella diversità: conoscenza, impegno, fiducia, speranza. L’Unesco è nata quasi 70 anni fa per supplire alle defaillance della pace debole che viene fuori dai Trattati di pace per esempio quello di Basilea redatti dai politici e dai diplomatici a valle di conflitti devastanti sull’onda del sospetto e della diffidenza reciproca. L’impotenza della Società delle Nazioni alla vigilia della seconda guerra mondiale davanti alla follia nazista di Hitler fu la dimostrazione palese che la pace non si fonda sui trattati, si deve fondare su ben altro. L’Unesco è nata per dimostrare che la pace si fonda sulla cultura, sui beni culturali, sulla coscienza delle genti di tutte le età e di tutte le culture. Essa passa attraverso i cittadini, le culture, la dignità della persona, i patrimoni materiali e immateriali della cultura. La carta di Firenze che questo convegno andrà a varare è un prolungamento, un deciso passo avanti verso quel progetto di 70 anni fa che costituì l’Unesco”. (s.spa.)