Concluso il restauro delle statue romane del Salone dei Cinquecento

Fino al 2 ottobre un allestimento temporaneo consente di ripercorrerne la storia e di ammirarle da vicino

Dopo un oltre un anno di restauro, tornano visibili monumentali statue di età romana raffiguranti Pothos, Hermes, Apollo e Bacco che dalla fine dalla fine del XVIII secolo ornano le quattro nicchie laterali del prospetto meridionale del Salone dei Cinquecento.
Un allestimento temporaneo (che si concluderà il 2 ottobre) consente di ripercorrerne la storia, di ammirarle da vicino e da ogni lato e di apprezzare i risultati del restauro diretto dal servizio musei del Comune di Firenze, in collaborazione con la soprintendenza archeologia della Toscana e il contributo il consolato onorario del Principato di Monaco a Firenze ed Enic Meetings & Events, Guess Foundation e Joris Cornelis.
L’inaugurazione della mostra questa mattina alla presenza della vicesindaca Cristina Giachi.
«Queste statue – ha sottolineato la vicesindaca Giachi – ci parlano della consapevole intenzione della famiglia Medici che ha portato a Firenze un patrimonio inestimabile di testimonianze storiche. E raccontano non solo la Firenze che è stata ma quella che ancora può essere grazie a quella visione lungimirante. Possiamo leggere ciò che quello spirito può generare nell'ispirazione degli sponsor che hanno permesso questo restauro ed hanno capito l’importanza di aver ricevuto un dono come questo e la responsabilità che il prendersene cura comporta». «Questo restauro non è solo un’operazione di restituzione di bellezza - ha concluso la vicesindaca – ma anche la possibilità di un racconto nuovo come nel caso degli scavi archeologici aperti di recente a Palazzo Vecchio».


Vicende storiche del gruppo di statue
Le monumentali statue di età romana raffiguranti Pothos, Hermes, Apollo e Bacco, dalla fine del XVIII secolo, ornano le quattro nicchie laterali del prospetto meridionale del Salone dei Cinquecento. Al termine di un intervento di restauro durato oltre un anno, sono temporaneamente esposte con un allestimento che consente di ripercorrerne la storia e di ammirarle da vicino e da ogni lato, come non sono mai state viste in epoca moderna, prima che vengano ricollocate al loro posto, a quasi tre metri di altezza.
Provengono dalla collezione di antichità che il cardinale Ferdinando de’ Medici raccolse nella sua villa romana sulla collina del Pincio, oggi sede dell’Accademia di Francia. Divenuto cardinale a soli tredici anni, Ferdinando, figlio del secondo duca di Firenze, Cosimo I de’ Medici, visse a Roma fino al 1587, quando dovette succedere al fratello Francesco nella guida del granducato fiorentino e quindi lasciare la carica ecclesiastica per poi sposare Cristina di Lorena.
Mecenate e collezionista noto per la sua principesca “magnificenza”, Ferdinando acquistò la villa sul Pincio con il suo giardino nel 1576 e, sull’esempio del padre e del fratello Francesco, la fece ampliare, decorare e arredare fastosamente, servendosi di architetti e artisti della cerchia medicea.
Qui riunì le sue collezioni di dipinti, bronzi, vetri, porcellane e altri oggetti di pregio, ma soprattutto la sua celebre raccolta di antichità, una delle più ampie e ammirate dell’epoca.
Questa raccolta di antichità, costituita da statue, busti, rilievi e reperti lapidei di vario genere, provenienti prevalentemente dall’acquisto in blocco di importanti collezioni romane, era distribuita, secondo schemi scenografici e simbolici, tra la facciata della villa, la loggia, le sale terrene, il giardino e la nuova galleria, appositamente costruita per ospitare le sculture di pregio.
Le quattro statue oggi esposte in Palazzo Vecchio erano tra quelle alloggiate in nicchie lungo la galleria. Secondo il gusto dell’epoca, erano già state sapientemente completate delle parti mancanti con frammenti antichi di diversa provenienza e integrazioni moderne in stile, nonché rilavorate e lucidate, prevalentemente sul lato anteriore, l’unico visibile.
Dopo la partenza di Ferdinando da Roma la raccolta rimase nella villa e, fatta eccezione per tre famose sculture trasferite nella Tribuna degli Uffizi nel 1677, tra le quali la “Venere dei Medici”, tutti i marmi antichi erano ancora sul posto quando gli Asburgo-Lorena acquisirono la proprietà del patrimonio mediceo, per effetto della successione al Granducato di Toscana (1737). Lo svuotamento di Villa Medici, voluto da Pietro Leopoldo di Lorena, ebbe inizio nel 1770 e si concluse tra il 1787 e il 1788, quando quasi quattrocento opere furono trasferite in blocco a Firenze con più spedizioni via mare, per poi essere smistate tra la Galleria degli Uffizi, la Loggia
dei Lanzi, Palazzo Pitti, il giardino di Boboli e altre sedi granducali.
Tra queste erano anche le sculture oggi nel Salone dei Cinquecento. L’Apollo e il Bacco erano già destinati a Palazzo Vecchio quando nell’estate del 1788 vennero nuovamente restaurati da Giovanbattista Capezzuoli. Al posto del Pothos e dell’Hermes, inizialmente, erano invece previste due figure atletiche oggi agli Uffizi. Nel 1795 le quattro statue erano già tutte alloggiate nelle nicchie del prospetto meridionale del Salone dei Cinquecento.

 

Il restauro, gli studi e le scoperte
Il restauro ha restituito alle statue il giusto grado di leggibilità e stabilità, grazie alla rimozione dei depositi superficiali di polvere e sostanze incoerenti, il rifacimento delle stuccature degradate o mancanti, il consolidamento e il riposizionamento delle parti parzialmente distaccate o malamente ricomposte negli interventi del passato, come il braccio destro del Pothos. Sul retro delle opere piccoli tasselli, volutamente risparmiati dalla pulitura, documentano come si presentavano le superfici prima del restauro.
Le quattro statue non erano mai state rimosse dai loro alloggiamenti nella testata sud del salone, se non per essere messe in sicurezza in occasione di lavori di ristrutturazione dell’edificio ed emergenze belliche. Il retro e i fianchi delle sculture, nascosti dalla collocazione entro nicchie, sia in Palazzo Vecchio che a Villa Medici, finora non erano mai stati esaminati e documentati. Il restauro ha quindi permesso anche di scoprire aspetti sconosciuti della storia di queste opere e di perfezionarne la lettura critica attraverso il confronto tra l’analisi stilistica, lo studio delle fonti archivistiche, l’esame delle tecniche di lavorazione e le risultanze della nutrita campagna di indagini diagnostiche che ha preceduto l’intervento. (fn)