Le cerimonie del 51° anniversario dell'alluvione del 4 novembre 1966

Alle Murate apposta targa in onore dell'ispettore Ferlito con la presidente Biti e il sottosegretario alla Giustizia Ferri

Si sono svolte oggi le cerimonie ufficiali del 4 novembre per ricordare l'anniversario dell’Alluvione del 1966.
 
Prima, questa mattina, la Santa Messa in memoria delle vittime dell’Alluvione nella Cappellina dell’Oratorio della Madonna delle Grazie in Lungarno Diaz, celebrata dal Vicario Episcopale per la Carità dell’Arcidiocesi e Priore Mitrato della Basilica di San Lorenzo Mons. Domenico Marco Viola.
A seguire, il corteo con le autorità aperto dal Gonfalone del Comune dall’Oratorio al centro del Ponte alle Grazie. Quindi il tradizionale lancio della corona d’alloro del Comune di Firenze in memoria delle vittime dell’Alluvione da parte del sindaco di Firenze Dario Nardella, la presidente Presidente del Consiglio Comunale Caterina Biti e Franco Mariani, presidente di Firenze Promuove.
 
La Presidente Biti, facendo riferimento a quanto deliberato dalla Giunta Comunale il 29 agosto 1967, ha promosso l’apposizione di una targa commemorativa all’ex Carcere delle Murate in onore dell'ispettore Michele Ferlito. Allo scoprimento della targa hanno preso parte, insieme alla presidente del Consiglio comunale, il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Maria Ferri ed i figli dell'ispettore Ferlito. Per l’alto significato del ricordo la Presidente di Montecitorio, On. Laura Boldrini, ha comunicato la concessione del Patrocinio della Camera dei Deputati. Alla cerimonia alle Murate sono stati inoltre letti i messaggi inviati dal presidente del Senato Pietro Grasso e dal Ministro della Giustizia Andrea Orlando.

 

Dopo i ringraziamenti di rito alle autorità e alla famiglia Ferlito, la presidente Biti ha dichiarato: "Grazie al personale dell'Archivio Storico della Polizia Municipale di Firenze, è stato ritrovato il fascicolo originale delle indagini condotte nel 1967 dalla Polizia Municipale su esplicita richiesta dell’allora Sindaco Piero Bargellini, che poi con apposita delibera di giunta aveva stabilito di dare un riconoscimento all'ispettore Ferlito per l'abnegazione dimostrata in quelle ore drammatiche per Firenze. Una delibera finita però, purtroppo, nel nulla. Ed ecco che oggi 51 anni dopo quei fatti quel riconoscimento arriva, con questa targa che ricorderà per sempre alla città di Firenze ed ai suoi visitatori la figura dell'ispettore Ferlito. Un ricordo, oggi, lo rivolgiamo anche ai tanti gesti da parte di tante persone, forze dell'ordine e semplici cittadini, che permisero alla città di rialzarsi dopo la catastrofe".

La targa, il cui testo è stato curato da Franco Mariani, fa memoria delle azioni, di cui una anche eroica – con il salvataggio di varie persone, non solo detenuti ma anche civili, tra cui un bambino –  intraprese durante l’alluvione dall’allora direttore dei tre istituti carcerari fiorentini, l’Ispettore Michele Ferlito, fino all’episodio della rivolta del giorno 6 novembre, che non sfociò in un bagno di sangue proprio grazie al direttore Ferlito.
 
All’epoca i tre istituti carcerari fiorentini, tutti situati nel centro storico, dietro Santa Croce, avevano complessivamente oltre 240 detenuti e detenute. Nel momento in cui l’acqua iniziò ad invadere le tre strutture il direttore, Isp. Michele Ferlito, dette ordine di aprire le porte di tutte le celle per permettere a tutti di salvarsi. Una novantina di detenuti però ne approfittarono per scappare definitivamente, venendo poi riacciuffati nelle settimane successive, o decidendo di rientrare spontaneamente in carcere. Alcuni di quest’ultimi, nove, furono poi quasi subito graziati dal Presidente della Repubblica, mentre quelli segnalati dall’Isp. Ferlito, cinque, furono graziati un anno dopo.
Solo che le condizioni igieniche, dopo il rientro nelle celle alluvionate, e non ripulite, non erano ottime, e per questo il giorno 6 scoppiò una rivolta che fu sedata grazie all’intervento diretto e alla mediazione dell’Isp. Michele Ferlito. Rientrata la rivolta, gli Allievi della Scuola Sottufficiali Carabinieri di Piazza Stazione – ritornati in 100 a Firenze per la prima volta lo scorso novembre dopo 50 anni – furono incaricati del trasferimento dei detenuti in altre carceri toscane non alluvionate. (fdr)
 
 
Questo il racconto dell’Ispettore Michele Ferlito nelle sue memorie:
 
“La mattina del 6 novembre, mentre ricevevo dal Maresciallo Pirazzoli le novità e le più recenti notizie, relativamente tranquillizzanti in merito alla situazione disciplinare e complessiva del Carcere Giudiziario (Le Murate), fummo avvertiti che in quell’Istituto – per un ritorno improvviso di fiamma – era cominciato l’ammutinamento tra i detenuti, di cui qualcuno era evaso mentre altri avevano già raggiunto il cornicione che dà su Via dell’Agnolo, da dove lanciavano ogni oggetto contundente su chiunque cercasse di avvicinarsi al portone d’ingresso, tanto che le forze dell’ordine erano state costrette ad aprire il fuoco presumibilmente a scopo intimidatorio.
Corremmo subito sul posto, mi piazzai in mezzo alla strada (con il fango a mezza gamba) proprio sotto il gruppo numeroso dei detenuti in subbuglio schierati sul cornicione e cominciai a parlare con loro, invitandoli, con autorità e decisione, a desistere dal loro comportamento, che poteva ripercuotersi soltanto ed esclusivamente a loro danno.
Alla mia vista, turbati anche dalla mia decisione, essi cessarono immediatamente ogni ulteriore atto di violenza e chiesero che mi volevano con loro, per potermi esternare i loro desideri e le loro preghiere.
Fornii loro una prova della mia lealtà e sincerità, liberando due loro compagni, che venivano tenuti strettamente ammanettati dai Carabinieri, e provvedendo a ricondurli in carcere, da solo, privi di manette e previa loro promessa che mi avrebbero disciplinatamente seguito e anch’io mi introdussi dentro l’Istituto.
Entrai una prima ed una seconda volta – nonostante l’opposizione del Capitano dei Carabinieri che voleva impedirmelo nel timore che io potessi essere preso come ostaggio per parlare con loro a cuore aperto ascoltandone tutti i bisogni ed ogni loro preoccupazione.
Fu quando venni avvertito che i detenuti minacciavano d’incendiare il carcere, che mi introdussi fulmineamente dentro l’Istituto, portando con me fino all’interno il solo sanitario della Casa Penale. Seguendo un percorso irto di ostacoli e barricate, tallonato da un gruppo di detenuti sempre più numerosi, raggiunsi il centro dello stabilimento, dove maggiormente era l’effervescenza e il disordine.
Salii ivi all’ultimo piano della Sezione, da dove parlai loro per circa due ore spesso interrotto e contrastato dai più facinorosi, fino a quando, con l’aiuto di Dio, riuscii a persuaderli, tanto da essere alla fine assicurato formalmente che ogni scompiglio era da considerarsi ormai definitivamente cessato, per rispetto soprattutto alla mia persona che per ben tre anni li aveva sempre aiutati, sorretti, consigliati e confortati”.