Stati generali della lingua italiana, il sindaco Nardella: "Promuoverla non significa conservare il passato ma affacciarsi con nuovo vigore al futuro"

Questo il testo dell'intervento del sindaco Dario Nardella all'apertura dei lavori degli Stati generali della lingua italiana:

 

"E’ ormai appuntamento consueto ritrovarsi a Firenze per discutere della nostra lingua italiana. Nell’ottobre 2014, con la prima edizione degli Stati generali della lingua italiana sempre qui nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, nell’ottobre 2015 con l’iniziativa Riparliamone: la lingua ha valore tenutasi a Palazzo Medici Riccardi e oggi.
Credo sia assolutamente positiva e necessaria questa continuità: molto spesso ci troviamo per convegni e incontri che concludono la loro spinta positiva dopo pochi giorni. La continuità di lavoro è invece un elemento fondamentale e posso assicurare che la città di Firenze è presente e attiva, sia come amministrazione comunale che, e soprattutto, attraverso l’attività dell’Accademia della Crusca, dei Gabinetti letterari e delle altre istituzioni che ne animano la vita culturale.
Ripartiamo ovviamente dal rapporto speciale, direi unico, tra Firenze e la lingua italiana: Firenze è la città dove l’italiano è nato. E’ la sua patria grazie a Dante Alighieri, che con le sue opere, e soprattutto la Commedia, divulgò già nel XIII secolo il fiorentino come lingua ufficiale per tutti gli italiani. Leggevo sull’Enciclopedia Treccani che il 90% del lessico fondamentale dell’italiano in uso oggi (cioè il 90% delle 2.000 parole più frequenti, che a loro volta costituiscono il 90% di tutto ciò che si dice, si legge o si scrive ogni giorno) è già presente nella Divina Commedia. Questo ci dà la misura di quanto dobbiamo a Dante Alighieri e di come l’italiano contemporaneo derivi direttamente dal dialetto volgare fiorentino. Credo di poter dire che nessuna lingua al mondo, come quella di Dante, abbia subito così pochi cambiamenti dopo più di settecento anni.
Voglio riprendere la riflessione sull’importanza della promozione della lingua italiana, secondo quelle che sono le due direttrici fondamentali che hanno animato i dibattiti di questi anni a Firenze: un approfondimento vero e significativo della lingua tra chi la parla correntemente e la diffusione dell’italiano nei paesi stranieri.
Rispetto al primo punto, e guardando soprattutto ai nostri giovani, non possiamo negare la necessità di una sempre maggiore internazionalizzazione nelle espressioni linguistiche. Comprendiamo tutti che è fondamentale conoscere più lingue, l’inglese su tutti, aprirsi a nuove conoscenze, usare strumenti linguistici nuovi dettati dalle moderne tecniche di comunicazione. I nostri giovani sono ancora indietro rispetto ai loro coetanei europei nell'apprendimento di lingue straniere. Ma questo non deve determinare un impoverimento culturale. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che la nostra civiltà e cultura (letteraria, musicale, imprenditoriale, artigiana, artistica, culinaria, moda ecc.) nasce anche da un particolare uso linguistico. Esprimersi in una lingua viva vuol dire anche pensare e progettare in modo innovativo e creativo. Le nostre stesse invenzioni e innovazioni artistiche parlano la nostra lingua (basta pensare al linguaggio della musica, dell’arte, della moda ecc.). Un modo di pensare. Un modo di creare che per secoli ha influenzato l'umanità. Pensate che ancora oggi la musica parla l'italiano! 'Andante con moto', 'Allegro', 'Moderato', 'Molto Piano', 'Adagio', sono i termini con cui ogni compositore scandisce il ritmo, il fraseggio e il volume di un qualunque testo musicale. Non è solo un aspetto formale, bensì un modo sostanziale di concepire il linguaggio musicale.
Per questo se si mortifica l’uso dell’italiano, soppiantandolo con un uso generalizzato di parole straniere, si finisce per mortificare anche la capacità creativa in Italia e all'estero. Se ci convincessimo che potremmo fare a meno di parlare bene e diffusamente l'Italiano, condanneremmo la nostra lingua a diventare in poco tempo una lingua morta, la nostalgia di un passato che non c’è più.
E questo vale non solo a livello alto – penso alla ricerca scientifica, dove la necessità di internazionalizzarsi non può tuttavia ridursi a tenere corsi e lezioni solo in un inglese standardizzato – ma anche al livello più basso dei bisogni, e qui penso a chi, straniero, arriva in Italia non conoscendone la lingua. Proprio per loro, per gli immigrati e chi giunge in Italia per lavoro o passione, imparare l’italiano permetterà sempre di più di comprendere usi, costumi, tradizioni, entrare in rapporto con la gente del luogo. Difendere la lingua italiana e promuoverla a tutti i livelli significa costruire un ponte tra noi e gli altri, abbattere i muri delle differenze sociali e culturali, realizzare un proficuo scambio tra culture diverse.
Tutto ciò ci è insegnato da un altro grande fiorentino 'utilizzatore' della lingua italiana come Mario Luzi, che cito da un suo intervento alla Crusca del 2003: 'In verità il rapporto che noi abbiamo con la lingua è quello da madre a figlio. È la lingua nella quale siamo cresciuti che modella in misura non certo esigua la nostra mente. La nostra sensibilità dipende anche dai toni, gradi e risvolti della lingua che suona intorno noi e dentro di noi'. Il punto nodale infatti è questo: molti pensano che la lingua sia solo uno strumento per comunicare, ma prima di tutto la lingua è lo strumento per pensare. Per questo se non si coltiva la propria lingua si è condannati a un pensiero di serie B.
Rispetto alla capacità di diffondere sempre di più l’italiano nei paesi stranieri, vorrei riprendere la parte conclusiva del mio intervento agli stati generali di due anni fa. Avevo terminato, infatti, lanciando alcune sfide che credo siano sempre attuali per la promozione dell’italiano.
Innanzitutto la sfida di ampliare gli interventi all’estero delle nostre Opere sinfoniche e liriche per rilanciare l’uso dell’italiano nelle arti in paesi stranieri. Ebbene, in questo senso, ricordo con piacere la bella iniziativa che quest’anno ha visto protagonista il Maggio musicale fiorentino che il 30 luglio scorso si è esibito in Tunisia, al Festival Internazionale di Musica Sinfonica di El Jem. In questa occasioni sono state esguite arie e sinfonie del grande repertorio italiano, come la cavatina di Figaro de Il barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini, La donna è mobile del Rigoletto di Giuseppe Verdi, e il Và, pensiero dal Nabucco. Mi sembra questa la strada giusta da seguire soprattutto verso paesi vicini e così fondamentali per le nostre relazioni sociali e politiche.
In secondo luogo la sfida della formazione, da giocare ad esempio con un progetto di "Erasmus delle arti" per avvicinare alla cultura e alla lingua italiana sempre più giovani del mondo, e con una maggiore collaborazione con le università straniere presenti in Italia – solo a Firenze ne abbiamo più di 40 – che svolgono già quest’opera meritoria di allargare il bacino di utenza della lingua italiana all’estero.
Penso infine al cinema e alla televisione per la loro potenza espressiva e capacità di coinvolgere ed educare. Anche in questo campo possiamo fare molto per valorizzare la lingua italiana, come del resto avvenuto in passato, magari potenziando scuole e rassegne cinematografiche italiane all’estero. A questo scopo credo sia indispensabile l'ausilio delle nuove tecnologie e della Rai, la nostra televisione per divulgare l'italiano fuori dai nostri confini, dove un tempo era già molto conosciuto. Recentemente mi è capitato di visitare in missione paesi come la Tunisia e Malta. Ebbene, in queste circostanze ho appurato che le generazioni dai 40 anni in su parlano abitualmente l'italiano grazie alla diffusione dei nostri canali televisivi nei loro rispettivi Paesi; ciò che non avviene oggi, con l'avvento del digitale, per le nuove generazioni. Non dobbiamo dimenticare che l'esportazione della lingua italiana spesso costituisce il viatico per l'esportazione della nostra vita economia. In questo senso la TV e il cinema costituiscono uno straordinario strumento.
Firenze viene due settimane molto intense da questo punto di vista, perché è stata protagonista del lancio di due grandi eventi, come il film Inferno e la serie televisiva I Medici. Queste grandi produzioni lanceranno ancora di più l’immagine di Firenze e dell’Italia nel mondo. Dobbiamo essere bravi a sfruttare questa promozione non solo per attrarre turismo, promuovere i nostri musei, bellezze artistiche e paesaggistiche, ma anche per promuovere la lingua che ne è alla base, l’italiano che proprio Dante Alighieri e i Medici parlavano.
Del resto promuovere la nostra lingua non significa, in buona sostanza, conservare il passato, ma affacciarsi con nuovo vigore al futuro, significa non cessare mai di pensare e puntare alla bellezza, come hanno sempre fatto i nostri predecessori consapevoli di 'non esser fatti per vivere come bruti, ma per seguire virtute e canoscenza'".


(fp)