Intervento di Lionel Jospin Primo Ministro della Repubblica francese alla Conferenza «Il riformismo nel XXI scolo»

Grazie, Massimo. Senza alcun dubbio c'è una nuova economia, se si va a vedere l'impatto delle nuove tecnologie sulla nostra crescita, se consideriamo la globalizzazione degli scambi, se si considera l'immediatezza delle comunicazioni e delle informazioni ma anche dei movimenti di capitali e se si pensa alla finalizzazione dell'economia. Io non sono sicuro, però, che questa nuova economia abolirà i cicli economici, anche se c'è un felice mistero americano su cui Bill Clinton, senza dubbio, ci illuminerà. In ogni modo, ciò non ci ha evitato degli incidenti finanziari, di percorso. Il Presidente Cardoso ha appena ricordato la crisi del Messico, la crisi asiatica, la crisi della Russia e del Brasile. Io ho l'impressione che la nuova economia sia un'anticipazione. Ci viene detto quello che potrebbe essere l'assetto parziale che potrebbero assumere i nuovi prodotti e i nuovi mercati ma, allo stesso tempo, oggi rimane una dimensione minoritaria in confronto a tutto il mondo. I 4/5 degli esseri umani del pianeta non hanno accesso agli strumenti di comunicazione di base in un rapporto molto diseguale tra le nazioni stesse, forse più diseguale di quanto non fosse il modello precedente. Credo, allora, che sarà necessario fornire una risposta a questa situazione di disuguaglianza, in particolare all'appello lanciato da Feranndo Henrique Cardoso. Se noi siamo socialdemocratici o progressisti dobbiamo fare attenzione ai rischi presentati da un capitalismo quasi chimicamente puro, quasi assoluto, che porta al monopolio e che provocherebbe l'insicurezza economica per i lavoratori retribuiti, che vorrebbe imporre le dimensioni del mercato a tutti gli aspetti della vita umana e che vorrebbero ridurre il controllo democratico, e questo pone un problema di ordine politico. Io credo che la nuova economia imponga a noi delle nuove responsabilità. Non vi sarà crescita sostenibile, durevole e diffusa su tutto il pianeta senza compromessi sociali tra i vari gruppi sociali, senza istituzioni collettive (quindi sfera politica, Stato democratico, associazioni e organizzazioni della società civile). Ci viene detto che c'è la globalizzazione, allora bisogna portare avanti il discorso fino alla sua conclusione. Bisogna dire che alla globalizzazione del mondo bisogna fornire risposte globali. Da questo punto di vista gli Stati hanno delle responsabilità, sul piano internazionale è necessaria la cooperazione tra le istituzioni internazionali, quelle monetarie e finanziarie. Il mio Governo, del resto, ha avanzato delle proposte a questo riguardo, ma sono necessarie anche delle norme a livello commerciale. Io spero, anche se oggi non è ancora certo, che a Seattle avvieremo una nuova tornata negoziale con la Conferenza del millennium dell'OMC, dell'Organizzazione mondiale del commercio. La cooperazione deve svilupparsi tra le organizzazioni internazionali ma anche tra i gruppi di Nazioni. Si vanno costituendo degli insiemi economici, oggi. A questo riguardo, mi sembra che l'Unione Europea rappresenti un elemento molto interessante, una forza importante perché non costituisce né un impero né una potenza dominante né una singola Nazione, con tutte le tentazioni di individualismo e di egoismo che ne conseguirebbero. Si tratta, invece, di una forza collettiva coesa su un singolo progetto, che la rende un ottimo partner per le relazioni internazionali. Ritengo che sia necessario fissare gradualmente delle norme su valori che sono nostri sul piano sociale, sul piano ambientale, anche se so che questa, per i Paesi in via di sviluppo, non può che essere un'introduzione progressiva, altrimenti imponiamo loro delle condizioni diseguali dal punto di vista della concorrenza. Tutto ciò deve avvenire, oltretutto, nel pieno rispetto delle diversità culturali. Prendo atto della realtà della nuova economia. Non direi che essa abolisce la storia, non direi che cancella l'esistenza di gruppi sociali diversi. Essa non deve sommergere, soffocare gli Stati nazionali, che rimangono ancora il luogo di elaborazione della democrazia, e dove anche si creano consensi intorno a dei valori. Accetto un mondo impostato su un'architettura di rete, ma non voglio che il mondo venga regolamentato, diretto dalla rete (o dalle reti), perché questo corrisponderebbe a interessi privati. Non è questa la nostra filosofia né la nostra vocazione. Vorrei che non entrassimo nel XXI secolo subendo eccessivamente l'influenza dell'ideologia liberale del XIX secolo, ma vorrei che fossimo capaci di inventare nuovi valori, nuove forme di regolamentazione per questo XXI secolo nel quale, spero, saremo in grado di svolgere un ruolo importante. In un recente colloquio, Garcia Marquez avevo utilizzato la seguente frase: "Non aspettatevi niente dal XXI secolo, è il XXI secolo che si aspetta tutto da voi". Dopo questa discussione, credo che il prossimo secolo qualcosa da parte nostra se l'aspetterà.Fonte: sito internet di Palazzo Chigi