Intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri Massimo D'Alema alla Conferenza "Il Riformismo nel XXI secolo"

Grazie a Firenze per l'accoglienza, scusateci per l'inevitabile disturbo che nasce dalla presenza di tante personalità. Grazie a Firenze anche per ciò che non è merito dei fiorentini di oggi, ma che tuttavia essi conservano con tanta cura: questa straordinaria testimonianza della civiltà e della cultura umana che Firenze offre ai visitatori di ogni parte del mondo e oggi a noi. Grazie alla New York University e all'Istituto Universitario Europeo che si sono fatti promotori e organizzatori di questo incontro. Lasciatemi rivolgere a Bill Clinton, a Fernando Cardoso, a Toni Blair, a Lionel Jospin, a Gerhard Schröder il mio ringraziamento personale per aver accettato questa discussionee, e ad Antonio Guterres, che ha accettato addirittura di ascoltarci, dal momento che abbiamo fissato dei criteri di grandezza degli stati, non delle persone, poichè sappiamo che lui è uno dei più brillanti statisti europei. Questo non è un incontro fra Stati, non è una conferenza internazionale, non dobbiamo prendere delle decisioni. Vi sono delle persone, responsabili dei governi di grandi paesi, che, in misura diversa, hanno responsabilità sul futuro del mondo. Queste persone hanno sperimentato nel loro lavoro comune il riferimento a valori comuni, pur venendo da esperienze diverse. Gli europei che siedono a questo tavolo sono esponenti di quella sinistra, di quel centrosinistra europeo che ha la sua forza fondamentale nella socialdemocrazia, che tuttavia non è l'unica forza, visto che nel campo del centrosinistra europeo concorrono anche forze democratiche, ecologiste, forze di ispirazione religiosa, laica, liberale. Questo centrosinistra europeo ha oggi la responsabilità del Governo nella gran parte dei paesi del nostro continente. Con noi vi sono due personalità, due statisti, che rappresentano, invece, le correnti politiche, culturali più aperte e più innovative del continente americano: il Presidente degli Stati Uniti, che ha dato un grande contributo al dibattito per la ricerca delle nuove vie del riformismo, e il leader di un grande Paese emergente - come si dice -, il Brasile, che certamente porterà qui la testimonianza delle aspirazioni di grandi masse umane che guardano alla globalizzazione come ad una speranza per conquistare i diritti di cui non hanno mai goduto. Noi ci misuriamo con una sfida comune. Il mondo è più piccolo. La competizione globale mette alla frusta tutti i sistemi economici e sociali. La finanzializzazione dell'economia apre nuovi scenari e propone nuove sfide. La crescita sostenuta dall'innovazione, in particolare legata alle tecnologie dell'informazione, determina grandi possibilità, ma approfondisce anche le distanze tra i Paesi più avanzati e quelli che non riescono a tenere il ritmo del cambiamento. Noi ci riconosciamo in una visione di questa sfida che rifiuta la paura, la chiusura nazionalistica, l'illusione di chi pensa di potersi sottrarre ai nuovi interrogativi e ai cambiamenti necessari, ma nello stesso tempo ci riconosciamo in una visione che non affida esclusivamente al mercato la soluzione di questi problemi, che ritiene che vi sia uno spazio della politica per fare in modo che la globalizzazione liberi le sue opportunità e che siano contrastati i pericoli. Le opportunità sono evidenti: possibilità di crescita, di miglioramento della qualità della vita. Nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo, negli ultimi vent'anni, le aspettative di vita sono passate da 42 a 62 anni, e vivere a lungo è forse l'aspirazione più elementare dell'uomo. Anche i pericoli sono evidenti: pericoli di instabilità, di nuovi conflitti, di diseguaglianze, pericoli di una ricchezza concentrata nelle mani di pochi, e di una grande massa di esclusi. Per affrontare questa sfida occorre un riformismo coraggioso, radicale nell'indicazione dei valori e degli obiettivi, flessibile e pragmatico nell'individuazione delle ricette, delle soluzioni necessariamente diverse in relazione alle diverse esperienze nazionali