60° anniversario dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, in consiglio prolusione del professor Allegretti
Questo il testo dell'intervento del professor Allegretti questa mattina in consiglio comunale:«E' profondamente giusto che il consiglio comunale di Firenze, al pari delle alte assemblee democratiche, commemori il sessantesimo anniversario dell'approvazione della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo . Ma bisogna subito dire che questa commemorazione deve essere una celebrazione, sicuramente, perché la Dichiarazione segna l'inizio non più che l'inizio di una nuova e non finita storia del mondo; ma deve essere anche un esame di coscienza e una presa di responsabilità per il futuro di fronte a una situazione del mondo attuale assolutamente drammatica. La Dichiarazione fu approvata dall'Assemblea delle Nazioni Unite alla fine dello stesso anno il 1948 nel quale entrò in vigore la Costituzione italiana. L'accostamento tra i due documenti non è casuale: entrambi sono il frutto dello stesso spirito, dello stesso "grande fatto globale, cioè i sei anni della seconda guerra mondiale", come per le origini e i fondamenti della nostra costituzione ebbe a dire Giuseppe Dossetti nel 1994. La terribile guerra e gli eventi che la avevano preceduta e causata la prima guerra mondiale stessa, la "grande crisi" che aveva travolto l'economia mondiale nel 1929 e anni seguenti, il drammatico trionfo dei regimi fascisti e nazista generarono infatti a livello globale la rinascita d'una profonda, più profonda che nel passato, riflessione sulla condizione umana che portò alla volontà di creare un nuovo assetto per molti paesi e per tutto il mondo. La Costituzione è per l'Italia la conquista di un ordinamento fondato sui diritti fondamentali dell'essere umano e sulla democrazia politica ed economica; la Dichiarazione segna "la proiezione dei diritti umani sanciti dalle costituzioni democratiche sul piano internazionale" (A. Cassese), inaugurando così una nuova fase della vita del mondo e una nuova concezione del diritto internazionale che, da ordinamento che ha per soggetti solo gli Stati tende a trasformarsi in un sistema in cui l'uomo è esso stesso soggetto, con i suoi diritti e i suoi doveri. Non si trattò tuttavia d'un passo facile. Sebbene la Carta delle Nazioni unite, approvata nel 1945, avesse già prefigurato questo nuovo orizzonte affermando nel suo preambolo "la fede nei diritti fondamentali dell'uomo, nella dignità e nel valore della persona umana", avesse per conseguenza posto nell'art. 1.3 tra i compiti della nuova Organizzazione quello di "promuovere e incoraggiare il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali" e avesse ribadito questo compito in molti articoli, tra cui il 55 e il 68 che affidava quel compito a un apposito organo, il Consiglio economico e sociale, tuttavia il cammino di elaborazione e approvazione della Dichiarazione, pur subito iniziato in seno alle Nazioni Unite, non fu breve né senza ostacoli. Fu soprattutto il grande sforzo di alcuni esponenti degli Stati Uniti, tra cui primeggiò la vedova di Roosevelt Eleanore, e francesi, tra i quali particolarmente Réné Cassin, che aiutò a superare le differenti concezioni che divisero subito gli occidentali - favorevoli, ma dapprima legati a una visione strettamente liberale dei diritti dell'uomo svalutante i diritti sociali - e i paesi socialisti (tesi a contestare le mistificazioni che essi vedevano nell'affermazione puramente individualistica e astratta dei diritti umani di matrice occidentale e forse presi, come più tardi dimostrarono, dal timore di ingerenze sulla loro sovranità interna). Fu importante la posizione dei paesi latino-americani, che pesarono nel senso dell'introduzione di una serie di diritti economico-sociali, che avevano del resto la loro base nella celebre dichiarazione di Roosevelt e nella Carta Atlantica del 1941 che sancivano fra le altre la "libertà dal bisogno". Alla fine la Dichiarazione non ricevette voti contrari ma solo otto astensioni sui 58 membri delle Nazioni Unite di allora.Così essa dà il più ampio sviluppo alle libertà civili, dettagliandole talora di più che le costituzioni nazionali, per esempio vietando la tortura, la schiavitù, stabilendo molti particolari della tutela giudiziaria e dell'informazione, e sancisce i diritti politici "di partecipare al governo del proprio paese" e di "periodiche e veritiere elezioni". Ma contiene anche la proclamazione di essenziali diritti umani che nel contempo entravano nelle costituzioni e nelle politiche degli stati sociali: il "diritto alla sicurezza sociale e alla realizzazione dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili" alla "dignità e al libero sviluppo della personalità", e specificamente al lavoro, "a un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della famiglia", "all'alimentazione, al vestiario, all'abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari", "alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia", all'istruzione, e in funzione di questo all'organizzazione sindacale libera (non però allo sciopero) e così via.L'importanza della Dichiarazione come matrice e spinta per uno sviluppo a livello internazionale e per un travaso dei suoi principi a livello dei vari paesi, inclusi quelli che non riconoscevano la fondamentalità dei diritti umani e di quelli che si sarebbero creati con la decolonizzazione, è stata innegabile e preziosa nel tempo che è seguito, sebbene il cammino così inaugurato sia stato anche più lento di quello che aveva portato alla sua proclamazione. Sul piano dell'efficacia giuridica, quella lentezza fu dovuta al fatto che essa, come in genere gli atti solenni dal massimo organo delle Nazioni Unite, è dotata della forza e in pari tempo della debolezza di una pura "raccomandazione" non direttamente vincolante (oggi, la diremmo dotata della mera efficacia propria delle forme di "soft law"). Sul piano politico, alle difficoltà di un processo che vedeva innanzi tutto la conflittualità della guerra fredda e poi molti problemi di una incompleta uscita dall'età coloniale e di una grave differenza di status tra il Nord e il Sud del mondo.Così, è solo nel 1966 che si arriva alla approvazione dei due grandi Patti internazionali, quello sui Diritti civili e politici e quello sui Diritti economici, sociali e culturali entrati in vigore per i paesi che li hanno ratificati soltanto dieci anni dopo ( e tra l'altro tardi ratificato il primo dagli Stati Uniti e mai finora il secondo) che sono lo strumento primario attraverso il quale i diritti contemplati nella Dichiarazione assumono carattere vincolante. Sebbene col secondo di essi si cerchi di dare un riconoscimento anche ai diritti sociali dei singoli, si arena presto la dimensione collettiva esigita da un ordinamento economico e sociale che li renda effettivamente praticabili. Quest'orientamento fu sostenuto dal Terzo Mondo e accolto in sede di Nazioni Unite, sia pure solo maggioritariamente, con la Dichiarazione e il Programma di azione per l'instaurazione di un nuovo ordine economico internazionale e con la Carta dei diritti e doveri economici degli Stati adottate negli anni settanta. Esso non ha però generato atti operativi sufficienti, anzi fu contraddetto e abbandonato con l'affermarsi delle modifiche di prospettiva legate all'ordine economico liberista affermatosi subito dopo, anche se certi aspetti furono poi ribaditi dalla Dichiarazione del Millennio dell'anno 2000.Sulla scia della Dichiarazione e dei suoi seguiti, si succedono molti altri atti internazionali in materia di diritti umani, che fanno parlare dell'età che è seguita come di una "età dei diritti" (Bobbio). Come Bobbio ha per tutti sintetizzato, questi atti, ormai numerosissimi, hanno da un lato un carattere "settoriale" o "specializzato" si riferiscono cioè di volta in volta ai diritti del fanciullo, della donna, dei detenuti, o sono rivolti contro la discriminazione razziale, la tortura e i trattamenti crudeli, disumani e degradanti ecc. e dall'altro lato una delimitazione "regionale", cioè sono stipulati in un continente solo e hanno efficacia per i paesi di quel continente. Tra questi, ha aperto la strada la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma nel 1950 e più volte aggiornata.Questi atti, tutti importanti e apportatori di sviluppi ulteriori sia sul piano internazionale che sul piano interno, hanno però un'efficacia diretta molto diversa secondo che appartengono alla categoria delle Convenzioni, che costituiscono veri e propri trattati internazionali, vincolanti gli Stati che li hanno sottoscritti e ratificati, o hanno invece l'efficacia di soft law, come sono le risoluzioni approvate dall'Assemblea delle Nazioni Unite. Inoltre, anche i trattati più significativi raramente si spingono a dare ai diritti umani garanzie precise, quale quella della istituzione di un giudice internazionale capace di decidere con forza obbligante le controversie sulle loro violazioni (come fa la Convenzione europea), ma si limitano a dar vita a meccanismi di tutela o controllo molto più deboli, come la creazione di Comitati a cui gli Stati, e più raramente gli individui, possono reclamare per una pronuncia che non ha però carattere operativo tipico il Comitato creato presso le Nazioni Unite dal Patto sui diritti civili e politici o addirittura soltanto l'obbligo degli stati di presentare a un organo internazionale semplici rapporti sullo stato delle questioni al suo interno.Molti dunque i limiti e i condizionamenti, e tuttavia l'itinerario inaugurato dalla Dichiarazione e il riconoscimento generale che esso ha dato sul piano mondiale alla natura dei diritti dell'uomo come base della convivenza internazionale e della vita interna di tutti i popoli è stato ed è fondamentale. Significativo il fatto che anche le culture che hanno riserve sulla conformazione troppo "individualistica" e "occidentale" dei diritti umani così come formulati nella Dichiarazione e nella maggior parte degli atti che la seguono li accettano anche se intendono ruotarne quanto possibile il senso introducendo l'appello al carattere collettivo e alle tradizioni come componente di essi: così la Dichiarazione asiatica, quella africana, quella islamica.Non ci si può però fermare qui, senza rilevare un lato molto meno ottimistico e celebrativo di tutto il corso storico inaugurato dalla Dichiarazione.Nonostante le ripetute proclamazioni i diritti dell'uomo sono oggetto di grandi e spesso sistematiche violazioni, alcune anche nei paesi che maggiormente hanno operato e operano per la loro affermazione teorica. Tutte le commemorazioni lo hanno in questi giorni ovviamente osservato.Ma non può essere omessa una precisazione a questo rilievo, che colga il lato più preoccupante di questo stato di cose. Questo non consiste sia detto con tutta la consapevolezza della loro gravità nelle innumerevoli "violazioni di fatto" compiute da governi, da gruppi, da singoli, e che non trovano sufficiente riparazione. Il lato più preoccupante - che occorre che noi sappiamo riconoscere per poterlo superare - è dato dal fatto che violazioni sistemiche sono compiute non con i soli comportamenti ma con quei moltissimi atti di diritto internazionale e di diritto interno che entrano in contraddizione diretta con le risoluzioni, le convenzioni e le stesse costituzioni degli Stati; una contraddittorietà che l'età della globalizzazione che è la nostra ha assolutamente generalizzato.Questa serie di violazioni che avviene per via giuridica e normativa è infatti particolarmente grave perché costituisce, anche per il futuro, la edificazione di un sistema complessivo in flagrante e farisaica duplicità di struttura. Da un lato, i diritti umani continuano a essere celebrati come la base stessa della vita umana sulla terra; dall'altro si consolida un contesto di provvedimenti economici, bellici e di sopraffazione oligarchica che è il contrario degli ideali di libertà, uguaglianza e fraternità da cui il credo dei diritti procede e con le quattro libertà rooseveltiana - di libertà di pensiero, di fede religiosa, dal bisogno e dalla paura - che scatenarono la fase forte della proclamazione postbellica.Fame e condizioni economiche lesive della dignità umana, guerra e violenza, ostilità alle culture "altre" i tre drammi permanenti del nostro tempo costituiscono quella netta contraddizione, e non sono solo il prodotto di una spinta fattuale, ma provengono e sono sostenuti da un insieme di decisioni politiche e giuridiche. Tra di esse primeggiano gli orientamenti economici eccessivamente liberisti maturati a partire dagli anni settanta, la legittimazione della guerra ritrovata dopo il 1989, l'insieme di atteggiamenti contrari all'interculturalità e alla fecondazione reciproca delle culture che si è accentuato nel nostro decennio, senza contare i passi indietro perfino sulle libertà più classiche. Nel primo campo stanno la serie di misure di trattato e di legge che hanno liberalizzato in modi estremi la finanza speculativa, con conseguenze che l'attuale crisi economica manifesta davanti a tutti, e hanno in particolare imposto ai paesi del Sud provvedimenti gravemente lesivi del loro sviluppo attraverso i programmi di aggiustamento del FMI e della Banca mondiale e scambi squilibrati tramite la WTO. Nel secondo, decisioni di guerre infondate come quella all'Iraq o improduttive come quella in Afghanistan e misure contro il terrorismo che non di rado attentano alle libertà più classiche. Nel terzo, le misure discriminatorie adottate in materia di immigrazione e di trattamento ostile delle religioni non originarie del singolo paese e anche i provvedimenti in materia di scuola, di mezzi di comunicazione di massa propri di tanti paesi che fanno spesso arretrare la elevazione culturale di tutti gli strati di popolazione. Nel quarto campo, basta ricordare la persistenza della pena di morte anche in paesi come gli Stati Uniti, l'omissione in Italia di una legge contro la tortura (che ha reso possibile la tenuità delle pene per gli abusi di Bolzaneto), le misure carcerarie lesive della dignità umana come quelle perpetrate a Guantanamo.Una conclusione, allora, si impone. I diritti umani sono una grande conquista dell'umanità, un campo di consapevolezza e di progresso. E tuttavia sono terreno di continua, grave contraddizione. Non dobbiamo assolutamente dire, come fanno certuni, che sono per questo privi di valore e intrinsecamente menzogneri, ma che come tutte le cose umane e quelle del diritto in particolare sono duplici e ambigui. Come manifesta il richiamarsi a essi di movimenti di opinione e di lotta in tutto il mondo essi hanno un grande valore di presa di coscienza e di strumenti di progresso, e guai se fossero abbandonati. Ma certo le loro massicce violazioni e più ancora le grandi dimensioni delle legislazioni, delle omissioni legislative, dei trattati e delle misure nazionali e di organizzazioni internazionali incoerenti con la loro tutela, sono manifestazioni che accusano le classi politiche, i gestori dell'economia e anche gli operatori culturali che non ne fanno oggetto della loro prassi quotidiana. E che devono portarli portarci - a un diverso corso di azione per il futuro.Saremo noi stessi contraddittori e menzogneri se oggi non assumessimo ciascuno un impegno a questo fine».(fn)