Università, Nardella (PD): «Ripristinare una situazione economico-finanziaria sostenibile per gli atenei»

Questo il testo dell'intervento del consigliere l'intervento del consigliere del gruppo del Partito Democratico Dario Nardella«Signor presidente, cari colleghi, magnifico rettore, signori docenti, cari studenti, dopo quattro anni il consiglio comunale torna a discutere in un dibattito aperto sullo stato dell'università italiana e dell'ateneo di Firenze in particolare.In quella seduta si parlò di centralità del sistema universitario e il consiglio comunale decise correttamente di esercitare le proprie competenze verso un tema che, oltre ad avere aspetti di carattere nazionale, presenta elementi di forte concretezza connessi alla vita dell'ateneo nel territorio in cui opera.Questa sede, pertanto, è ben legittimata a trattare i problemi dell'Università partendo anzitutto dalla dimensione locale, ma guardando allo stesso tempo alla cornice giuridica nazionale di riferimento, nella consapevolezza che l'uno aspetto dipende dall'altro e viceversa.La centralità dell'ateneo e del sistema di ricerca ad esso collegato per la vita della nostra città è evidente, ma non sempre sottolineata dalle istituzioni. Stiamo parlando infatti della più grande istituzione pubblica dopo il Comune presente in questo territorio, che attiva, stando all'ultimo bilancio sociale presentato, 1500 posti di lavoro nell'ambito provinciale, con un bilancio di circa 400 milioni di euro; un centro intorno al quale orbitano quasi 100.000 persone, tra indotto e attività dirette, di cui 60.000 studenti (due terzi dei quali provenienti da fuori la provincia di Firenze); un complesso di strutture che può contare su 2500 ricercatori, una rete di rapporti con 150 centri universitari di tutto il mondo. In questi ultimi anni l'Università di Firenze è stata al centro di quella che oggi resta una delle più importanti trasformazioni urbanistiche del nostro territorio dal dopoguerra ad oggi. La riorganizzazione nei 4 poli ripartiti per aree tematiche (Novoli, Careggi, Sesto, Centro storico) ha interessato interi quartieri puntando alla loro riqualificazione e ad un loro ripensamento in termini funzionali ed economici anche nel contesto metropolitano e non solo comunale. Si tratta di dati che spiegano anche la forte incidenza del sistema universitario nella pianificazione urbanistica della nostra città, come dimostrato dai contenuti del piano strutturale, che il consiglio comunale sarà chiamato ad approvare: una risposta efficace anche al problema della rendita immobiliare e degli affitti a nero agli studenti.Parlare della nostra università vuol dire dunque parlare della città: vi è un legame indissolubile fatto di dati economici e culturali oggettivi e strutturali.Questo nuovo sistema universitario fiorentino, più moderno e più funzionale, richiede tuttavia costi aggiuntivi, nuove risorse, un impegno istituzionale, interno ed esterno ancor più incisivo. Come è noto la situazione economico-finanziaria dell'ateneo è oggi in grande sofferenza. Il bilancio consuntivo del 2007 si è chiuso con un disavanzo di 21 milioni di euro, che, sommato a quello degli anni scorsi, arriva a 45 milioni di euro. Le previsioni finanziarie fatte dall'ateneo per il 2007 – 2011, già preoccupanti, oggi non sono più attuali perché si infrangono in modo drammatico di fronte alle misure e ai tagli contenuti nella legge 133, di conversione del numero 112 dello scorso 25 giugno. In esso vi è una serie di disposizioni che cambia in profondità l'assetto dell'Università pubblica italiana accelerandone di fatto la crisi e la definitiva decadenza.In questa legge si prospettano misure che mettono letteralmente in ginocchio gli atenei italiani: si blocca il turn over con la previsione di assunzioni nei limiti del 20% per il triennio 2009 / 2011 e del 50% a partire dal 2012. Questo significa per la nostra Università fermare il reclutamento, ovvero la sua stessa ragion d'essere: perdonate il paragone, forse irriverente, ma sarebbe come impedire ad una squadra di calcio di comprare nuovi giocatori per quattro anni.Se questi provvedimenti non verranno modificati, nei prossimi due anni gli atenei si vedranno trasferiti dallo Stato circa 600 milioni di euro in meno, su una disponibilità complessiva cioè, che non arriva a sette miliardi di euro, un primato già negativo tra i paesi europei più avanzati. Questa misura è stata definita da autorevoli esponenti del mondo universitario una vera e propria bomba ad orologeria, pronta ad esplodere, "innescata non in conseguenza della crisi dei mercati finanziari, ma già da prima e a freddo, con l'unico effetto di creare un'ennesima e gravissima emergenza, un altro stato d'eccezione scaraventato sulle famiglie italiane, soprattutto sulle giovani generazioni il cui futuro si mette così a rischio in modo irresponsabile" (A. Schiavone, La Repubblica, 30.10.2008).La possibilità prevista dalla legge che le Università possano costituirsi, su base volontaria, in fondazioni di diritto privato, costituisce un argomento serio sul quale varrebbe la pena confrontarsi, ma che non ha alcun senso proposto in un contesto di tagli così pesanti, se non quello di una sorta di ricatto per gli atenei che tenteranno di sfuggire alla prospettiva di scomparire. Noi riteniamo comunque che la trasformazione in fondazione di alcuni atenei non modifichi un assetto generalmente pubblico del sistema universitario e della ricerca, che ne garantisca l'autonomia, come stabilito dalla Costituzione e non riproponga un modello accentrato e verticistico.Ci sarebbero dunque tutti i termini per un confronto serio e democratico che punti a cambiare un'università i cui limiti sono oggi sotto gli occhi di tutti e finalmente riconosciuti anche da ampia parte del corpo docente. Sono chiari i punti nodali su cui si dovrebbe e potrebbe lavorare, come è stato suggerito da più parti, in documenti, proposte, dossier. Mi riferisco ad punti chiari che elenco solo per brevità: la stabilità; la qualità; la valutazione, su cui niente si dice nella legge; la differenziazione e la chiarezza di ruoli e responsabilità; la pubblicità e trasparenza, a partire dai concorsi; i rapporti attivi con gli enti territoriali; la collegialità di governo e di responsabilità congiunte; la razionalizzazione dei corsi di laurea e del processo di decentramento e spezzettamento delle sedi universitarie; infine la mobilità, in una situazione dove pesa troppo l'eccessiva località e stanzialità.Tutto ciò vale naturalmente anche per il nostro Ateneo, uno dei più importanti e grandi del Paese. In questi anni l'Università fiorentina ha dimostrato di voler collaborare fattivamente con l'amministrazione comunale ed ha avviato un processo di autoregolamentazione con l'approvazione del codice etico e il varo del bilancio sociale. Senza voler entrare nel merito di un ordinamento estraneo a quello degli enti locali, ci limitiamo ad osservare che si tratta di misure necessarie, ma non sufficienti a cambiare il volto di un ateneo dove, ad esempio, il rapporto tra ricercatori e professori ordinari è quasi rovesciato rispetto alla media nazionale, dove il costo del personale incide in misura superiore alla media nazionale, dove le prospettive dei costi di gestione dei nuovi poli (alcuni dei quali in via di completamento) sono economicamente assai onerose e al di sopra delle possibilità, senza considerare l'eccessiva articolazione delle sedi distaccate, che oggi sono divise tra Prato, Empoli, Pistoia, San Casciano in Val di Pesa e Vinci, dove infine i rapporti con il sistema imprenditoriale non hanno ancora raggiunto livelli virtuosi.E' chiaro, tuttavia, che, stante questo quadro nazionale, risulta perfino inutile provare a sedersi intorno ad un tavolo per aggredire i problemi più radicati e urgenti della nostra Università. Le ultime notizie che ci giungono sono a dir poco allarmanti (riduzione 30% dei dottorati, taglio del 40-45% ai fondi sugli assegni di ricerca) così come la prospettiva di arrivare nel 2009 con un ipotetico disavanzo di 50 milioni di euro che vorrebbe dire la fine del nostro Ateneo.Cosa fare dunque di fronte ad una situazione così grave? Seppure la congiuntura economica di oggi è tra le più gravi degli ultimi trent'anni, dobbiamo impegnarci per trovare alcuni margini di operatività a partire dal livello locale e regionale. Ci riferiamo anzitutto alla presenza attiva delle fondazioni bancarie operanti nel territorio provinciale e regionale e al ruolo di guida che può assumere la Regione toscana. Di fronte ad una situazione di emergenza sarà indispensabile valutare la definizione di un vero e proprio patto tra questi soggetti, pubblici e privati e il sistema delle università. La Regione ha già il merito di aver sollecitato la costituzione di un sistema universitario regionale, sulla base di un protocollo di intesa e di successivi accordi bilaterali e multilaterali, che hanno al centro la creazione di una politica pubblica per l'università su scala regionale, dove è possibile individuare soluzioni di razionalizzazione delle spese, di concentrazione delle energie e di concertazioni di azioni comuni nella ricerca e nella didattica. In questo quadro già rilevante sarebbe fondamentale un ulteriore intervento della Regione che preveda la disponibilità di risorse maggiori al sistema dell'università e della ricerca, che potrebbero essere attinte eventualmente dal fondo sociale europeo per la formazione.La disponibilità al confronto tra i diversi schieramenti politici deve essere vera e chiara. Ma altrettanto chiare devono essere almeno due premesse: in primo luogo la necessità di un confronto aperto in Parlamento, come ha chiesto anche il Presidente della Repubblica, e non a suon di decreti-legge e con tutti gli attori del mondo universitario, a partire dagli studenti e dai docenti.La seconda condizione è che venga ripristinata una situazione economico-finanziaria nazionale sostenibile per gli atenei, senza la quale sarà del tutto inutile avanzare qualunque proposta di riforma. Solo così si possono giustamente pretendere politiche virtuose e cambiamenti incisivi nei modelli di gestione alle stesse università.Cari colleghi, non si deve sfuggire ad una proposta di cambiamento e di riforma anche coraggiosa, di cui abbiamo assoluto bisogno perché l'Università cosi' com'è non va bene, ma non si leva l'ossigeno o il sangue al paziente malato se lo si vuole davvero curare o operare.Del resto non può e non deve bastare la giustificazione legata all'attuale gravissima congiuntura economica che attraversa anche l'Italia. Il nostro Paese ha bisogno di conoscenza, ha bisogno di risorse umane qualificate e competitive. Ce lo chiede la competizione globale, dove la società della conoscenza detta le regole principali; ce lo chiede l'Unione Europea con le strategie di Lisbona del 2001; ce lo chiede il nostro Paese, che non ha altre risorse sulle quali scommettere se non quelle della competenza, della professionalità, della creatività, dell'invenzione».(fn)