Università, Nocentini (PRC): «Dibattito serio in tutto il Paese, cercando il contributo di studenti e docenti»
Questo il testo di Anna Nocentini, capogruppo di Rifondazione Comunista:«Noi discutemmo 4 anni fa in quest'aula sul rapporto università/ città, ma molti temi emersero dagli interventi, e dalla relazione del collega Nardella: lo stato dell'ateneo, la democrazia negli organi accademici, la funzione sociale dell'università, e ancora le regole di accesso e la precarietà.Oggi ce li ritroviamo tutti davanti questi temi, aggravati da un attacco che il governo porta avanti a colpi di decreti e di maggioranze, senza alcun confronto nel parlamento ma più che altro nelle scuole e università e nel paese.Non abbiamo fatto molto per evitare tutto questo, né a livello nazionale né a livello locale: posso dire che la politica di assunzioni in ateneo non è sostanzialmente modificata? Che i corsi di laurea con pochissimi studenti ci sono anche a firenze? Che molta didattica si fa con ricercatori precari anche a Firenze?che anche per il nostro ateneo non mancano pagine di giornali con storie di clientele e di nepotismo poco edificanti? Posso dire che anche nel nostro ateneo si è sentito il fascino dell'eccellenza, creando così percorsi paralleli, che di conseguenza dequalificano i corsi istituzionali? Che qualche anno fa la protesta dei rettori dimissionari ebbe più ilsapore di una difesa lobbistica che di una difesa della funzione e del ruolo dell'università? Che non abbiamo usato dell'autonomia per sviluppare le potenzialità legate al territorio, e ancora che i vari ministri che si sono succeduti non hanno per nulla affrontato le questioni della qualità, dell'inquadramento e del ricambio dei docenti e della funzione sociale dell'università? E che ancora l'università ha continuato a vivere in modo autoreferenziale,slegata dai processi di trasformazione del lavoro, di trasformazione delle città e della vita e che ha cercato la propria legittimazione ancora e ancora nella lobby dei docenti che sono stati categoria molto rappresentata nel nostro parlamento?E tuttavia quello che sta accadendo con i provvedimenti di questo governo non parte e non si misura con questi problemi, li annulla attraverso la distruzione stessa del soggetto, l'università e la scuola pubblica.Non sono d'accordo con chi sostiene che non vi sia bisogno di riforma dell'università e che tutto si può ridurre a questione etica, (la politologa Nadia Urbinati sul Manifesto), così come non sono d'accordo con chi si inventa, improvvisamente, dieci regole per l'università, forse per stare al passo con una contestazione che non aveva previsto e che certo non sa rappresentare politicamente.C'è bisogno di aprire un tempo di discussione nel paese, e con i soggetti più direttamente coinvolti, che metta al centro la questione della formazione e della trasmissione dei saperi ma che sia anche fortemente connesso con le trasformazioni della società, con i processi sul lavoro, i nuovi bisogni e i nuovi imperativi: la formazione deve improntarsi alle necessità incalzanti della nostra quotidianità locale e globale, misurarsi con i milioni di esseri umani affamati, con le guerre usate come motore di economia, con la scarsità delle risorse, con la salvaguardia dei beni comuni ecc. senza questa prospettiva ampia l'università è destinata a morire, almeno nella funzione di luogo di formazione e di crescita di un popolo.E non è questo che affermano gli studenti quando dicono "Noi non pagheremo questa crisi"?Sanno che da sempre i più deboli hanno pagato le crisi economiche e sanno di essere loro i deboli perché senza futuro. E a questo si oppongono, si ribellano in prima persona: rifiutano il gioco della competitività fra deboli per l'affermazione del singolo, fanno giustamente del problema personale un problema politico e annunciano di aver preso consapevolezza che la crisi dell'università è interna alla crisi complessiva del paese e del sistema liberista, bellicista, devastante della vita degli uomini e del pianeta. Nello specifico sanno che questi provvedimenti sull'università determineranno l'aumento insostenibile delle tasse per loro e la totale dipendenza dell'organizzazione della didattica e della ricerca dagli interessi delle multinazionali: quindi selezione per censo e percorsi già predeterminati. Ma da giovani non ci rassegna così facilmente a sentire la propria vita già così segnata, definita da altri.Quindi, il nostro senso di responsabilità per il futuro del Paese ha strade segnate: promuovere un dibattito e una riflessione ampia nel Paese, consentire a questi giovani e ai docenti con loro di dare il massimo contributo di intelligenza, conoscenza e fantasia, non considerali "bamboccioni" perditempo e più che altro non minacciarli con interventi restauratori dell'ordine, un ordine che non sa più tutelare il diritti costituzionali ai propri cittadini».(fn)