Università, Giocoli (FI-PdL): «Dissolvere i falsi miti e sostituirli con uno sforzo per riformare il sistema»

Questo il testo dell'intervento di Bianca Maria Giocoli, capogruppo di Forza Italia-PdL:«Cominciamo con lo sfatare due falsi miti relativi all'Università italiana. Il primo mito è quello della bassa spesa pubblica per ogni studente universitario. Il secondo è quello dell'equità sociale che sarebbe garantita dall'odierno funzionamento del sistema universitario. Si tratta appunto di due falsi miti. In un libro recentissimo, L'Università truccata, un professore della Bocconi, l'economista Roberto Perotti – che certo non può essere accusato di essere vicino alle posizioni politiche del centrodestra, né tantomeno di essere un berlusconiano, essendo invece dichiaratamente di sinistra – Roberto Perotti, dicevo, ha demolito questi ed altri miti che circolano sulla nostra università.Cominciamo dalla spesa pubblica. Si sente molto spesso dire che lo Stato italiano spenderebbe poco, molto poco per l'Università e che in termini di spesa pubblica pro-capite per ciascuno studente universitario il nostro paese sarebbe ben al di sotto della media dei paesi OCSE, a livello di nazioni come l'Ungheria o la Corea. Sul Giornale di oggi, tanto per dimostrare che si tratta di un falso mito comune sia a destra che a sinistra, una simile tesi è sostenuta anche da Vittorio Sgarbi. Ebbene, si tratta di una notizia semplicemente falsa. I dati citati da Sgarbi così come da molti studenti e professori che manifestano in questi giorni contro il governo sono infatti calcolati dividendo la spesa pubblica per l'Università per il totale degli studenti iscritti. Ma è conoscenza comune che nelle nostre facoltà esiste un grandissimo numero di studenti fuori corso, lavoratori e part-time. Per tenere conto di questo fatto nelle statistiche internazionali si utilizza il concetto di "studente a tempo pieno equivalente", ovvero si pesa il numero degli studenti per il numero di corsi frequentati o di esami sostenuti. E' evidente, infatti, che uno studente che non frequenta e non sostiene esami non grava in alcun modo sulle strutture universitarie e quindi non gli si può dare lo stesso peso rispetto ad uno studente che frequenta regolarmente e sostiene i dovuti esami. Ebbene, utilizzando tale misura di "studenti equivalenti a tempo pieno", che, ripeto, è quella comunemente utilizzata in tutte le statistiche internazionali, viene fuori la prima sorpresa: l'Italia non è affatto in coda alla classifica, ma anzi, in termini di spesa pubblica pro-capite, è al quarto posto mondiale, dietro ai soli Stati Uniti, Svezia e Svizzera. Non è vero dunque che l'Italia spende poco per l'Università, caso mai si spende male. Il primo falso mito si dissolve.Il secondo falso mito è la tesi secondo cui il funzionamento attuale dell'Università pubblica, sia pur tra tanti difetti, garantisce comunque l'accesso agli studi ai "capaci e meritevoli", come recita la nostra Costituzione a prescindere dal loro reddito, ovvero svolge un ruolo di indispensabile equità sociale, obiettivo che qualsiasi progressista degno di tal nome dovrebbe auspicare. In realtà, come dimostra sempre Perotti nel libro citato, l'attuale sistema di accesso agli studi universitari è il più grande meccanismo regressivo, sì, avete capito bene, regressivo, esistente nella nostra società. Un dato per tutti. In Italia, secondo dati della Banca d'Italia, un quarto degli studenti universitari proviene dal 20% più ricco delle famiglie italiane e solo l'8% proviene dal 20% più povero. Al Sud la situazione è ancora peggiore, perché a fronte di un 28% che proviene dalle famiglie più ricche, solo il 4% proviene da quelle più povere. Nei famigerati Stati Uniti, additati dai partecipanti ai cortei come il peggior esempio dell'Università d'elite, per i soli ricchi, insomma, ebbene, negli USA sempre un quarto degli studenti proviene dal 20% di famiglie più ricche, ma il 13% proviene da quelle più povere. Ripeto: il 13%, ovvero più di una volta e mezzo rispetto al "progressista" e "solidaristico" sistema di accesso universitario italiano e il triplo rispetto a quanto avviene nelle nostre regioni meridionali. Per intendersi ancora meglio, in un ateneo italiano, ogni 3,5 studenti provenienti da famiglie agiate ne trovate solo uno proveniente da famiglie povere, in un ateneo del Sud Italia ogni sette studenti ricchi ne trovate uno solo povero, mentre nei terribili e vituperati Stati Uniti trovate uno studente povero ogni due studenti ricchi. E questo sarebbe il sistema "perfetto", progressista e egalitario che gli studenti e, peggio ancora, gli esimi professori di sinistra vorrebbero mantenere immutato? Questo sarebbe il sistema da difendere con manifestazioni di piazza contro l'Università dei soli ricchi? Ma mi facciano il piacere, direbbe Totò. In realtà il meccanismo di accesso all'Università italiana funziona in modo molto semplice e perfettamente regressivo: i rampolli delle famiglie ricche ottengono il servizio dell'istruzione universitaria praticamente gratis, o quasi, a spese della collettività, ovvero a spese delle tasse pagate anche da quelle famiglie povere che i loro figli, all'Università, mantenendo questo sistema, non riusciranno a mandarceli praticamente mai!Falsi miti come questi ce ne sono purtroppo tanti nell'Università italiana ed è triste vedere come non solo gli studenti, ma soprattutto i loro docenti, il cui compito dovrebbe proprio consistere nel contribuire a sfatare tali miti, non riescono ad affrancarsene. Ma fatemi concludere con qualche parole sulle Fondazioni.Come noto, la legge 133 dà la facoltà agli Atenei di trasformarsi in fondazioni di diritto privato. Una delle principali proteste provenienti dal mondo accademico sostiene che, visti i tagli previsti nei prossimi anni al fondo di finanziamento per l'Università, di fatto si tratterebbe più di un obbligo che di una facoltà, stante l'impossibilità di garantire il funzionamento degli Atenei con una simile riduzione della dotazione. Ma, si afferma, in molte realtà il passaggio a fondazione sarebbe impossibile a causa della mancanza di sponsor privati e comunque per una certa ritrosia delle imprese italiane ad investire nella ricerca. Per cui si protesta e si dice semplicemente un "no alle fondazioni". Quello però che non ho sentito dire a nessun rettore, e che invece mi sembrerebbe una premessa indispensabile a qualsiasi valutazione della 133, è un serio e sereno discorso sulle prospettive che i singoli atenei avrebbero nel caso, poniamo del tutto ipotetico, del passaggio a fondazione.Prendiamo il caso di Firenze. Con il passaggio a fondazione l'Ateneo verrebbe a possedere una dotazione patrimoniale formidabile: una serie di edifici prestigiosissimi il cui valore di mercato non credo possa essere inferiore a varie decine, se non centinaia, di milioni di euro. Quanto vale, per dire, il complesso di Piazza San Marco? Ad esso potrebbero aggiungersi altri immobili che potrebbero essere conferiti all'Università dagli enti locali nel caso volessero entrare a far parte della fondazione. Il tutto, badate bene, senza ancora aver nominato la possibilità di ingresso di imprese ed enti privati, come p.e. le fondazioni bancarie (ricordo solo che secondo la 133 qualsiasi donazione o conferimento alle fondazioni universitarie sarebbe esentasse).Ebbene, prima di dire semplicemente "no, non vogliamo le fondazioni", vogliamo discutere pacatamente su quali sarebbero le prospettive di una fondazione così ricca? Siamo proprio sicuri che un simile patrimonio, messo opportunamente a reddito, non sarebbe sufficiente ad assicurare il regolare funzionamento dell'Università fiorentina, magari abbinato ad una riduzione degli sprechi più evidenti e ben evidenziati dalle cronache di questi giorni. E nel caso tale patrimonio non fosse sufficiente, quanto mancherebbe in concreto? Nessun professore dell'Università fiorentina si è preso la briga, prima di dire "no" e basta, di fare due conti e dirci quanto servirebbe in più? Ho il sospetto che dietro il "no" alle fondazioni vi sia in realtà un rifiuto di tipo ideologico, la volontà di difendere un sistema che, come ho cercato di spiegare, si regge su falsi miti. E' ora che questi miti vengano dissolti e che ad essi si sostituisca uno sforzo pragmatico, serio, per riformare il sistema universitario basandosi sui dati, sui fatti, non sulle leggende e le pozioni di rifiuto aprioristico. Questo è l'impegno del governo Berlusconi e questo è l'impegno che, come gruppo di FI – PDL al Comune di Firenze intendiamo sostenere con fermezza e convinzione».(fn)