Riforma Gelmini, discussione in consiglio comunale. Ecco l'intervento dell'assessore alla pubblica istruzione Daniela Lastri

Questo è l'intervento dell'assessore alla pubblica istruzione Daniela Lastri durante il consiglio comunale di oggi che ha avuto come tema la scuola e la riforma Gelmini:"Questo consiglio comunale si tiene nella città che in Italia spende di più per l'istruzione: 231 euro ad abitante, ben 2 volte e mezzo la media in più rispetto alla media nazionale. Di più e meglio, poiché è nota a tutti l'efficienza raggiunta dalla nostra amministrazione dedicata all'istruzione, la qualità raggiunta dal nostro impegno per migliorare e ammodernare le strutture, per venire incontro alle esigenze delle famiglie, per dare ai bambini e ai ragazzi occasioni formative vere e contribuire a rafforzare l'offerta formativa delle scuole.Rivendico dunque a questa amministrazione e a questo Consiglio – spesso al di là delle diverse posizioni politiche – il merito di aver scelto politiche di bilancio coerenti e incisive sul fronte dell'istruzione, di aver attivato e perseguito nel tempo politiche innovative, e di poter esibire, pur nelle ristrettezze finanziarie, risultati veramente lusinghieri.Queste scelte hanno nomi chiari e inequivocabili, di cui dovremmo essere tutti fieri: nuove scuole, concepite secondo i migliori principi costruttivi; nuovi arredi; un'attrezzatura invidiabile di asili nido e spazi educativi; una pluralità di esperienze educative presso le famiglie e gli educatori; una diffusione della scuola dell'infanzia – comunale e statale – che copre interamente la domanda; un rapporto maturo e avanzato tra pubblico e privato sociale, sostenuto dalla qualità del coordinamento pedagogico comunale; la nascita e il successo di importanti esperienze come i centri di alfabetizzazione dei bambini e dei ragazzi stranieri; un'attenzione mai venuta meno per i disabili con piani personalizzati educativi; i progetti de Le Chiavi della Città, con duemila partners pubblici e privati; i servizi di pre e psot scuola; l'estensione e la qualità dei nostri servizi mensa; l'efficienza del nostro servizio di trasporto scolastico; interventi rilevanti per l'educazione non formale degli adulti. Noi facciamo tutto questo, abbiamo fatto tutto questo, perché crediamo che il Comune ha un ruolo importante nel promuovere istruzione e conoscenza.L'istruzione – diciamo – unisce la società più di ogni altra cosa, viene incontro alle esigenze migliori della società, mette in relazione positiva il mondo degli adulti con quelli dei bambini e dei giovani, è il più potente strumento di integrazione sociale e di emancipazione, ed è la vera frontiera dello sviluppo del futuro. L'istruzione, come l'abbiamo concepita in questi anni, non è servizio marginale per i più poveri, è tema che coinvolge tutti gli strati sociali, è l'interesse pubblico e collettivo al massimo livello.Ecco: a Firenze tutto questo abbiamo cercato di farlo diventare realtà. Una realtà non priva, certamente, di problemi poiché la domanda sociale richiede sempre nuove risposte, e il dialogo tra istituzione comunale e cittadini non può restare statico.Come fa un Comune così a restare indenne dalle vicende di questi ultimi mesi? Indenni non lo siamo, perché la linea sostenuta dall'attuale Governo sulla finanza locale ci colpisce per primi; perché la scure che si abbatte oggi sulla scuola rischia di cambiare il volto della nostra vita collettiva; e perché la protesta dei giovani, degli insegnanti, degli operatori parla di questa nostra vita collettiva.Nel disegno di legge cosiddetto federalismo fiscale l'istruzione è, con la sanità e l'assistenza sociale, uno dei settori nei quali si identificano le prestazioni che costituiscono livelli essenziali e diritti di una intera collettività. Ora, il fatto è che questi livelli essenziali – con la proposta Gelmini – vengono sospinti all'indietro, ridotti e mortificati. Non voglio cadere nella trappola delle questioni medianiche su cui cerca di spostare l'attenzione (il voto in decimi, il voto di condotta, il grembiulino, ecc.). Sto all'essenziale.E l'essenziale è che non si propone di discutere come spendere meglio (noi spendiamo bene, ma al meglio non c'è mai limite), ma di spendere poco e male. Poco, visto che un paese moderno, che dovrebbe fare dell'istruzione il suo cavallo di battaglia, si propone di ridurre la spesa di 8 miliardi nei prossimi anni. E male, visto che la scure si abbatte sui fondamenti della qualità.Un Paese moderno dovrebbe impostare ogni politica di razionalizzazione della spesa per mettere in campo programmi di investimento di grande portata: generalizzazione della scuola dell'infanzia e di tutti i servizi educativi per l'infanzia; educazione degli adulti; modernizzazione dei programmi; modernizzazione delle strutture valorizzazione delle professionalità.C'è da chiedersi invece dove stiamo andando. Ed è questa la domanda che, in modo pacifico e consapevole, si sta ponendo il movimento sulla scuola, questi ragazzi e questi insegnanti che riempiono le nostre strade, che affollano le scuole, che chiedono considerazione alla domanda di istruzione. Che fanno lezione per le piazze, portando il loro lavoro e l'esperienza la fatica dell'apprendere sotto gli occhi di tutti. Invece di interpretarli come conservatori dell'esistente, il Governo dovrebbe cogliere tutte le forze di una domanda di futuro che è il seme più importante di una società che vuole cambiare.C'è da chiedersi, dicevo, dove stiamo andando. Non è poi così difficile capire. La scure sui Comuni e sulla scuola ci porta verso la privatizzazione dei bisogni di istruzione, la perdita – ricercata, voluta – di qualità dell'istruzione pubblica. E' una linea che prevede tutta la filosofia di questo Governo, che pensa di spostare sulle famiglie il carico di responsabilità sociale che uno Stato avanzato deve assumere su di sé. E il paradosso è che oggi torna a legittimare l'intervento pubblico, ma sulle banche, mentre un Paese intero chiede sicurezza nel futuro, politiche di sostegno alla domanda e, appunto, più occasioni di crescita.Bisogna fermarsi in tempo. Ritirare i provvedimenti sulla scuola. Rimettersi a ragionare per una soluzione utile per il Paese. Un paese civile e avanzato è capace, deve essere capace, di pensare al proprio sistema educativo in modo unitario, deve metterlo al sicuro dalle troppe tentazioni di farne oggetto di incursioni ideologiche. Non si può ad ogni cambio di amministrazione e Governo stravolgere la vita di milioni di famiglie, ragazzi, maestri e professori. Temo però che questo Governo non ne sia capace, E dunque spetta agli enti locali e ai Comuni e ai cittadini far sentire le ragioni della scuola e della vera domanda di istruzione.La vicenda della mozione sui bambini immigrati è emblematica, un modo di affrontare le cose – se non fosse così gravemente razzista – si coprirebbe di ridicolo. A Firenze stiamo facendo un'esperienza, i nostri centri di alfabetizzazione dentro le scuole, che se si volesse veramente capire, vedere nei risultati, basterebbe venire a fare una visita: e si capirebbe così che ad un problema vero c'è una risposta civile. Ma, mi domando, si vuole affrontare un problema oppure, come temo, si vuole solo agitarlo e sollecitare la peggiore e più degradante risposta possibile?Sono d'accordo con il professor Cardini che non è certo omogeneo all'area politica del centro sinistra – ma che reclama un cambiamento radicale della linea del Governo.Se alla scuola pubblica si tiene, se le parole contano ancora, il tempo per un ripensamento complessivo c'è. C'è soprattutto il tempo per impostare una nuova politica sulla qualità della spesa, perché se si ha come obiettivo la qualità c'è spazio per realizzare una intesa tra Stato, Regioni, Province e Comuni per indirizzare più risorse di tutti verso obiettivi di sviluppo: più risorse dunque e meglio organizzate, per fare dell'istruzione un cavallo di battaglia comune contro l'esclusione sociale e per la crescita. Se così non fosse, sarà inevitabile un confronto serrato tra ipotesi diverse. Seguiremo tutte le strade che l'ordinamento ci dà, dall'impugnazione degli atti (come ha già fatto la Regione Toscana) alla proposta di una legge di iniziativa popolare.Spetterà poi alle forze politiche fare i passi ulteriori. Conto però sul fatto che tutti, anche i parlamentari fiorentini che non si riconoscono nel centro sinistra, sappiano portare nel dibattito qualche elemento di maggiore considerazione di quello che fanno gli enti locali. Mi aspetto perciò che da questo consiglio comunale venga una presa di coscienza comune, e la difesa di un lavoro che è stato fatto avendo a cuore gli interessi di tutti i fiorentini.Nella esposizione successiva cercherò di dare conto del contenuto dei provvedimenti governativi, richiamando posizioni istituzionali sostenute unitariamente dall'Anci .Qui vorrei accennare però ad un tema di carattere finanziario, cioè all'impatto finanziario della riforma governativa sui comuni.La riforma va letta in due modi. Il primo è il rapporto con il disegno di legge sul federalismo fiscale. Non c'è dubbio che i tagli imposti dal Governo tendono a diminuire notevolmente lo spessore dei livelli essenziali delle prestazioni di istruzione. E poiché da questi livelli dipende anche la copertura finanziaria assicurata dallo Stato, più basse sono le prestazioni meno soldi arriveranno ai Comuni. Risultato previsto: molte delle prestazioni del Comune di Firenze dovranno essere assicurate dal Comune stesso con risorse proprie.Il secondo è che, seppure la riforma Gelmini non ha impatto immediato sui bilanci comunali, i risparmi di spesa previsti vanno tutti a vantaggio dello Stato, e solo in minima parte sarebbero reinvestiti nella scuola. Non ci sono risorse per coprire gli oneri TIA/TARSU, non ci sono risorse per la mensa degli insegnanti, non ci sono risorse per finanziare le dotazioni tecnologiche delle scuole o per la fornitura di servizi e opportunità per gli alunni disabili o, meno che mai, per favorire l'integrazione degli alunni stranieri. C'è solo impoverimento delle strutture, delle offerte dei servizi, della qualità della scuola.I provvedimenti della riforma intervengono in modo grave con tagli enormi sul personale, ben 87.400 docenti in meno e 44.500 personale non docente in meno nel prossimo triennio 2009 – 2012 ad iniziare dal prossimo settembre.La scuola è stata oggetto di "grande" attenzione da parte del nuovo governo.Ben due provvedimenti legislativi si sono occupati di essa: il decreto legge 25/6/2008, n. 112 convertito dalla legge 6/8/2008, n. 133, ed il decreto legge 1/09/2008 n. 137.E' in discussione uno schema di Piano Programmatico in attuazione dell'art. 64 della l. 133/2008 con il quale si rinvia ad ulteriori regolamenti attuativi.Tre considerazioni di fondo: 1) si ricorre al decreto legge; 2) si pone la fiducia nella conversione in legge ad opera del Parlamento, nessun emendamento accolto se non modifiche governative. Si vuole ridurre al minimo, fino ad eliminare del tutto, ogni possibilità di discussione e di confronto. 3) sial Piano Programmatico che i provvedimenti legislativi, non possono ritenersi rispettosi dei ruoli e delle competenze dei soggetti istituzionali coinvolti, così come inquadrati nel nuovo Titolo V della Costituzione.Ritengo infatti preoccupante il ricorso alla decretazione di urgenza nonché al voto di fiducia in materia di istruzione, che elimina il confronto e la condivisione di una riforma che riguarda la crescita e lo sviluppo delle giovani generazioni, il futuro della nostra società e quindi non solo i Ministeri dell'Istruzione e del Tesoro.Con astuzia poi, si cerca di sviare l'interesse dell'opinione pubblica delle questioni più di sostanza verso argomenti non decisivi, come la reintroduzione del voto in decimi, del sette in condotta o del grembiulino.I Comuni in particolare, gli enti locali in generale, nell'attuale quadro normativo, sono compartecipi dell'istruzione e quindi hanno non solo il diritto, ma anche il dovere di intervenire in materia.Il modello di sistema di istruzione proposto impatta significativamente sul diritto costituzionale all'istruzione che la Repubblica in tutte le sue declinazioni – compresi gli Enti Locali – è tenuta a garantire (art.3 Costituzione) e sulla programmazione dei piani e dei servizi connessi al diritto allo studio, di stretta competenza comunale.Il nuovo modello di scuola dovrà, per un verso, confrontarsi maggiormente con le competenze previste dalle norme per gli enti locali in alcuni ambiti specifici, come il dimensionamento e l'educazione degli adulti, nei quali dovrà essere acquisita l'intesa con Comuni, Province e Regioni, dall'altro dovrà essere esaminato rispetto al suo impatto sui bisogni dei cittadini, alunni e famiglie, a cui la scuola che i Comuni sono chiamati a rispondere.Va detto che sono condivisibili alcune osservazioni della premessa dello schema del Piano Programmatico, quando si fa riferimento alla centralità della scuola quale sede privilegiata di formazione della persona, e la necessità di rendere pienamente efficienti i servizi scolastici.E' sotto gli occhi di tutti che la scuola italiana presenta consistenti divari con gli altri Paesi europei in riferimento agli esiti scolastici e se, come dice il Ministero, ciò è dovuto a forme di disinteresse da parte degli alunni, a demotivazione e stanchezza del personale ecc., dovremmo arrivare a ben altre conclusioni che a quelle dei provvedimenti in corso e del Piano stesso, che anziché ipotizzare rimedi ai mali denunciati, modulando meglio verso questo fine le risorse esistenti, prevede soluzioni quali: tagli al personale, alle ore di insegnamento, alla durata dell'orario scolastico ecc…Una riforma che vuol innovare il sistema formativo si deve porre il problema di investire sulla qualificazione del personale (insegnanti e tecnici), del miglioramento delle strutture edilizie e delle attrezzature didattiche, dell'ammodernamento dei programmi didattici.Nell'articolo 64 della legge 133/08 e nello schema di piano, non esiste un'idea di scuola, non c'è un progetto di rinnovamento, Si parla solo ed esclusivamente di tagli sistematici, suddivisi per aree di intervento. Non si tratta di una riforma, bensì unicamente della maniera di trovare risparmi ed economie dappertutto. Paralare in modo astratto di numeri in materia di alunni significa spesso eludere il significato stesso di "diritto all'istruzione"b e di "qualità formativa".L'innalzamento del numero minimo di alunni per classi potrebbe comportare la chiusura di scuole la cui utenza si troverebbe a gravitare su edifici limitrofi inadeguati sul piano edilizio, senza contare il problema socio-culturale, ancor prima che economico, della chiusura della scuola in tanti piccoli Comuni. Così come non può essere trascurata la difficoltà di gestire il trasporto scolastico per un'utenza di diverse fasce d'età da parte di Comuni che spesso non sono dotati neanche di scuolabus.Rilevante comunque in merito ad una necessaria riorganizzazione della rete scolastica è il rispetto delle competenze dei soggetti istituzionali; come già accennato la materia è infatti trasferita e non appare avocabile.Non è la prima volta che il Ministero quando pensa ai risparmi ricorre alla eliminazione del docente e allo spostamento della classe in un'altra scuola, dovendosi poi ricorrere al trasporto scolastico con costi ben più elevati del risparmio ottenuto e, soprattutto a carico dei Comuni.Veniamo all'articolo 64 sempre della legge 6/8/2008 n. 133 – Disposizioni in materia di organizzazione scolastica. L'aumento del rapporto alunni/docente, la riduzione del personale ATA del 17% in tre anni, comporterà un abbassamento del livello qualitativo della scuola, creerà problemi agli enti locali per quanto concerne l'edilizia scolastica. Molte aule e molti edifici scolastici hanno CPI che prevedono numeri di studenti già ora ai limiti della capienza massima.La ristrutturazione della rete scolastica mediante l'accorpamento degli istituti scolastici, la loro chiusura nei piccoli comuni, comporterà l'attivazione di servizi per il diritto allo studio che ricadranno sugli enti locali e che saranno compensati solo in parte da Stato e Regioni.L'assolvimento dell'obbligo di istruzione anche nel sistema della formazione professionale e nei percorsi triennali ci riporterà alla canalizzazione precoce che vedrà dopo la terza media un percorso di serie A per i più bravi e uno di serie B per tutti gli altri. E' un ritorno indietro nel tempo, ad una scuola di tipo classista, che separa agli alunni per reddito e provenienza sociale. L'insuccesso scolastico, che lo dicono tutti gli studi, è legato in gran parte alla provenienza sociale degli alunni e al livello culturale dei genitori.Assolvere l'obbligo nella scuola garantisce invece pari opportunità a tutti, fornisce quei saperi di cittadinanza necessari oggi per vivere, lavorare, continuare a studiare, concorrere a realizzare la mobilità sociale. Il sistema della formazione professionale è tutto da costruire. Da anni le regioni, titolare della formazione professionale, hanno smantellato il sistema pubblico dei CFP per passare ai bandi.L'art. 64 della legge 6/8/2008 n. 133 prevede la predisposizione di uno schema di Piano Programmatico che ha il compito di procedere alla revisione degli ordinamenti scolastici, dei piani di studio, dei quadri orari, al riordino del sistema della formazione professionale.La revisione dei piani di studio comporterà: 1) sistema dei licei non più di trenta ore settimanali; 2) istituti tecnici non più di 32 ore settimanali; 3) istituti professionali con un indirizzo sostanzialmente corrispondente ad un tecnico, confluiranno in questo ultimo . Gli istituti professionali, in regime di transitorietà, potranno rilasciare qualifiche professionali.I nuovi quadri orariScuola dell'infanzia: l'orario obbligatorio delle attività educative, si svolge anche solamente nella fascia antimeridiana; si introduce la possibilità di anticipare la frequenza sotto i tre anni. La proposta di introduzione di un orario obbligatorio anche solamente nella fascia antimeridiana configge, nella nostra esperienza di amministratori, con le richieste delle famiglie, soprattutto nelle regioni del centro nord a maggiore diffusione della scuola infanzia e dell'occupazione femminile; se la scuola statale, già gravemente carente nella copertura prevista dai parametri europei, diminuisce il tempo della scuola è evidente che le famiglie si rivolgeranno ad altri gestori per avere risposte alle loro esigenze.E' noto l'ingente investimento dei Comuni in questo campo, sa dal punto di vista della qualità educativa che dell'entità dell'offerta, come pure dello sforzo per ridurre al minimo il contributo economico delle famiglie a fronte di rette elevate nelle paritarie private; ci si chiede quindi con quali risorse i Comuni, già duramente provati dalle passe e presenti scelte economiche dei Governi nazionali, potranno far fronte ad un aumento delle richieste.A ciò si deve aggiungere una valutazione, non ideologica, ma legata al sapere accumulato da decenni dalle scuole dell'infanzia, il cui modello in alcune realtà è portato ad esempio a livello internazionale, sulla validità pedagogica ed educativa di un tempo scuola così ridotto per bambini molto piccoli come anche dell'ipotesi di un insegnante unico, si rischia in questo modo che, anche a fronte dei profondi mutamenti delle capacità di apprendimento in questa fascia di età e della tipologia e dei bisogni delle famiglie, la scuola per l'infanzia torni ad essere un servizio di custodia, nemmeno tanto efficace visto il tempo ridotto.Inoltre aprire le sezioni tradizionali anche ad alunni sotto i tre anni, introducendo un anticipo fuori ogni contesto pedagogico, comporterebbe una minor qualità del servizi e un aumento di spesa per i Comuni che dovrebbero garantire spazi per usi diversificati, senza trascurare la dequalificazione didattica che si verrebbe a produrre dovendo gestire bambini troppo piccoli insieme a quelli previsti dall'attuale normativa.La scuola primaria: Si introduce il maestro unico ed un orario settimanale di 24 ore che potrà essere ampliato a 27 o 30 ore, che potrà allargarsi ulteriormente di altre 10 ore comprensive del tempo mensa. E' evidente che il privilegiare l'orario di 24 ore settimanali con docente unico mette in crisi un modello di scuola chge, con il sostegno fondamentale degli interventi per il diritto allo studio comunali, assicura una offerta formativa di competenza delle Autonomie Scolastiche, adeguata sia nella declinazione temporale che soprattutto nell'articolazione pedagogica a bisogni di apprendimento estremamente complessi e diversificati.Come potranno le scuole esercitare la loro competenza sull'autonomia organizzativa art.21 della legge 59/97, se l'organizzazione viene già predefinita per legge?In comuni come Firenze cresce la richiesta di tempo pieno, non si comprende come con le norme proposte questo verrà garantito. E' evidente che non potrà essere richiesto ai Comuni di supplire senza risorse aggiuntive, a carenze e ad attività pomeridiane ed integrative e che in ogni modo non potranno richiamare passate forme di doposcuola.Dal punto di vista pedagogico si tratta di un ritorno indietro di 50 anni, si torna al maestro tuttologo: altro che inglese, internet, impresa. La scuola con il maestro unico di deamicisiana memoria rappresentava una ricchezza in un'Italia povera e contadina che si stava trasformando in industriale. None esisteva la televisione ed i mezzi di comunicazione erano scarsi ed appannaggio di pochi. La scuola rappresentava lo strumento per il trasferimento dei saperi, per la riproduzione delle diversità sociali.Oggi, che i due terzi dei saperi di uno studente derivano da apprendimenti extrascolastici, non è possibile pensare di impoverire ancora di più il sistema formativo riportandolo indietro di 50 anni.In conclusione, io credo che abbiano ragione tutti quelli che vedono l'istruzione non come un settore qualunque della società, ma come il primo riferimento della crescita civile di un Paese. Per un Comune, poi, l'istruzione è la cosa che, insieme all'assistenza sociale, dà il senso stesso della qualità dell'intervento pubblico verso i cittadini.E' per questo che chiedo a tutti di riflettere e di accogliere quello che ci viene da una società delusa e affranta da tanta, troppa voglia di mortificare la qualità della scuola pubblica: una richiesta forte di impegno, una visione del nostro ruolo di istituzioni locali come votare al bene della scuola e di una comunità che ha nei servizi educativi il cuore del futuro. Questa società ci guarda, e misura la nostra qualità di governanti su quello che sappiamo dire e fare per ciò che appartiene, come null'altro, a tutti. E' per questo che è giusto discuterne qui.Noi non dobbiamo avere compassione per la scuola, come si ha per l'amico in difficoltà. Noi dobbiamo sapere che, oggi come ieri, l'istruzione è il segno della nostra vita collettiva, e che solo nel segno della buona istruzione possiamo far crescere la nostra comunità e il nostro Paese. I buoni governi si vedono anche da qui".(pc)