XXV assemblea nazionale dell'Anci, la relazione del presidente Leonardo Domenici
Ieri a Trieste si è aperta la XXV assemblea dell'Associazione Nazionale Comuni Italiani. Questo il testod ella relazione del presidente e sindaco di Firenze Leonardo Domenici:"Un grazie al Presidente Napolitano per la vicinanza e per la calorosa amicizia verso il mondo dei Comuni, egli che incarna l'istituzione che più di tutte è depositaria del valore dell'unità della Repubblica e che rappresenta il principale punto di riferimento unificante per ciascuno di noi, che siamo tanti e diversi, però assolutamente e immodificabilmente eguali ed uniti nell'identità, nel valore essenziale che esprimiamo e custodiamo, immutabile nel tempo e nello spazio.Il Comune è l'architrave fra cittadini ed istituzioni; invariabilmente, il Comune e chi lo rappresenta, è l'istituzione che il cittadino sente a sè più vicina, con cui dialoga, di cui avverte costantemente la presenza, a cui i cittadini rivolgono spesso quelle domande, rispetto alle quali Noi non siamo in grado di dare una risposta, perché non ne abbiamo i mezzi o perché riguardano altri ambiti di competenza. La storia millenaria dei nostri comuni è un tesoro inestimabile che chi li governa deve saper usare con coscienza e rettitudine e con la consapevolezza di rappresentare il mattone su cui si poggia l'intera struttura istituzionale del Paese.Siamo l'unico legame con un passato lontano, che le nostre piazze, i nostri monumenti, la nostra cultura testimonia. Siamo i tasselli che compongono la trama unitaria del Paese, non dimentichiamolo e non instilliamo l'idea che si possano combattere battaglie disuniti, l'uno senza l'altro, l'uno contro l'altro.Siamo orgogliosi della nostra storia ed esigiamo rispetto: siamo noi più degli altri che sentiamo la fatica dell'amministrare, del vivere nel contatto quotidiano con i bisogni reali delle persone; e noi più degli altri che viviamo l'esperienza unica, esaltante di misurare nel concreto la potenza e il significato delle nostre decisioni per la gente, il privilegio di creare, quasi manualmente, qualcosa da guardare con gli occhi, da toccare con mano. È un privilegio poter lavorare per modificare in meglio la vita delle nostre famiglie, dei nostri figli; per allineare la qualità della vita delle nostre città ai nuovi bisogni, alle nuove paure. Ognuno di noi quando finisce il mandato può voltarsi indietro e guardare "le cose" che ha fatto. Perché a differenza degli altri livelli politici fare il sindaco significa fare cose, significa entrare dentro gli occhi e la vita delle persone che vivono le città ed i comuni e cercare di capire ogni punto di vista, ogni aspettativa che sia compatibile con la convivenza comune.Ed è un impegno che non sempre ci viene riconosciuto. Anzi, troppo spesso i comuni sono al centro di campagne mediatiche volte a rappresentarli come dissipatori delle finanze pubbliche, come spreconi ed è anche per questo che il forte sostegno del Presidente della Repubblica ci è così caro.Voglio rivolgere a Lui un ringraziamento particolare per aver denunciato e denunciare il dramma assurdo delle morti sul lavoro.E' un bollettino di guerra: una guerra che non sappiamo di combattere e che non sappiamo combattere come dovremmo. Ogni giorno nel nostro Paese ci sono 2500 incidenti sul lavoro, muoiono 3 persone e 27 rimangono permanentemente invalide [ultimi dati INAIL del 2007 del giugno 2008: 900mila infortuni, circa 1.200 morti -nel 2006 1.340 circa quindi in calo del 10%; siamo al disopra della media Ue 15 di 2,3 con un indice nazionale di 2,6 decessi per 100 mila occupati].Un bollettino di guerra che ascoltiamo spesso con noncuranza da un resoconto "burocratico" dei mezzi di comunicazione, che dovrebbero fare di più e meglio per tenere desta e vigile l'opinione pubblica e la coscienza civile di ciascuno di noi.'E' un mio assillo' ha ripetutamente ammesso il Capo dello Stato ed è una battaglia che sta conducendo insieme a pochi, fornendo il sostegno più importante, sostegno e impegno che ha avuto un risultato con la legge 123/07 e poi con il decreto legislativo n.81 dell'aprile 2008 che credo sia uno dei provvedimenti normativi più significativi del precedente Governo e di questo voglio dargli atto.Sulla capacità di reagire e di reprimere fenomeni assurdi come le morti sul lavoro si misura la civiltà di un Paese e la forza delle istituzioni tutte. Ed è un fenomeno che porta in sé i segni dell'ingiustizia e delle diseguaglianze che il nostro tempo non riesce a cancellare: l'intreccio fra tale fenomeno e il lavoro irregolare è strettissimo e, come dimostrano i dati, lavora in condizioni insicure chi ha bisogno e chi ha paura che questo bisogno diventi non più colmabile e disperante.I Comuni non hanno competenze dirette nella materia della sicurezza nei luoghi di lavoro, solo indirettamente in quanto stazioni appaltanti ad es. verificano la regolarità dei lavoratori impiegati.Voglio però che oggi questa Assemblea si unisca al Presidente Napolitano e che questo suo assillo diventi l'assillo dei Comuni italiani e che questo riesca a suscitare un moto d'indignazione nella società civile, affinchè vigili di più su sé stessa, su chi delinque, richiamando il mondo dell'impresa e del lavoro a quell'etica della responsabilità che oggi viene tanto invocata per altre ragioni. E che questa lotta diventi una lotta per la legalità e contro il lavoro irregolare e sommerso, che la crisi di oggi potrà rendere ancora più esteso.1.La crisi globale. Effetti sull'economia reale. Maggiore domanda di sostegno sociale. L'attuale crisi finanziaria cambierà il mondo, si modificheranno le abitudini, i comportamenti, le scelte di tanti. E' una svolta epocale, pari a quella dell'11 settembre del 2001. Come allora il crollo delle Twin Towers ha cambiato improvvisamente categorie fondamentali del vivere e agire con gli altri, facendo irrompere prepotentemente nelle nostre società l'insicurezza e la paura; oggi, in questo ottobre 2008, sempre lì, l'immagine dei dipendenti o dei top managers che escono mestamente ed attoniti dalle sedi degli ex colossi finanziari ci dà il senso del materializzarsi di un'altra paura. Con l'11 settembre di sette anni fa un equilibrio si è infranto, definitivamente forse. Oggi sappiamo che qualcosa muterà negli equilibri internazionali, nei rapporti fra gli Stati, nel processo di sviluppo globale del sistema economico e finanziario, nelle forme e modalità di accumulazione della ricchezza e sappiamo che qualcosa è già mutato nel rapporto fra Stato e mercato e che sono indispensabili nuove regole e un nuovo equilibrio fra regolazione pubblica e libertà dei privati.Forse le nostre società hanno vissuto al di sopra delle proprie possibilità. Nonostante la famiglia italiana tradizionalmente abbia un'elevata propensione al risparmio, altri fattori già critici crescita zero, elevato livello di pressione fiscale, bassi salari e un sistema di welfare costoso ed inadeguato- acuiranno lo stato di malessere sociale e di complessivo impoverimento.I contraccolpi si sentiranno anche da noi. E colpiranno soprattutto quella fascia sociale, sempre più ampia in verità, che ha vissuto differendo il rischio della povertà e rateizzando bisogni, desideri e superfluo, offerti low cost. Nonostante siano molto recenti, rispetto al sistema americano, fenomeni direi sociali oltre che economici, come il credito al consumo si sono diffusi in modo esponenziale in pochi anni: dal 2001 al 2006 il credito al consumo è cresciuto del 85% arrivando a 94 miliardi e l'indebitamento complessivo delle famiglie ammonta a circa 490 miliardi. E la crisi tocca soprattutto chi e sono tanti con stipendi fissi medio-bassi, operai, chi riusciva ad avere di più grazie ai mutui facili e altri strumenti di incentivazione del consumo, certamente molto meno chi già vive al di sotto della soglia della sussistenza.Nessuno vuole usare toni allarmisti. Anzi fermezza e realismo. Ma noi sappiamo, e ci riguarda tutti Comuni piccoli medi grandi, quanto percepiamo con la sensibilità di un sismografo le oscillazioni nella società, che già stenta a redistribuire il benessere: sappiamo che i salari dei lavoratori italiani sono al di sotto della media dei paesi europei [dati Ocse dicono tra 2001 e 2006 le retribuzioni sono scivolate dal 19 al 23 posto], che oltre 2 milioni e mezzo di famiglie sono ufficialmente povere pari a 7 milioni e mezzo di individui e che l'8 per cento vive poco sopra la soglia della povertà e rischia di oltrepassarla. Questa somma del 12% circa di chi vive in stato di povertà con l'8% di chi è un po meno povero dice che il 20% degli italiani vive di sussistenza, di precarietà, vive grazie agli aiuti sociali.Se non siamo allarmati, siamo molto preoccupati perchè la crisi ci spinge a ritenere che precarietà, bisogno e povertà aumenteranno. Il fabbisogno di welfare crescerà: aumenterà la popolazione anziana 12 milioni di italiani hanno più di 65 anni -l'Italia è seconda solo al Giappone per numero di anziani-; continueranno a diminuire i bambini -con l'attuale ritmo demografico, nel 2050 l'Italia è destinata a perdere 5 milioni di abitanti, il calo più consistente in Europa, se non si considerano gli immigrati, residenti stranieri hanno raggiunto quota 3,4milioni. Questo ha e avrà ripercussioni dirette sulla spesa sociale e la sua distribuzione: oggi la spesa per protezione sociale (assistenza sociale + previdenza + sanità) in Italia nel suo complesso è stata, nel 2007, di 366.878 milioni di euro, pari al 23,9% del PIL (+3,9%). La spesa per l'assistenza sociale incide sul PIL per l'1,9%; quella previdenziale per il 15,8% quella della Sanità per il 6,2%. Domani l'aumento del numero degli anziani, accompagnato da una costante flessione del numero dei giovani occupati, ancora accentuerà gli squilibri fra contribuzione e previdenza e se a questo si aggiunge che l'invecchiamento genera domanda di assistenza e di sanità lo scenario sempre più netto sarà l'Italia un paese per vecchi, parafrasando i fratelli Coen. Un conflitto fra generazioni aperto da tempo e che riguarda l'accaparramento dei beni fondamentali della vita: lavoro, ricchezza, salute, ambiente: I figli guardano con rassegnazione i padri nella preoccupazione che la loro vita potrà essere peggiore, i padri guardano con ansia i figli quasi impotenti nel migliorare il loro avvenire. Questo con una spesa sociale poco efficace (nell'Europa a 15 l'Italia, dopo la Grecia, è il paese in cui i trasferimenti sociali hanno minor impatto nel ridurre la povertà) ed un impressionante divario sul territorio. una spesa pro-capite media di 98 euro l'anno che si traduce nel Nord Est in una spesa media di 146 Euro e nel Sud di 40 Euro.Questa analisi per grandi linee ci preoccupa profondamente, perché noi stiamo lì, in mezzo.Ci preoccupa perché il disagio sociale crescerà; ci preoccupa perché nonostante ciò, le risorse assegnate decrescono con tagli impressionanti da un anno all'altro; ci preoccupa perché oltre ad interventi necessari e rapidi per garantire i risparmiatori e il capitale bancario, non abbiamo sentito con la medesima determinazione porre la necessità di affrontare l'altra dimensione del problema, altrettanto rilevante per fronteggiare la crisi: attivare politiche di sostegno alla domanda che abbiano come principali destinatari le fasce più deboli. Interventi obbligati sia per processi di carattere strutturale che per l'attuale situazione di emergenza. E' necessaria una coerenza nelle azioni di governo, a tutti i livelli istituzionali. E' necessario impostare dei programmi ed affiancare alle promesse misure una tantum ( "bonus bebè", "social card) una definizione pluriennale delle risorse da investire nel welfare locale che consenta di poter fissare obiettivi realistici in termini di servizi per i cittadini, perché un welfare di sviluppo è possibile: la Spagna, per il Piano nazionale sulla non autosufficienza ha programmato una crescita progressiva delle risorse dal 2007 al 2015, il "Piano nidi" lanciato in Germania dalla Cancelliera Merkel ha fissato una programmazione delle risorse 2007-2013.E' necessario che questa Assemblea ponga con forza al Governo, al Parlamento, alle forze politiche l'esigenza di destinare risorse ed impegno a sostegno della domanda, a sostegno delle famiglie e dei cittadini più deboli. Guai a ridurre il fondo per le politiche sociali (come ci è stato annunciato in incontri con il Governo per 274 milioni di euro nel 2008). Serve una inversione di tendenza. Serve investire sulle persone, sulle famiglie e sulle imprese. Eliminare questi fondi nell'anno in corso è sbagliato e dannoso e metterà in crisi la capacità dei Comuni di mantenere i livelli di servizio programmati.Credo che sia giusto che questo appello venga da noi, responsabilmente indicando alcune possibili soluzioni concrete e lo faremo in queste giornate.2.Nuove regole. Flessibilizzazione del Patto. Il contributo dei Comuni. Le partite finanziarie aperte. ICI.Come ripete il Ministro Tremonti è un problema di regole, di adeguamento delle regole, è un problema di assunzione di responsabilità, è un problema di riaffermazione del primato della politica. E io credo che a questo punto sia un problema di regole a tutti i livelli, ed è un problema di impegno per tutte le istituzioni. Ed è un problema che va spiegato ed assunto responsabilmente.In questo contesto voglio porre un interrogativo: come possono i Comuni contribuire a stimolare fattori anticiclici contro una fase di recessione, credo conclamata? Nessuno deve fraintendermi e sono chiaro e netto: i Comuni non chiedono di allentare i cordoni della borsa, non chiedono il ritorno ad una finanza allegra. I Comuni sanno di poter dare un contributo insieme agli altri, perché lo Stato non può fare tutto da solo. E' necessario concordare con Parlamento e Governo e con tutte le istituzioni territoriali una risposta complessiva alla crisi, che deve prevedere un ruolo attivo di tutta la sfera pubblica.Ed è per questo che così come si è deciso in sede europea di rendere meno rigido il vincolo del 3%, come hanno già fatto Germania e Francia, anche a livello italiano è giusto chiedere al Governo una flessibilizzazione, una modulazione intelligente e ragionevole delle regole del patto di stabilità.Per questo motivo da questa Assemblea parte la richiesta di un incontro immediato con il Governo - così come abbiamo chiesto un incontro con i Gruppi Parlamentari - per poter illustrare lo stato di profonda crisi in cui versano i comuni e per poter condividere nuove misure da adottare per farvi fronte.Se è come è un problema di regole, allora non possiamo permetterci, il sistema Paese non può permettersi di rinunciare all'apporto degli investimenti dei Comuni che, come i dati confermano e nonostante la tendenziale flessione della spesa in infrastrutture per il Comparto pubblico, rimangono i maggiori investitori [l'81% della spesa per investimenti fissi lordi delle amministrazioni pubbliche nel periodo 2000/2006, è stata sostenuta dalle Amministrazioni locali. I Comuni rappresentano la maggior quota, con il 52,1% della spesa e sono dunque i soggetti principali della spesa per investimenti; lo Stato 19,4%, Regioni 26,6%, Province 2. Ciò è avvenuto in presenza di un andamento complessivo sostanzialmente stazionario della spesa per investimenti in rapporto al PIL, frutto di una stasi in termini assoluti della spesa delle amministrazioni centrali e di una crescita marginale di quelle locali. Contrazione indotta dal contenimento dei saldi della Pubblica Amministrazione, scaricatosi immediatamente sulla spesa per investimenti meno rigida di quella corrente].Per questo la manovra estiva va rivista alla luce della crisi economica internazionale e delle nuove esigenze del Paese. Come ha detto il Ministro Maroni la manovra di luglio è stata pensata in un'altra epoca.I Comuni vivono una situazione drammatica e paradossale. Abbiamo comuni con fondi in cassa che non possono spenderli ed abbiamo enti sui quali continuano ad abbattersi tagli e penalizzazioni. Il peso sui saldi dei Comuni della manovra per il 2009 è eccessivo, tenendo conto del contributo che essi hanno già dato in questi anni. Chiediamo quindi che nell'esame dei provvedimenti di bilancio in corso alla Camera e in sede di conversione del decreto legge 154 siano apportate alcune correzioni importanti.La drammaticità della situazione finanziaria dei Comuni è causata anche dalle troppe partite finanziarie aperte dal precedente e da questo Governo ed in parte tamponate dagli stanziamenti previsti dal decreto 154 e dall'assestamento di bilancio.Abbiamo sopportato negli ultimi anni ripetute riduzioni dei trasferimenti erariali derivanti da previsioni errate in ordine ad aumenti di gettito (ICI rurale) o da tagli conseguenti a presunti risparmi (cd. costi della politica).Sull'ICI rurale rispetto ai tagli ai trasferimenti disposti dal decreto Visco-Bersani per il 2007 609 milioni, per il 2008 783 milioni e per il 2009 818 milioni abbiamo avuto entro il 2008 511 milioni dal provvedimento di assestamento di bilancio. A questi tagli si aggiunge la decurtazione di 250 milioni per i cd. costi della politica.A queste partite aperte si sono sommano la riduzione del Fondo ordinario di 200 milioni disposto dalla manovra estiva del Governo Berlusconi, oltre al taglio per ora solo annunciato di un terzo, pari a 274 milioni, al Fondo per le politiche sociali ed ora le forti riduzioni previste con il d.d.l. n.1713, la manovra di bilancio all'esame, ai capitoli di bilancio di alcuni Ministeri riguardanti Fondi che stanziano risorse in materie riguardanti direttamente le competenze comunali, si pensi alle considerevoli decurtazioni operate su numerosi Fondi [es: Fondo Politiche Giovanili da 135 mln a 79.759 quasi dimezzato; Fondo Unico per lo spettacolo da 440 a 378 inoltre è stata azzerata la terza annualità del Fondo per le attività culturali e di spettacolo (20 mln di euro); "Fondo per il passaggio al digitale" - 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, confermato il Fondo per il 2009, ma ridotto a 30.899.000 euro; Politiche abitative si riducono i fondi destinati al sostegno delle famiglie in affitto a basso reddito mentre gli affitti dal 2000 al 2008 sono aumentati di oltre l'80%, lo stanziamento è passato dai 311 milioni di Euro (Finanziaria 2000) a 110 milioni di Euro (previsione per il 2011)].Questa complessa situazione sta producendo e produrrà, inoltre, oggettive difficoltà di ordine contabile e ampi scostamenti fra le previsioni finanziarie indicate nei bilanci e quanto dovrà essere indicato nei consuntivi, ed anche per questo vi è l'assoluta necessità di adottare correzioni alle misure stabilite nella legge n.133/08 in tema di Patto di Stabilità per i Comuni, che consentano anche di regolarizzare la situazione contabile.Poi possiamo aggiungere altri crediti che i Comuni vantano dallo Stato a causa di disposizioni anacronistiche come quelli riguardanti il pagamento delle spese per gli uffici giudiziari. Rimborsi che arrivano con grande ritardo che ammontano a circa 400 milioni di fabbisogno annuale, con crediti arrivati dei Comuni pari a 600 milioni.In questo quadro finanziario già precario e mutilato, si è aggiunto l'intervento sull'ICI prima casa. Voglio ribadire con chiarezza che noi eravamo contrari al provvedimento del precedente Governo così come a questo.Voglio ricordare che abbiamo inutilmente tentato di spiegare che era una decisione sommamente sbagliata: il legittimo obiettivo di ridurre la pressione fiscale poteva essere più utilmente e facilmente conseguito agendo sul reddito.Non abbiamo convinto né gli uni né gli altri; i cittadini veramente bisognosi non se ne sono accorti perché godevano già di agevolazioni ed esoneri previsti dal Comune o perché non hanno una casa e vivono in affitto e poi tanti non se ne sono accorti perché non ne avevano bisogno.Scelta sbagliata che ha aperto il valzer delle cifre, a cui non intendo prender parte. Su questo voglio dire una parola altrettanto chiara: la copertura stabilita dal Governo (2.600) a luglio integrata adesso (260 milioni) è del tutto incongrua per assicurare la compensazione integrale del minor gettito, che dovrà essere calcolata sulla base delle certificazioni prodotte dai Comuni entro aprile 2009.Non do altre cifre, noi i nostri conti li abbiamo fatti, ma aspettiamo i conti dei Comuni e quel totale sarà ciò che l'ANCI chiederà al Governo per tener fede all'impegno assunto per legge.Non faremo sconti. Il Presidente del Consiglio, in prima persona, il 2 ottobre, firmando un documento con noi, ha assunto l'impegno di verificare ad aprile le cifre per capire se i fondi posti a copertura del minor gettito ICI saranno sufficienti. Questo è un fatto politico al quale noi diamo un significato istituzionale prioritario.Oggi la legge ha stanziato 2.860 milioni sappiamo che non bastano. Voglio solo dire che quanto risulterà ad aprile, alla fine di questa vicenda che abbiamo subito e contrastato dovrà essere compensato integralmente ai Comuni così come promesso durante la campagna elettorale, così come scritto nel DPEF presentato a giugno dal Governo, così come insieme abbiamo condiviso con il Presidente Berlusconi.3.SCUOLA E SICUREZZANon ci hanno convinto e non ci convincono, ancor di più per la crisi odierna, alcune linee strategiche del governo, talune per il metodo altre per il merito.Partiamo dalla scuola.Ne abbiamo già parlato a Mogliano Veneto all'Assemblea dei piccoli comuni con oltre 450 sindaci presenti nei 2 giorni di lavori, abbiamo in tutte le sedi istituzionali manifestato grande preoccupazione, oltreché su alcuni profili di merito, sui tempi e sui modi, sino alla sospensione della Conferenza unificata di giovedì scorso per l'imbarazzante assenza di una risposta da parte del Governo.Il messaggio che voglio dare è semplice: vanno rispettate le competenze costituzionali e legislative, va rispettata l'autonomia degli enti territoriali nel decidere come e dove razionalizzare ed accorpare, perché ho la sensazione che non vi sia un'adeguata valutazione del rapporto costi/benefici, polso della situazione che noi possiamo avere. Siamo certi che alla fine costi meno- perché questa riforma della scuola almeno sin qui significa solo questo 8 miliardi in meno nei prossimi anni e tanta confusione e protesta- mantenere un istituto che allestire il trasporto scolastico magari verso una scuola a distanza di molti chilometri? L'unica cosa certa è che i Comuni dovranno pagare e i cittadini giustamente lo pretenderanno.Non possiamo accettarlo e non possiamo farlo anche e soprattutto per questo metodo che sembra sempre più diffondersi: un Governo che dice lo fai, lo fai come dico io e nei tempi il 30 novembre- che dico io e se non lo fai avoco tutto e ti sostituisco. Tutto questo con una norma inserita in un decreto legge che il Parlamento (il senato in commissione) sta iniziando ora ad esaminare e che magari potrebbe anche non approvare ovvero modificare entro quel termine, scaduto il quale arriva il commissario ad acta. Non aggiungo altro sui principi di eguaglianza, il diritto allo studio. Siamo in presenza di un caso classico e direi empirico della necessità di trovare un bilanciamento fra bene sociale e interesse individuale, contrapposizione in cui si misura da sempre il ruolo della società e della politica. Come deve avvenire questo bilanciamento a spese di chi? Siamo in presenza di diritti sociali e civili che possono entrare in crisi in un epoca come la nostra di risorse scarse. Si pensi al degrado ambientale è un risultato aggregato che nessuno di noi preso singolarmente vorrebbe, ma che tutti, distratti da ciò, contribuiamo a determinare. Per riconciliare i termini dell'antinomia, occorre che vi siano fra gli individui una morale comune, reciproca fiducia, legami culturali profondi e un sistema di valori, regole condivise. Poi chi interpreta la politica e ne ha la responsabilità fisserà il proprio equilibrio, ma nell'ambito e nel rispetto di quei vincoli. Speriamo di non smarrire la bussola nelle intemperie.Questa delle scuola è la cartina di tornasole che conferma come nelle scelte e nei provvedimenti di questo Governo si muovano due linee parallele e divergenti: da un lato si vuole il federalismo, mentre nei provvedimenti di amministrazione si torna a politiche fortemente centraliste.Mi limito a citare in termini positivi il lavoro fatto in questi mesi con il Ministro Maroni sulla sicurezza. Un lavoro costruttivo, che ha proseguito le iniziative avviate dal Governo precedente e che ha dato ascolto e rapida risposta a molte delle questioni poste dai sindaci, di ogni colore politico. I sindaci si sono limitati a porre al Paese, all'opinione pubblica, alle forze politiche, al Governo un problema, anche indicando sommessamente debolezze o disattenzioni di chi ne ha la responsabilità primaria. Il problema di come garantire la legalità, di come garantire la vivibilità e il decoro delle città, in una società che cambia e che per mantenersi ordinata ha bisogno di definire regole nuove di convivenza civile di fronte alla crescita di fenomeni di degrado ed illegalità, rispetto ai quali il ricorso a strumenti amministrativi assicura maggiore efficacia general-preventiva di fronte a condotte che violano la legalità urbana.Lo voglio dire in modo chiaro: non vogliamo né abbiamo mai voluto i sindaci sceriffi. Non vogliamo sostituirci a nessuno. Ciascuno faccia la sua parte. La sicurezza è un tema complesso che va gestito con strumenti e con una concezione diversa dal passato. Ogni istituzione deve lavorare secondo le proprie competenze, in uno spirito di leale collaborazione. Tenendo conto che al centro della nostra azione di amministrazione deve esserci sempre il pieno rispetto della dignità della persona umana.Abbiamo avuto risposte importanti e rapide (anche grazie al lavoro di alcuni sindaci vedi gruppo Parma): sull'ampliamento dei poteri dei sindaci in materia di sicurezza e degrado urbano, sull'emergenza nomadi in alcune grandi città, sull'inasprimento delle pene per alcuni reati di particolare allarme sociale che riguardano la vita delle comunità, sul perfezionamento del raccordo fra polizia municipale e altre forze di polizia. Risposte rapide ed importanti che vanno attuate con un lavoro serio, come quello che i Comuni stanno facendo, e con un raccordo costante con Ministero, prefetture e forze dell'ordine.Previsioni che vanno sostenute con un impegno finanziario e che offrono una cornice di legittimità alle ordinanze dei sindaci esplose nel 2007 che hanno posto un problema e imposto una soluzione, soluzione che potrebbe in parte fungere da argine per evitare iniziative ben più discutibili e pericolose e derive di intolleranza e conflittualità sociale ben più gravi. Certo l'impegno deve o dovrebbe essere corale: degrado ed illegalità allignano frequentemente nella povertà e nel disagio ed è per questo che è altrettanto importante garantire risorse all'inclusione e integrazione sociale.Ora è il momento di far fare il suo corso al tempo, di fermarsi, adempiendo ciascuno ai propri compiti nel rispetto delle sfere di competenza degli altri poteri.Sulla sicurezza siamo riusciti a trovare soluzioni idonee a far uscire l'operato dei sindaci da atti di natura emergenziale e di supplenza ad un carattere stabile di governo della vita urbana.Sono queste le riforme che si sforzano di fornire soluzioni durature e stabili e che si collocano in quella linea di responsabilizzazione delle istituzioni locali che apprezziamo.Sembriamo vivere in un perenne stato di necessità, di sospensione delle regole e dei poteri ordinari. Non è un bene: non è un bene perché si abbassa la soglia delle garanzie, si legittima come regola la deroga alla norma, si depaupera il patrimonio di competenze che dovrebbe subentrare dopo la fase straordinaria o emergenziale, non si costruisce un futuro su basi solide. Nessuno contesta che in molti casi procedure straordinarie sono utili anzi necessarie, ma io credo vada modificato l'ordine dei fattori: non più un Paese di emergenze che sospende la normalità, ma un Paese normale che sa affrontare le emergenze.Oggi può apparire un discorso antistorico, ma invece credo che solo fissando ora questo obiettivo si potrà utilizzare questa fase per darsi regole nuove che consentano di traghettare il Paese dall'emergenza sociale, istituzionale economica.Un tema attuale mi consente di fare un esempio calzante. In materia di ambiente è indispensabile fare ricorso a piani strutturali di lungo periodo. Non si può fare ricorso alla politica delle emergenze ed agire in base a piani straordinari di dubbia efficacia. I Comuni, le grandi città sono pronti a dare il loro contributo in modo chiaro e costruttivo. Un punto deve essere fermo: non vogliamo rimanere schiacciati fra coloro che non vogliono intervenire con politiche strutturali e pluriennali e le iniziative a pelle di leopardo delle Procure che imputano agli amministratori locali responsabilità che sembrano figlie più di valutazioni politiche che di oggettive responsabilità penali.5. LE RIFORME: FEDERALISMO FISCALE, FEDERALISMO ISTITUZIONALE, REVISIONE COSTITUZIONALE.Dalla riforma del titolo V del 2001 ad oggi si sono concluse due legislature, una a scadenza naturale, l'altra no. I tentativi di dare attuazione alla riforma si sono conclusi con esito infruttuoso e con un discreto dispendio di energie, di risorse di tempo, di fiducia.Sono stati compiuti errori la cui responsabilità può essere distribuita equamente fra vari livelli e soggetti.Nella legislatura 2001-06 si è avviato un percorso tortuoso, complicato di attuazione con la legge La Loggia del 2003 che alla fine ha portato ad esaltare più i fattori di contrapposizione che di costruzione. Il Governo si è concentrato sulla più ampia revisione costituzionale, mettendo in discussione con la riforma della riforma parti della revisione del 2001. Ciò non ha certamente giovato alla costruzione di un terreno fertile di dialogo.Nei suoi due anni di legislatura il Governo Prodi ha avviato un processo di attuazione con la presentazione del testo sul federalismo fiscale e con la Carta delle autonomie che però non ci convincevano, entrambi i testi presentavano molte ombre e poche luci. Sono stati anni in cui sono prevalsi di più i fattori di divaricazione e di conflittualità che quelli di collaborazione. E'mancata una visione d'insieme. Sono mancati un ruolo e una guida del legislatore statale, capace di interpretare e farsi carico di un punto di equilibrio accettabile fra le diverse spinte in gioco. Un compromesso utile a dare coerenza e compattezza a un sistema plurisoggettivo e multilivello, ma che soprattutto convincesse sufficientemente tutti i diversi soggetti in gioco del vantaggio complessivo per l'intero sistema di operare in modo coerente, coordinato e ben strutturato. E' come se si fosse dato il via ad una competizione fra i diversi livelli territoriali di governo, una gara dove il premio sarebbe quello di riuscire a portare a casa qualcosa a scapito dell'altro. Atmosfera che ha contribuito a logorare la qualità delle relazioni interistituzionali e la valenza delle sedi di concertazione.E' poi mancata la capacità delle forze politiche, che in queste legislature si sono alternate, ora come maggioranza ora come opposizione, di far prevalere uno spirito costruttivo ed è prevalsa una sorta di pregiudiziale ad azzerare il lavoro fatto da chi ha preceduto, come effetto sommamente perverso della regola, invece salutare, dell'alternanza.Sulle riforme in senso federale dello Stato è poi mancata una discussione franca su necessità, opportunità, corretti equilibri nella articolazione e distribuzione del potere fra Stato, Regioni, Comuni, Province In molti casi abbiamo assistito ad una spinta alla ricentralizzazione dei processi decisionali e non sono state compiute quelle scelte che potevano aiutare ed assecondare il dialogo fra le parti e sperimentare la trasformazione della nostra forma di Stato.Si pensi all'inattuazione della disposizione (art.11 disp trans l.cost. n.3/01) che prevede la presenza in Parlamento, nella Commissione bicamerale per le questioni regionali, dei rappresentanti delle autonomie territoriali. Il rilievo che avrebbe avuto e che avrebbe anche adesso non solo per dar voce a chi governa i territori, ma anche per stimolare il processo di attuazione e per organizzare lo stesso in un rapporto più equilibrato fra Governo, Parlamento e Autonomie. La cd.bicameralina integrata è stata osteggiata in modo bipartisan da tutti gli schieramenti politici, dalla miopia dei gruppi parlamentari o peggio di singoli, e lasciatemelo dire da quel riflesso corporativo che viene a noi spesso addebitato.Eppure basterebbe una votazione congiunta dei due rami del Parlamento sulla modifica dei regolamenti parlamentari per compiere questo passo in avanti. Ed è un problema di volontà e rivolgo un appello, credo di poterlo fare anche a nome degli altri livelli istituzionali, a tutte le formazioni politiche per trovare un accordo, se ritenete Comuni, Regioni e Province possono offrire un contributo concreto, anche di proposta. Sarebbe un primo esempio della stagione riformatrice che si dice di volere e sarebbe un luogo indispensabile, trasparente e pienamente rappresentativo dello spirito del 114, per confrontarsi anche sull'esame e sull'attuazione del federalismo fiscale ed istituzionale.Voglio essere chiaro anche su questo: non ci sarà mai nessun federalismo se non si troverà il coraggio di definire regole che consentano di decidere insieme il contenuto di alcune scelte. Bisogna avere il coraggio di riconoscere che un sistema federale senza una sede di rappresentanza degli interessi territoriali al centro sarebbe una pessima finzione e non funzionerebbe.La crisi del Parlamento è certamente la crisi prodotta da una legge elettorale scandalosa, è la crisi originata dai difetti del bicameralismo paritario e perfetto e da regolamenti parlamentari non adeguati, ma è anche la crisi del legislativo a causa del rafforzamento degli esecutivi e dell'evoluzione della forma di Stato. Ed è per questo che è necessario ridurre il numero dei parlamentari, semplificare il sistema della doppia lettura, adeguare la rappresentanza ragionando se sia più utile una seconda camera che interviene solo in alcuni casi sull'iter legis e che svolge prevalentemente funzioni di garanzia e controllo, un monocameralismo affiancato da un senato delle autonomie ove dovrebbero sedere i rappresentanti degli esecutivi, come oggi la conferenza, con poteri consultivi forti e di garanzia.Voglio essere chiaro su un punto. Queste riforme servono per dare un contributo serio e duraturo, che consenta di superare la crisi istituzionale italiana, non possono essere l'appannaggio di una singola forza politica, di un singolo Ministro. Se è giusto che vi sia una guida forte e autorevole che tenga le fila del dialogo, non rendiamo un servizio al Paese se anche questa volta non riusciamo ad uscire da un orto chiuso per pochi eletti. Ed è per questo che l'invocazione al dialogo è insufficiente. Il problema è concordare la forma del dialogo, quella forma che consenta di distinguere chiaramente due piani, quello del governo quotidiano del Paese e della soluzione dei problemi che impegnano la definizione e l'attuazione dell'indirizzo politico e quello della delineazione di un terreno comune e neutrale di obiettivi riformatori su cui lavorare insieme. Temi che non impegnano la connotazione "ideologica" e le ragioni di appartenenza, ma che riguardano quelle regole del gioco che possono consentire di risolvere le tre crisi: del sistema politico, delle istituzioni e dello Stato, di sistema. Ed è un richiamo che faccio al senso di responsabilità dei partiti di maggioranza e di opposizione: basta discutere di riforme l'un contro l'altro armati, voltiamo pagina, scrivete una pagina nuova nella storia degli ultimi quindici anni di questo Paese.Il federalismo è la proposta di una nuova forma di Stato, proprio per questo non è pensabile che sia affrontato non chiarendo alcuni interrogativi di fondo.Dove bisogna fissare un punto solido di stabilizzazione del sistema istituzionale rispetto ai rapporti tra i diversi livelli territoriali di governo in cui si articola la nostra Repubblica? Come dare stabilità, coerenza, capacità di coordinamento e di governo complessivo a una Repubblica che, come recita l'art. 114 della nostra Costituzione si articola su almeno quattro diversi livelli di governo. Questo, mi pare, debba essere oggi il compito vero e la sfida ineludibile che ci troviamo di fronte.Quale è il "costo" che è giusto pagare? Quale è l'equilibrio istituzionale utile per il sistema Paese? Verso quale direzione bisogna far evolvere il sistema istituzionale? E poi per noi Comuni va risolta una questione generale dirimente sulla collocazione del baricentro politico ed istituzionale che riguarda le autonomie locali. Voglio essere chiaro: federalismo, autonomia e responsabilità non possono significare onori per qualcuno ed oneri per altri.Il federalismo è tale se consentirà di responsabilizzare tutti i livelli di governo. Contrastiamo e contrasteremo qualsiasi tentativo di sostituire ad un centralismo venti centralismi, di costruire un federalismo sulla contrapposizione Regioni- Comuni.Noi crediamo che esista una soluzione equilibrata ed accettabile per tutti, purchè tutti i livelli di governo si riconoscano nel ruolo che la Costituzione loro assegna.Lo Stato nell'esercizio della sua funzione unificante deve saper ridefinire i propri confini, deve saper coordinare e sostituire solo eccezionalmente gli altri poteri. Alle Regioni lanciamo una sfida: facciano un passo in avanti nella legislazione, nella programmazione e nella verifica e contestualmente abbandonino la gestione ed amministrazione. Esercitino le loro competenze attraverso i comuni, le città metropolitane le province. Mettano le istituzioni locali dentro il loro schema organizzativo e non considerino i livelli di governo del territorio antagonisti o semplici pedine da manovrare.Esiste una via mediana fra i fautori del regionalismo e i fautori del localismo.L'ANCI la propone da tempo con responsabilità e senso delle istituzioni.E' possibile anzi necessario far attecchire un innesto originario che sia da un lato aderente ad un evoluzione del sistema in senso decentrato e federale e dall'altro sia rispettoso della storia italiana, dell'eredità della nostra tradizione nazionale caratterizzata essenzialmente da un rapporto fecondo fra Stato e Comuni.Federalismo fiscaleSul primo punto, sul tasso federalista o autonomista oppure su una certa dissonanza e contradditorietà delle scelte di questo Governo consentitemi di aggiungere qualche altra considerazione e constatazione.Il confronto sul federalismo fiscale ha risentito della decisione sull'ICI e la nostra preoccupazione principale deve essere vigilare nei prossimi mesi sugli interventi sulla finanza comunale, perché non accetteremo di arrivare stremati al traguardo, né ci faremo distrarre dai miraggi del federalismo, mentre l'unico tributo tendenzialmente federale viene menomato e sostituito non da nuova autonomia, ma da trasferimenti erariali che allo stesso tempo vengono costantemente tagliati.Quindi il problema vero è come i Comuni arriveranno alla vigilia del federalismo fiscale e quale sarà il monte risorse di partenza, da considerare nella redistribuzione delle entrate.E siate certi che con questo assillo l'ANCI ha partecipato al confronto avvenuto nelle settimane passate.Devo dare atto al Governo, il Ministro Fitto e in particolare al ministro Calderoli dello spirito di collaborazione e dialogo che ha consentito di apportare alcune correzioni importanti per i Comuni.Il primo testo presentatoci era del tutto carente nella parte riguardante gli enti locali, oltreché del tutto irricevibile in altre parti, come la disciplina sulla perequazione.Molto è cambiato. Ed il testo ora risulta sufficientemente accettabile, considerato che si tratta di una delega che contiene principi e criteri.La parte sulla governance è innovativa ed apprezzabile con la previsione prima della Commissione paritetica, poi con l'istituzione della Conferenza per il coordinamento della finanza pubblica. I principi indicati sono tutti condivisibili nella loro intrinseca genericità e soprattutto meritevole di apprezzamento la centralità posta all'obiettivo del graduale superamento della spesa storica.Le forme di entrata individuate per finanziare la spesa comunale sono ampiamente diversificate: compartecipazioni a tributi erariali e regionali, addizionali, tributi propri e poi i finanziamenti perequativi. A questi si aggiungono i cd. tributi di scopo oltre a forme di autonomia più ampia per le Città metropolitane. Sulla natura dei tributi propri il problema è stato rinviato ai decreti legislativi, fermo restando il principio della possibilità di prevedere nuovi tributi in sostituzione di quelli esistenti.Su questo voglio aggiungere una considerazione sul dibattito estivo sull'ICI. Come ho già detto ho considerato errata la manovra sull'ICI e la mia opinione rimane tale. Però l'ANCI non ha mai proposto di reintrodurre l'ICI sulla prima casa sic et simpliciter, ha solo posto un problema più generale: 1. l'esigenza di incardinare l'autonomia impositiva dei Comuni su uno o più tributi autonomi strettamente correlati con le funzioni tradizionalmente svolte dai Comuni; 2. L'esigenza di dare ordine alla finanza locale e comunale; 3. l'esigenza di rivedere l'intera tassazione immobiliare nella prospettiva del decentramento tributario, anche con l'obiettivo di innovare il mercato immobiliare, reso asfittico da una cronica carenza di offerta e da pesi fiscali antiquati che scoraggiano vendite acquisiti e locazioni e afflitto da una cronica emergenza abitativa; 4. l'esigenza di allineare l'Italia agli altri Paesi europei e non europei, ove un'imposizione sugli immobili è sempre presente ed anzi è mediamente più elevata, rappresentando una delle principali fonti di entrata locale, tesa a rimarcare l'influenza sul valore degli immobili delle politiche comunali sui servizi urbani; 5. l'esigenza di risolvere alcuni effetti distorsivi prodotti dall'eliminazione dell'ICI sulla prima casa: rigidità della base imponibile, elusione ed evasione fiscale.La nostra idea era e rimane una revisione complessiva dei tributi sugli immobili proprio nella prospettiva del superamento dell'ICI e non di una sua restaurazione, anche differenziando il grado di autonomia fra i Comuni grandi medi/associati e quelli di minor dimensione.Ma abbiamo sempre considerato questo obiettivo come una porzione limitata e una parte del complesso di entrare fiscali dei comuni, che devono appunto comporre quel paniere di cui parla il disegno di legge del Governo. Abbiamo sostenuto e continueremo a sostenere insieme con i sindaci del Veneto dove questa proposta ha avuto maggiore enfasi - la necessità che questo aumento dell'autonomia impositiva sia affiancato alla proposta di mantenere sul territorio una parte del reddito prodotto. In altri termini la compartecipazione all'IRPEF e le addizionali costituiscono la seconda gamba sulla quale deve poggiare il sistema finanziario dei comuni. Un mix di entrate che provengono dal patrimonio immobiliare e dai redditi prodotti sul nostro territorio ci consentirà di raggiungere quell'obiettivo di stabilità, continuità ed autonomia nelle entrate necessario per poter esercitare le nostre funzioni.Appunto le funzioni: ma quali? Il testo ha alcune dimenticanze, la più significativa riguarda appunto la mancata indicazione delle funzioni fondamentali (o materie) a cui collegare la spesa da finanziare e le modalità con cui farlo, previsione invece contemplata per le Regioni sia per quanto riguarda le materie le cui spese vengono finanziate, sia in ordine alle modalità di finanziamento. Tale assenza nella parte a regime del testo, nonostante alcune importanti garanzie nella fase transitoria sulla copertura della spesa risultante dai consuntivi, ci preoccupa mancando certezze in ordine alla quantificazione delle grandezze finanziarie e alle relative coperture.Per quanto riguarda il finanziamento e il funzionamento della perequazione, la profonda correzione apportata al testo rende residuale il ruolo della perequazione, determinandolo quale differenza fra il totale dei trasferimenti erariali oggi assegnati ai Comuni e il totale delle entrate che verranno assegnate agli stessi a regime. Nella scrittura della norma va però fatto un passo in avanti attribuendo alle regioni i fondi perequativi solo quando sul territorio, d'intesa con i comuni, saranno modificati i parametri nazionali. In caso contrario pensiamo che i fondi perequativi debbano andare direttamente ai Comuni.La linea sulla quale ci siamo confrontati con il Governo e sulla quale avvieremo il dibattito in Parlamento sarà quella della valorizzazione dell'autonomia e della responsabilità: questo binomio, a nostro giudizio, è l'essenza del federalismo.Anche per questo siamo sostenitori del federalismo contrattuale. Il disegno di legge sul federalismo fiscale si limita a fare un accenno all'importanza di garantire autonomia nella gestione della spesa per il personale. Credo sia giusto che nel pacchetto di riforme e anzi nel disegno di legge cd. Brunetta all'esame del Senato si rifletta sulla necessità di rivedere il procedimento di contrattazione, responsabilizzare i singoli enti nella fase di contrattazione dando loro vera autonomia, anche con l'uscita del comparto enti locali dall'Aran, con l'obiettivo di poter programmare la spesa ed utilizzare le risorse per produttività e per premiare il merito.Sul federalismo il quadro generale è questo. Il lavoro vero deve ancora essere avviato e durerà, dopo l'approvazione del Parlamento almeno due anni, e come ho detto riguarderà la condivisione delle grandezze finanziarie e dei dati e la distribuzione fra gli enti. (Sarà un lavoro difficile ed è facile comprenderlo se si tiene presente che il punto di partenza è questo: la spesa complessiva è in sostanza ripartita 50 e 50 fra stato e autonomie territoriali, mentre il controllo sulle entrate è ripartito 18% alle autonomie territoriali e 82% allo Stato, tutto questo con circa 140 miliardi di spesa fra 60 per pensioni e 80 per interessi).Nel frattempo abbiamo chiesto che entro il primo semestre del 2009 venga adottato il primo decreto legislativo in modo anticipare la riforma della finanza comunale al fine di poter chiudere definitivamente le questioni pregresse relative all'ICI e ai tagli ai trasferimenti.Su un punto voglio dire chiaramente non cederemo mai e lo voglio dire a tutti Governo, maggioranza, opposizioni: i Comuni non accetteranno nuove ma vecchie subordinazioni, vogliono essere autonomi e responsabili di fronte ai propri cittadini. Vogliamo avere i mezzi per stabilire autonomamente i nostri fini, altrimenti è meglio spiegare onestamente ai cittadini le nostre ragioni e assumere scelte coraggiose.Il nostro giudizio sul federalismo fiscale è e rimane un via libera parziale e preliminare, così come abbiamo affermato in Conferenza unificata, che tiene conto dei miglioramenti al testo, che tiene conto delle criticità e che soprattutto tiene conto o ha tenuto conto dell'assenza della proposta sul federalismo fiscale, ossia sull'individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni e sul riassetto dell'amministrazione.Verso quale federalismo istituzionale stiamo andandoLa nostra proposta, la proposta dell'Associazione è chiara da tempo ed è riassumibile in questi principi: forte innovazione istituzionale legata all'applicazione di un principio di razionalizzazione e di ordine per eliminare sovrapposizioni e duplicazioni di competenze e di enti. Quindi regioni e Stato si impegnino a sfoltire apparati amministrativi e di gestione a livello periferico devolvendo le relative funzioni ai Comuni, e i Comuni si impegnano a loro volta a mettere ordine al loro interno, e con il sostegno delle altre istituzioni a puntare sulla valorizzazione delle gestioni associate, delle unioni di comuni per i comuni di piccole dimensioni. Su questo apro una parentesi: laddove scelte irrazionali del legislatore lo consentano. Ci sono dei casi in cui il rimedio è peggiore del male e voi un caso lo conoscete. Mi riferisco alla norma della finanziaria 2008 che obbliga i comuni a partecipare ad una sola forma associativa, così una a caso. Ma non avevamo detto che bisognava puntare sulle unioni come modello associativo unico per eliminare altre enti e semplificare? Siamo davanti a quel caso classico che dimostra che il problema non è decidere ma assumere le decisioni giuste, anche poche ma quelle giuste.Vogliamo semplificare l'assetto istituzionale ed amministrativo complessivo e vogliamo innovare e mettere ordine anche dentro il complesso mondo dei Comuni.Vogliamo valorizzare il ruolo e il peso istituzionale dei Comuni, differenziando funzioni, poteri, assetti organizzativi, risorse. Vogliamo declinare al massimo l'idea che la diversità degli 8102 è la loro forza e non la loro debolezza.Quindi va individuato un complesso di funzioni fondamentali ampio ed organico, sebbene anche differenziato fra le classi demografiche e un complesso di funzioni che i Comuni piccoli devono obbligatoriamente gestire in forma associata attraverso le Unioni di comuni, dicendo una parola chiara sul superamento di enti come le comunità montane.Vanno istituite le Città metropolitane, valutando caso per caso le singole situazioni territoriali, ma accelerando e assegnando al governo delle grandi città poteri e strumenti ampi, penetranti, competenze nuove e uno status che consenta realmente di governare situazioni complesse in modo totale su materie strategiche per il futuro delle Città. Lo dico chiaramente se fare la città metropolitana significa attribuirle i soli compiti della provincia, forse non ne vale la pena.4.AMMINISTRATORI E PARTITI.Vorrei che in queste giorni si parlasse anche e soprattutto di noi, del nostro lavoro, di come ci autorappresentiamo, del rapporto che abbiamo con i cittadini e del nostro ruolo nel sistema politico e nella vita dei partiti.Parliamo della difficoltà per chi sta in periferia ma in mezzo alla gente di avere un raccordo e un riferimento nei partiti di appartenenza.A causa di una nefasta legge per l'elezione del Parlamento questo scollamento si è ulteriormente accentuato: con l'indebolimento della classe politica nazionale si è accresciuto il senso di estraniamento fra cittadini ed eletti così scaricando sugli altri livelli istituzionali domande inevase.Io credo che in questa fase speriamo- di ricostruzione del paese bisogna partire dagli amministratori locali per dar vita ad una nuova classe dirigente. Per costruire formazioni politiche forti e che ambiscono a governare non si può prescindere dalle migliaia di sindaci ed amministratori. Un Paese si governa anche grazie ai partiti che rimangono la forma principale di organizzazione della partecipazione democratica. Partiti che però devono essere in grado di interpretare i bisogni della gente, di mantenere un rapporto costante con la società tutta. Ed io credo che per far questo la nostra funzione è insostituibile.Effettivamente nella storia politica del nostro Paese vi sono tante anomalie: con certezza credo di poter dire che vi è stato mai un presidente del consiglio che sia stato in precedenza sindaco. E' un anomalia se pensiamo a paesi come la Francia.E' vero che in un fase particolare dell'ultimo quindicennio sindaci importanti hanno assunto incarichi ministeriali ma quella fase si è esaurita rapidamente. E' vero che Rutelli e Veltroni hanno avuto la candidatura a premier anche per la visibilità e la veste diversa assunta da sindaco, quasi un lavacro purificatrice dalla politica nazionale che ha consentito di ritornare al primo posto nella oligarchia, ma avevano già una lunga storia politica alle spalle.Voglio dire dobbiamo contare di più nei processi decisionali dei nostri partiti e contare e far contare la nostra esperienza che è un valore aggiunto per chi governa a tutti i livelli.L'esperienza ha dimostrato che i cambiamenti e le innovazioni politiche ed istituzionali nel nostro Paese sono avvenute grazie alla capacità delle amministrazioni locali di fare da apripista. Si pensi alla legge 81/93 che ha posto fine all'ingovernabilità e che rappresenta un esperienza vincente che semmai va corretta nel senso di eliminare quei vincoli, io credo alla prova dei fatti inutili, come il doppio mandato.6.L'ANCIConcludo questa mia relazione con una riflessione sull'ANCI. Questa di Trieste è la mia ultima assemblea da Presidente. Ho passato questi 8 anni a contatto con tanti sindaci e tanti amministratori. Ho incontrato tante storie locali, ho partecipato a tanti eventi nazionali, regionali e ad iniziative politiche ed istituzionali. Io penso che questa sia una grande associazione. Io penso che l'ANCI i 107 anni di vita non li dimostri. Che sia ancora vitale ed abbia molta voglia di fare.Il dibattito interno è stato sempre molto vivace ma mai fuori dalle righe. Le contrapposizioni sulle decisioni hanno sempre trovato una sintesi alta che non ha mortificato i risultati. A me a volte è stato rimproverato di non aver mai abbandonato una linea politica ferma e determinata ma che non è mai sfociata nella rissa istituzionale o nel cercare lo scontro a qualsiasi costo per strappare un'intervista o un titolo. Mi fa piacere sottolineare che queste critiche mi sono giunte sia da esponenti e amministratori del centro destra o del centro sinistra a seconda dei momenti storici che stavamo attraversando.Io penso che il congresso del prossimo anno sarà l'occasione per fare un bilancio completo; però sin da ora si può dire che dopo le elezioni amministrative del 2007 e del 2008 l'ANCI ha già mutato la propria organizzazione ricostituendo un ufficio di presidenza al quale partecipano i sindaci di tutto lo schieramento politico senza eccezioni, attribuendo nuove deleghe e coinvolgendo nuovi ed autorevoli amministratori. Voglio ringraziare per il loro impegno i sindaci di Milano, di Torino, di Roma, di Padova, di Ancona, di Forlì, di Novara, di Cosenza, di Potenza, di Reggio Calabria. Voglio salutare Sergio Cofferati che ha fatto un'altra scelta. Voglio ringraziare soprattutto i tanti sindaci e amministratori di piccoli comuni, i giovani amministratori della consulta Anci giovane che ogni giorno si riuniscono in ANCI, nelle tante commissioni, nelle tante riunioni che a Roma come su tutto il territorio nazionale si tengono per approfondire temi e questioni. È un lavoro silenzioso, che non va sui giornali, che non trova spazio nei dibattiti televisivi ma che rappresenta la vera forza di questa Associazione. Il mix di rappresentanza fra piccoli comuni e grandi città è il nostro vero valore aggiunto. Siamo più di 7000 soci che rappresentano quasi il 90% dei comuni e oltre il 97% della popolazione. Di ogni colore politico, di ogni grandezza di ogni parte d'Italia. Questo valore va difeso valorizzando il ruolo e le potenzialità delle autonomie regionali dell'Associazione. L'autonomia e la rappresentatività sono i valori che dobbiamo preservare e difendere.Io penso che su questa linea si potrà continuare a lavorare insieme anche dal prossimo congresso che ci aspetta nel 2009. Arriviamoci compatti mettendo avanti a tutto il nostro obiettivo: tutelare e valorizzare la storia dei comuni italiani che è poi la storia del nostro Paese che nel 2011 compirà 150 dalla sua unificazione.Buon lavoro".(fd)