25 Aprile, l'intervento del consigliere del PdL Francesco Torselli

Questo l’intervento in aula del consigliere del PdL Francesco Torselli

“Grazie Presidente, Gentili Assessori, Cari Colleghi,
mi sono avvicinato alla politica da giovanissimo, nel 1993 ed ho preso la mia prima tessera nel 1995. Tra le cose che mi avevano spinto ad entrare in una sede di partito, vi erano innanzi tutto gli eventi che stavano sconvolgendo il nostro paese in quegli anni. Un’intera classe politica, che per 50 anni aveva fatto il bello ed il cattivo tempo in Italia, si stava sgretolando come il più fragile dei castelli di sabbia. Quegli uomini e quei partiti che avevo da sempre visto in televisione come una sorta di sovrani inattaccabili, mi apparivano improvvisamente deboli e piagnucolanti come cuccioli spaesati. E dal tremendo polverone che si stava sollevando in Italia emergeva un partito che per mezzo secolo era stato messo alla gogna, criminalizzato, escluso.
Sarei un ipocrita se non dicessi, che tra le cose che mi spinsero a destra, vi fu senza mezzi termini la passione che, inspiegabilmente nutrivo per coloro che, con un bellissimo libro, Marcello Veneziani ha avuto modo di definire “i vinti”. Non sono mai stato un manicheo e mi sono sempre rifiutato di credere che la storia fosse fatta da buoni e da cattivi.
Di fascismo e di antifascismo ne avevo sentito parlare soltanto a scuola, nelle ore di storia. In casa mia non si parlava quasi mai di politica e l’orientamento centrista dei miei emergeva solo nella critica, che di tanto in tanto avevo ascoltato, nei confronti di tutti gli estremismi, “rossi” e “neri”, della violenza, della guerra, delle ideologie.
Iniziai quell’avventura che oggi posso senza mezzi termini definire “meravigliosa”, ovvero la mia militanza politica, covando un sogno che per me rappresentava la più grande delle rivoluzioni: essere protagonista attivo, assieme a tutti quei giovani che, assieme a me, in quei giorni, sceglievano l’impegno civile, a destra come a sinistra, della costruzione di una nuova Italia. Ero certo che la nostra generazione sarebbe stata quella del dialogo e non della contrapposizione violenta, quella della proposta e non più quella delle ideologie. Sognavo, nel mio piccolo, di poter contribuire a realizzare un’Italia migliore: in grado di riconquistarsi quella credibilità internazionale che avevamo perso con le immagini di tangentopoli che avevano fatto il giro del mondo. Sognavo di poter costruire un futuro migliore, fatto di merito e di capacità e non di clientele e raccomandazioni.
Negli anni ’70 e ’80, giovani di destra e giovani di sinistra si erano sparati addosso in nome di qualcosa accaduto più di trent’anni prima. Io, sognavo di sgombrare il tavolo del confronto politico dai fantasmi della storia e di lottare, spalla contro spalla, ognuno forte dei propri valori e dei propri principi, per sconfiggere la corruzione, per vincere la miseria e l’arretratezza di alcune parti del nostro paese, per debellare in maniera definitiva la mafia.
Ma ben presto mi sono reso conto di essere un illuso. Senza neppure rendermene conto non ero più un diciottenne con tanti sogni e tanta buona volontà, ma ero diventato qualcos’altro. Su di me ricadevano colpe e accuse di cose che non conoscevo. Non sono mai stato razzista, ma mi si imputavano deportazioni e stermini. Non ho mai speso mezza parola contro il movimento partigiano, ma mi si imputavano rastrellamenti e torture. Amo ed ho sempre amato la democrazia, ma mi si diceva di sognare colpi di stato e dittature. E tutto questo mi sembrava semplicemente assurdo.
Non avrei mai pensato di ritrovarmi, a 35 anni, nel Consiglio Comunale di Firenze, a dibattere di un qualcosa che già consideravo un assurdo quando di anni non ne avevo ancora 18.
State creando un caso attorno al niente. Io, assieme ad alcuni miei colleghi, abbiamo detto sui giornali ciò che non mi vergogno a ripetere in questa sede: “non ho mai avuto paura a discutere di ciò che è accaduto in Italia tra il 1922 ed il 1945, nel bene e nel male” e non ho paura a farlo quest’oggi. Di cosa dovrei aver paura, del resto? Sono nato oltre 30 anni dopo la fine del fascismo e della Guerra Civile. Non credo che in Italia, o nel resto del mondo, esista la possibilità di un ritorno a quel periodo. Nel frattempo sono crollati i muri dell’odio ideologico e da una parte e dall’altra, le menti più illuminate, non hanno più remore nel fare autocritica.
Allora mi chiedo, e vi chiedo: davvero non conoscete tematiche più impellenti da trattare che non sbandierare vecchi vessilli intrisi di ideologie e rancori finalizzati a dividere e distruggere, anziché ad unire e costruire?
Siamo nell’anno in cui ricorre il 150° Anniversario dell’Unità d’Italia: pensate a quei giovani di allora, che vissero ridendo in faccia alla morte tentando di immaginare un futuro che per molti versi sembrava più un’utopia che non un sogno. Pensate a chi affrontò a testa alta il patibolo perché un giorno i giovani italiani non fossero più divisi, ma “fratelli sul libero suol”. Pensate a loro e rendetevi conto di quanto assurde siano queste divisioni che ogni anno cercate di acuire in occasione di questa ricorrenza. Oggi stiamo dimostrando con questo dibattito di essere più “vecchi” di chi ha vissuto 150 anni fa.
E permettetemi di evidenziare due colossali contraddizioni nel vostro modo di ragionare. Quando vi parliamo di “pacificazione nazionale” e di superamento di certe pagine di storia, ci rispondete che l’antifascismo e la resistenza sono temi centrali del dibattito politico. In realtà siete voi i primi a considerarli delle reliquie, dei fazzoletti da tenere ripiegati in fondo al comò per 360 giorni all’anno, salvo poi riscoprirli ed agitarli per compiacere le frange più radicali del vostro elettorato. E oggi avete dato una perfetta dimostrazione di quanto ho appena detto: avete usato il 25 Aprile, il suo ricordo, quale mero strumento all’interno di un ordine del giorno del Consiglio Comunale per poter presentare un atto senza senso garantirvi il battimano di qualche nostalgico della propria tramontata gioventù.
E concludo evidenziando l’altra vostra palese contraddizione: vi erigete a professori di democrazia, quando delle vostre maggioranze fanno parte soggetti che si rifiutano ancora oggi di ricordare i martiri delle foibe e che nel 2010 scrivono ai prefetti per impedire che a questi sfortunati fratelli venga perfino intitolata una via; quando dalle vostre fila arrivano invettive affinché Firenze non ricordi con una lapide un grande esempio di italiano come Giovanni Gentile; quando mai, salvo in rare occasioni frutto di illuminati singoli, dalla vostra parte politica si è levata una sola parola di umana pietà per quei 21 ragazzi ammazzati tra il 1969 ed il 1983, se non quelle di feroce critica verso l’idea dell’ex-Sindaco di Roma di intitolare una via a Paolo di Nella.
Continuate pure ad agitare i vostri fazzoletti e condite la vostra pochezza politica con slogan presi in prestito dal passato. Continuate a guardare indietro, noi continueremo a guardare avanti ed a sognare una politica diversa, certi che prima o poi vinceremo questa sfida. Perché come disse una volta Nelson Mandela: “Un vincitore è semplicemente un sognatore che non si è mai arreso”.

(fdr)