150° Unità d'Italia, Torselli (PdL): "Grazie non solo agli eroi celebrati ma anche alla meglio gioventù di allora che ci ha regalato una Nazione"
“Caro Presidente, Sindaco, Cari Assessori, Colleghi,
abbiamo ascoltato gli interessantissimi interventi dei nostri autorevoli ospiti, i quali hanno ricostruito le vicende che 150 Anni fa portarono all’unità della nostra nazione, momento che oggi, questo Consiglio Comunale celebra in maniera solenne.
Per non essere ripetitivo e per non toccare argomenti che già sono stati affrontati da personalità ben più autorevoli del sottoscritto, incentrerò il mio intervento su quei protagonisti della stagione che va sotto il nome di “Risorgimento” i quali nomi non hanno trovato spazio nei monumenti, sulle lapidi e che oggi non vengono celebrati con vie o piazze nelle nostre città.
Sono quelle centinaia, quelle migliaia di giovani, dei quali sono giunti a noi soltanto alcuni nomi, ma che con il loro eroico sacrificio, hanno offerto a noi tutti un esempio irripetibile di coraggio, di passione, di sacrificio, di amore per la propria terra.
Sono quei giovani che oggi dovrebbero rappresentare delle vere e proprie icone per altri giovani, quelli venuti 150 anni dopo ai quali però, troppo spesso non è stato consentito di accedere alla verità storica sulla nascita della comune patria e alle tante, incredibili, suggestioni che l’hanno accompagnata.
Un anonimo partecipante alla spedizione dei Mille scriveva: “Ci hanno tacciato di essere facinorosi. Pazzi. Gente che non ha nulla da perdere. Adesso che tutto è riuscito battono le mani e plaudono ai giovani eroi. In verità, abbiamo vissuto fatti che sembrano usciti dalla fantasia di un romanziere...”.
Ed è vero! Raramente il mondo ha assistito a un’epopea tanto affascinante. Mille giovani armati di vecchi archibugi arrugginiti, con alla testa un grande generale malvisto dalle corti italiane ed europee, si lanciano contro un nemico infinitamente più potente e lo travolgono, innalzando una nazione dove prima non c’era.
Certo! Quell’idea chiamata Italia c’era già, fin dai tempi del Rinascimento, di Dante, dell’antica Roma. Solo che alle grandi potenze internazionali faceva comodo un popolo diviso, incapace di far valere le proprie ragioni, i propri legittimi interessi di fronte al mondo.
Ma chi ebbe modo, all’epoca, di definire infelicemente l’Italia “un’entità geografica”, evidentemente non aveva fatto i conti con gli studenti di Pavia, con i picciotti siciliani di
Rosalino Pilo, con i giovani insorti di Napoli, con i fratelli Cairoli, con i Mille di Garibaldi.
Il sentimento italiano c’era, l’idea di un destino comune c’era, mancava solo quella “meglio gioventù” capace di trasformare in realtà un sogno.
E quella generazione venne. E grazie a lei abbiamo una nazione.
A noi oggi spetta il compito di celebrare i 150 anni della nostra nazione, ma cosa resterebbe di questa giornata se tutto si esaurisse in qualche festeggiamento, in una bandiera appesa ad un balcone o in una notte di shopping cittadino?
Celebrare il 150esimo anniversario dell’Unità nazionale significa ricordare il nostro passato, tutto, ma continuare ad immaginare il nostro futuro.
Avere vent’anni oggi significa avere sulle spalle il peso di dover affrontare un “Nuovo Risorgimento” nient’affatto virtuale. Un “Nuovo Risorgimento” che si manifesti attraverso una rivoluzione generazionale, capace di travolgere le rendite di posizione, le incrostazioni di potere, gli interessi criminali che schiacciano quello generale.
Non più la guerra dei moschetti arrugginiti, ma quella delle idee e della partecipazione.
Avere vent’anni oggi, significa appartenere alla prima generazione italiana post-ideologica, che non si vergogni di creare alleanze generazionali trasversali, impensabili fino alla caduta del Muro di Berlino; oggi il “di qua o il di là” della contrapposizione politica si realizza su nuove sfide, che vanno curate con grande passione, ma che non devono impedire il dialogo con l’altro su temi e interessi comuni.
Ai nostri giovani non lasciamo quindi in eredità una data segnata in rosso sul calendario, ma lasciamo un esempio concreto, tutto italiano, da riscoprire ed imparare ad amare: l’esempio dei Mille, che salparono da Quarto per entrare nella storia dei popoli, quello dell’appena ventunenne Goffredo Mameli che, ferito ad una gamba, disse al medico che gli proponeva l’amputazione: “Fate pure. Voglio continuare a cantare, combattere e vivere ancora”, o quello di Nazario Sauro che, mentre si preparava ad affrontare la forca ci lascò in eredità una delle più belle espressioni di quella avvincente stagione: “su questa patri giura e fai giurare i tuoi fratelli, che saremo sempre, ovunque, prima di tutto, italiani”.
(fdr)