150/o Unità d'Italia, Di Puccio (Misto): "Giusto festeggiare ma ancora troppe ipocrisie"
Questo l'intervento del capogruppo Stefano Di Puccio oggi in nconsiglio comunale:
"Firenze come altre città è addobbata per l’occasione, il tricolore fa sfoggio di sé ad ogni finestra, in ogni vetrina, dai lussuosi negozi del centro, alle botteghe della periferia, al laboratorio dell’artigiano. Stranamente ci ritroviamo tutti italiani, tutti patrioti, come accade solo per una finale dei mondiali di calcio.
Ci sono voluti 150 anni per ricordarsi di essere italiani e di essere una nazione, tutti insieme uniti sotto la stessa bandiera. Non sono tra quelli che pensano sia inutile ricordare o festeggiare, penso piuttosto che sia importante dar valore a questa ricorrenza recuperando il significato migliore di unità. Più che al momento fondativo, risorgimentale della nostra storia, preferisco riferirmi ad un secondo risorgimento, più recente e più vicino a noi, ed è quello legato alla resistenza e alla liberazione dal fascismo, una radice importante che mette a confronto oppressione con libertà e che sembra sempre più allontanarsi dalla memoria politica, soprattutto quando assistiamo ai tentativi di mascherare scelte separatiste scellerate dietro il paravento di “benefiche” soluzioni fiscali. Allora in questo caso occorre affermare con fermezza il valore dell’unità nazionale a partire dall’unicità e dalla ricchezza del patrimonio culturale locale; se locale e nazionale non riescono a comunicare allora, mi dispiace, ma ci troviamo di fronte alla solita retorica di stato.
Mi chiedo allora a cosa serva ricordare i tanti soldati, che Italiani diventano solo quando ritornano in volo, nelle bare avvolte dal tricolore, partiti in missione di pace per le guerre degli altri popoli oppressi. Soldati italiani, perlopiù gente del sud che solo andando in guerra ritrova la dignità e il diritto al lavoro che in patria non riescono ad ottenere.
Un’Italia idealmente unita oggi, ma divisa fra nord e sud con uguali doveri e diversi diritti.
E mi chiedo allora quanto dovremo aspettare perché lo stato faccia sentire la sua presenza affettiva ed effettiva nel sud, sempre dilaniato da carenze strutturali gravissime e dalla penetrazione continua di vecchia e nuova criminalità organizzata. Mi chiedo ancora perché ci siano due Italie, una per i liberi, l’altra per gli schiavi del carcere, anzi, per gli uomini e le donne resi schiavi dal carcere, per i quali come sapete, mi sto battendo in una battaglia di libertà che non chiuda dietro di loro le sbarre, gettando la chiave. Solo ricordandoci anche di loro nel festeggiare un’Italia che è stata molto crudele e avara nei loro confronti, potremo superare il valore retorico e a volte, solo istituzionale, dei festeggiamenti, restituendo importanza alla parola unità e cercando con tutti i mezzi possibili di renderla una realtà effettiva. E ancora, che cosa dovremmo dire dell’immigrazione? Di schiavi sottopagati costretti a finire nelle braccia della criminalità per poter sopravvivere? Di donne che dall’est trovano in Italia un futuro sicuro in mezzo ad una strada? Dov’è il sogno di una società multietnica che in altri paesi non ha certo minacciato il sentimento unitario nazionale? Davvero dovremmo credere alle ricette di alcune forze politiche che alzando un recinto tra noi e “loro” (quanto è reversibile questa parola, tutti noi siamo “loro”) illudono i cittadini della comunità italiana di farlo per raggiungere un livello accettabile di sicurezza? Sicurezza da cosa? Io la chiamerei al contrario paura, paura di confrontarsi con tutte le diversità, da quelle locali a quelle extra-nazionali fino a quelle politiche, certamente; perché - non dimentichiamocelo - quello che rende unita una nazione, è la ricchezza culturale, l’originalità e l’anima delle parti che la costituiscono. Allora sì, in questo senso, viva l’Italia". (lb)